Second Chance

Second Chance

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La Bier non ci risparmia quasi nulla, dalle mancate ellissi sulla sofferenza dei neonati alla beffarda e crudele circolarità narrativa. E i personaggi di Second Chance, come cavie da laboratorio, corrono inutilmente lungo i corridoi di questa parabola moraleggiante forzata nei toni e nella scrittura.

Bimbo a bordo. Sopravvivere con stile alla gravidanza

Andreas è un giovane e promettente detective appena diventato padre. Se sul fronte personale la sua vita è dominata dalle urla del figlio appena nato, sul lavoro deve affrontare una situazione non meno ingestibile. Il suo socio Simon, infatti, ha appena divorziato e sta assorbendo il colpo nel peggiore dei modi, esagerando con l’alcol e cercando a tutti i costi la rissa. Un giorno i due vengono chiamati a indagare su un caso di disturbo della quiete pubblica e si imbattono in una realtà di droga e violenza che li costringe a misurarsi con decisive questioni morali… [sinossi]

Prendiamo in prestito il titolo del libro di Barbara Sgarzi, Bimbo a bordo. Sopravvivere con stile alla gravidanza, per cercare di alleggerire l’ennesimo macigno melodrammatico della danese Susanne Bier, cineasta che raccoglie consensi sia nel Vecchio che nel Nuovo Mondo. Consensi ed entusiasmi, per quanto ci riguarda, difficili da decifrare sia in passato che in tempi recenti. Certo, sarebbe ingeneroso limitarsi alla ultime opache prove, ma già i celebrati Open Hearts (2002), Non desiderare la donna d’altri (2004), Dopo il matrimonio (2006) e In un mondo migliore (2010) contenevano i germi di un sentimentalismo di grana grossa, pronto a impantanarsi in ipermelodrammi ridondanti, patinati, fastidiosamente artificiosi. Il repentino allontanamento dalle linee guida di Dogma 95, abbracciato con Open Hearts, e il successivo approdo a Hollywood (Noi due sconosciuti, 2007) sono le molliche di pane che ci guidano lungo questo lacrimoso sentiero fino al disastroso Una folle passione e all’intricato drammone morale Second Chance. Un fulmineo uno-due tra Danimarca e Hollywood. Un definitivo knock-out?

Lo script di Second Chance è geometrico, glaciale. Due posizioni di partenza apparentemente trasparenti. Da un lato, il Bene, rappresentato dalla famiglia felice, bella, bionda e ricca del detective Andreas (un volenteroso Nikolaj Coster-Waldau), con tanto di neonato sano e splendente; dall’altra, il Male, incarnato da una stereotipata coppia di sbandati, drogati, sporchi genitori di un pupetto immerso nelle proprie feci, rinchiuso in un armadio e perennemente a rischio. Questa linearità viene ben presto capovolta, in un intreccio alquanto forzato tra dramma morale e thriller. Qualche colpo di scena, una certa svogliatezza nel calibrare e giustificare gli snodi narrativi e una discutibile e un po’ morbosa insistenza sui corpi dei neonati, veicolo perfetto per impietosire e impressionare la platea – la mente corre a un altro successo danese alquanto indigesto: Il sospetto di Thomas Vinterberg.

La Bier non ci risparmia quasi nulla, dalle mancate ellissi sulla sofferenza dei neonati alla beffarda e crudele circolarità narrativa. E i personaggi di Second Chance, come cavie da laboratorio, corrono inutilmente lungo i corridoi di questa parabola moraleggiante forzata nei toni e nella scrittura. La pellicola scivola via e ci resta tra le dita davvero poco: non la confezione, con i suoi paesaggi da cartolina, ma giusto l’impegno di Nikolaj Coster-Waldau e la presenza scenica di Ulrich Thomsen. Non ci resta che attendere la prossima fatica della Bier, Mary Queen of Scots (2016), produzione inglese con Saoirse Ronan.

INFO
La scheda di Second Chance sul sito del TFF2014.
Il trailer italiano di Second Chance.
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