Gigolò per caso

Gigolò per caso

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Vero e proprio inno accorato a tutto ciò che i tempi moderni ci hanno lasciato di analogico, reale, umano, Gigolò per caso è anche un omaggio al migliore cinema newyorkese del passato, dalla New Hollywood fino agli episodi indie degli anni ’90. Nelle sue immagini, fotografate in pellicola con grazia e acume nostalgico da Marco Pontecorvo, quel fading del titolo originale del film si traduce nel soft focus di una tradizione cinematografica che non c’è più.

Fading Turturro

Fioravante e Murray, due amici di vecchia data in condizioni economiche precarie, per sbarcare il lunario decidono di cimentarsi con il mestiere più antico del mondo. L’uno nei panni di un gigolò, l’altro nel ruolo del suo manager. Con il nome d’arte Virgil, Fioravante si destreggia tra due avvenenti signore alla ricerca di emozioni forti e gli incontri ben più casti con Avigal, vedova di un rispettato Rabbino della chiusa comunità chassidica newyorkese. Mentre Fioravante viene messo in crisi dai sentimenti che quest’ultima suscita in lui, Dovi, poliziotto di quartiere chassidico, farà di tutto per conquistare Avigal, di cui è innamorato fin da quando era ragazzo… [sinossi]

Fading, ammaliante parola. Significa, nell’idioma nostrano, svanire, affievolirsi e nel gergo fotografico assume poi una valenza estetica e linguistica ancora più evocativa e potente: si dissolve in nero (fade to black), ma anche sul bianco (in quel caso si parla di assolvenza, termine dagli echi quasi religiosi) oppure in forma incrociata, lasciando che un’immagine si faccia gradualmente sempre più evanescente fino a morire letteralmente in un’altra. Ed è da questi procedimenti fotografici, nei quali la tecnica si mescola indissolubilmente con l’emozione, che è possibile cogliere al meglio il quid del nuovo film da regista di John Turturro Fading Gigolo, distribuito nelle nostre sale con il titolo di Gigolò per caso. A prima vista lo si potrebbe confondere con una delle tante pellicole contemporanee dedicate al tema dell’invecchiamento (pensiamo agli interessanti Quartet, Una fragile armonia o ai più corrivi Uomini di parola e Last Vegas), ma la quinta regia dell’interprete italo-americano è invece un lavoro ben più sottile e accorato dedicato a qualcosa – la giovinezza, sì, ma anche un modo di fare cinema – che va, appunto, scomparendo.

Rispetto ai lavori recenti del regista-interprete, dedicati alla riscoperta di tradizioni legate alle proprie radici italiche (Prove per una tragedia siciliana, co-diretto con Roman Paska, sulla nobile arte dei pupi, e Passione, sulla musica partenopea) questa volta Turturro esplora l’altro suo versante di appartenenza, quello newyorkese, realizzando un omaggio oltre che alla propria città, anche al clima culturale, al cinema, alle immagini che la hanno animata, riletta, consumata, per poi svanire ed essere sostituite da altre. Non a caso, Gigolò per caso prende le mosse proprio dalla scomparsa di un luogo storico, una libreria vecchio stile della Grande Mela, crogiuolo di letterature, luogo di incontro e arricchimento oramai schiacciato, come in tante altre metropoli contemporanee, da franchising multimediali ben più aggressivi e di sicuro meno socializzanti.
In compenso, le chiacchiere tra amici, come tanti altri umanissimi piaceri della vita, non mancano in Gigolò per caso, che si fregia di numerose e brillanti conversazioni con le quali si (e ci) intrattiene la coppia di amici qui protagonista, composta da Fioravante, incarnato dallo stesso Turturro, e Murray, interpretato da Woody Allen. Il primo è un fiorista part-time, il secondo, invece, il proprietario della suddetta libreria in chiusura. Entrambi hanno evidentemente dei problemi a sbarcare il lunario e così decidono di dedicarsi al mestiere più antico – e sempre remunerativo – del mondo: Fioravante si trasforma in un gigolò di mezz’età per signore, Murray nel suo scaltro e loquace lenone.

Il ritmo del racconto in questa avventura al tempo stesso urbana e umana, è talvolta lasco, anzi, persino slabbrato, l’attore e regista sembra meditare a lungo e sotto ai nostri occhi su quale sia la strada migliore da intraprendere, tra un affondo sulla comunità chassidica, le incursioni nell’annoiato ambiente Wasp e un grazioso bozzetto domestico sul meltin’pot (la chiassosa famiglia di Murray). Ma gradualmente si fa strada l’ipotesi che Gigolò per caso sia soprattutto l’omaggio di Turturro alle donne, alla loro complessità, a quella schietta autenticità che non sempre il cinema è interessato a mostrare.
Sono fondamentalmente tre i personaggi femminili qui presi in considerazione: c’è la ricca dermatologa in crisi di mezza età incarnata da Sharon Stone, la sua amica del cuore, l’ispanica valchiria interpretata da Sofia Vergara e infine c’è Vanessa Paradis nei panni della vedova di un rabbino di tradizione chassidica, in cerca di affetto e contatto umano. Nessuna delle tre arriva però mai a sposare appieno un qualche usurato cliché, tutte hanno lo spazio per regalare qualche sensazione inattesa e cambiare d’un colpo l’opinione che lo spettatore può essersi fatto di loro.
Non manca poi, e questo è uno dei pregi maggiori del film – se si considera che le pellicole sulla prostituzione spesso saltano a piè pari questo passaggio (si pensi al recente Giovane e bella di Ozon) – una problematizzazione del ruolo di amante a pagamento, che lascia campo libero all’emergere di qualche interessante chiaroscuro sia nei personaggi della Stone e della Vergara che in quello di Murray, una sorta di beffardo Lucignolo pronto a trascinare l’amico sulla “cattiva strada”.

Vero e proprio inno accorato a tutto ciò che i tempi moderni ci hanno lasciato di analogico, reale, umano, Gigolò per caso è anche un omaggio al migliore cinema newyorkese del passato, dalla New Hollywood fino agli episodi indie degli anni ’90. Nelle sue immagini, fotografate in pellicola con grazia e acume nostalgico da Marco Pontecorvo (alla sua terza collaborazione con il Turturro regista), quel fading del titolo originale del film si traduce nel soft focus di una tradizione cinematografica che non c’è più, fatta sovente di toni dorati e tenui e animata da quel senso di presa diretta sul reale che oggi l’immaginario condiviso affida alle immagini digitali riprese con i cellulari. Là dove un tempo c’era l’imperfezione della grana fotografica, oggi troviamo infatti quella del pixel. Ma la New York di Turturro si nutre di quella di Fingers di James Toback, di Smoke di Wayne Wang e Paul Auster e del cinema dello stesso Woody Allen. Oggi niente è più come prima, è vero, ma nulla impedisce a Turturro di rievocare, senza eccessi di nostalgia, una realtà forse un po’ sbiadita ma dall’imperituro fascino, per noi così distante eppure così familiare.

Info
Il sito ufficiale di Gigolò per caso.
Gigolò per caso su facebook.
Gigolò per caso sul sito della Lucky Red.
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