Light Years

Light Years

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Presentato alla Settimana della Critica di Venezia 2015, Light Years dell’inglese Esther Campbell è un’immersione fin troppo levigata ed estetizzante tra le pieghe dell’infanzia e dell’adolescenza. Interessante l’ambientazione, una zona sospesa tra la campagna e una desolante periferia industriale, con l’autostrada a fare da barriera invalicabile, fredda e indifferente. Echi della Arnold, più di un dubbio, ma da tenere d’occhio.

Ti vengo a cercare

Mamma è in una casa di cura e la piccola Rose, 8 anni, vuole farle visita. Ma nessuno la accompagnerà. Come un fantasma alle prime luci dell’alba, il padre scompare dall’isolata casa di famiglia. Nel frattempo la sorella maggiore, Ramona, attende un ragazzo che non arriverà mai e il fratello Ewan entra in contatto con inquietanti visioni mentre il mondo reale si dimentica di lui. Ma Rose sa che una famiglia è come una costellazione, tutta interconnessa, anche quanto tutti sembrano distanti anni luce l’uno dall’altro… [sinossi]
E ti vengo a cercare
anche solo per vederti o parlare
perché ho bisogno della tua presenza
per capire meglio la mia essenza.
Franco Battiato – E ti vengo a cercare

Il volo seducente ma smaccatamente estetizzante delle farfalle, i troppi ralenti e la colonna sonora a tratti ridondante, la fuga paterna narrativamente stiracchiata e alcune scelte di scrittura e di messa in scena, peraltro tecnicamente impeccabile, alimentano i nostri dubbi su Light Years, esordio ambizioso e un po’ pretenzioso, levigato e patinato, della regista inglese Esther Campbell.
Presentato alla Settimana della Critica della Mostra del Cinema di Venezia 2015, Light Years mette in scena la disgregazione di una famiglia, sconquassata dalla malattia di Moira (la cantautrice folk Beth Orton), madre, moglie e collante emotivo, centro gravitazionale di Dee e dei suoi tre figli. Un’immersione tra le pieghe dell’infanzia e dell’adolescenza, che utilizza l’assenza dei genitori come motore narrativo: in un susseguirsi di metafore, la Campbell spinge i tre ragazzi/ni a vagare per la periferia e la campagna, fino a una meta (ir)raggiungibile.

La piccola Rose (Zamira Fuller), ragazzina ancora minuta che non si arrende a un padre indifferente e a un autobus che non si ferma [1], è la protagonista che non basta alla Campbell. Immersa in una campagna e in un bosco che hanno i contorni della dimensione altra, tagliata fuori dalla roboante autostrada e contraltare magico di una periferia dagli spazi vuoti e alienanti, Rose ci regala alcuni dei frammenti più convincenti: in primis, il bellissimo primo piano sulla collina, mentre osserva il paesaggio urbano – la sequenza che ricorda più da vicino il cinema di Andrea Arnold (Wuthering Heights, Fish Tank). Anche in questo caso, come in altre sequenze, la colonna sonora si sovrappone ai rumori della natura: è la cifra stilistica della Campbell, che accumula invece di sottrarre. Alla linearità del viaggio di Rose dalla casa alla clinica della madre, a stretto contatto con la natura, la regista e sceneggiatrice aggiunge il fardello sostanzialmente inutile dei due fratelli e degli altri personaggi, alcune parentesi piuttosto criptiche, i suddetti ralenti e via discorrendo.

Eppure alla Campbell, già regista di alcuni episodi della serie Skins, bastano poche pennellate per mettere in scena l’autostrada invalicabile, fredda e indifferente; per cristallizzare la solitudine della periferia; per immergerci negli occhi, nei pensieri e nella crescita forzata di Rose; per suggerire la malattia e l’instabilità della madre. Contraddizioni di un cinema alla ricerca di un centro di gravità, di una forma che non si disperda in mille rivoli, che abbia piena fiducia nel soggetto senza dover ricorrere ad abbellimenti artificiosi, a suggestioni visive à la page.

Light Years mostra lampi di talento, squarci di ottimo cinema e di raffinata sensibilità, ma resta impantanato in una poetica che forse dovrebbe lavorare di sottrazione estetica, sfrondando anche in fase di scrittura, restituendo all’adolescenza e alla sfera emotiva quella libertà che per il momento sembra soffocata. Echi della Arnold, più di un dubbio, ma da tenere d’occhio.

Note
1. La Campbell è partita proprio dall’immagine di una ragazzina che inseguiva un autobus, scintilla creativa puoi sviluppata, scritta e improvvisata durante le riprese.
Info
La scheda di Light Years sul sito della SIC.
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