Canto di Natale di Topolino

Canto di Natale di Topolino

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Uno dei migliori adattamenti cinematografici del Christmas Carol di Dickens viene dalla Disney, che nel 1983 fece interpretare Canto di Natale di Topolino da Zio Paperone, Paperino & Co.

Scroooooge!

Nella vigilia di Natale del 1843, mentre tutta l’Inghilterra vittoriana è invasa dallo spirito del Natale, Ebenezer Scrooge (Paperon de’ Paperoni) pensa solo al denaro che ha guadagnato e a farne di più. Mentre i pensieri egoisti di Scrooge frullano nella sua testa, Bob Cratchit (Topolino), esausto e sottopagato, continua a lavorare a lungo e duramente per lui. Fred (Paperino), l’allegro nipote di Scrooge, invita l’irascibile zio alla cena di Natale. Scrooge rifiuta. Più tardi, tornato a casa, Scrooge viene visitato dal fantasma di Jacob Marley (Pippo), l’avido socio di Scrooge morto sette anni prima… [sinossi]

Primo antefatto. Nel 1843 Charles Dickens dà alle stampe il primo dei suoi Christmas Books: si intitola A Christmas Carol: A Goblin Story of Some Bells that Rang an Old Year Out and a New Year In, ma passerà alla storia senza il lungo sottotitolo. La pubblicazione del Canto di Natale acquista un ruolo centrale all’interno della poetica e dell’arte di Dickens, da poco tornato dal lungo viaggio compiuto insieme alla moglie oltre oceano, a far visita ai “cugini” statunitensi. In America Dickens ha visto la schiavitù, sgranando gli occhi davanti a un sistema già corrotto, in cui il povero è sempre dominato, e impossibilitato a trovare una propria collocazione. In patria, dopotutto, da pochi anni è entrata in vigore la “New Poor Law”, emanata negli ultimi scampoli di regno di Vittoria: un insieme di ordinamenti che sulla carta dovrebbero agevolare le classi meno abbienti, ma nella realtà dei fatti si muovono esattamente nella direzione opposta, favorendo una volta di più la media e alta borghesia e, ancor più, l’aristocrazia britannica.
Dickens riversa tutto il suo sentimento di disapprovazione tratteggiando un personaggio, Ebenezer Scrooge, che nella Londra di metà Ottocento prospera facendo leva proprio sulle disparità sociali. Canto di Natale, letto con faciloneria come un riepilogo dei dettami del buon cristiano, è in realtà un acuto saggio politico sul conflitto insanabile tra le classi, spaccato tra il sarcastico e il drammatico della società inglese, in cui il tono buffonesco de Il circolo Pickwick si lega a reminiscenze dal sapore gotico. Così come la descrizione delle patrie galere nella storia del corpulento Samuel Pickwick, anche alcuni passaggi del Canto di Natale sembrano preconizzare l’avvento del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, pubblicato (non a caso proprio a Londra) il 21 febbraio del 1848.

Secondo antefatto. La Seconda Guerra Mondiale è appena finita. Carl Barks lavora oramai da dieci anni per gli studi creati da Walt Disney, e ha preso a cuore in maniera particolare la cosiddetta “famiglia dei Paperi”, che conta però solo pochi personaggi. Barks decide di rimpinguare la parentela di Paperino, e inizia inventando uno zio, ricco al di là di ogni umana comprensione, schivo, inacidito e cattivo. Lo immagina solo, seduto nella sua poltrona, il bastone da passeggio tra le mani. Un’immagine che crea un’immediata relazione tra il burbero e anziano papero ed Ebenezer Scrooge. La scelta del nome diventa quasi ovvia: Scrooge McDuck, con il cognome a evidenziare le origini scozzesi del personaggio – un riferimento alla Gran Bretagna che permette di continuare a giocare sul tema dell’avarizia, considerate le battute che da sempre imperversano sulla Scozia e sui suoi abitanti. La prima apparizione ufficiale di Zio Paperone (con questo nome sarà noto in Italia) è del dicembre del 1947, nella storia a fumetti Il Natale di Paperino sul Monte Orso. La prima vignetta lo ritrae in totale, seduto in poltrona, mentre pensa le seguenti parole: “Eccomi qui, seduto in questo enorme salone in attesa che passi il Natale! Bah! Questa stupida periodo quando gli uni amano gli altri! Dannazione”. Si passa quindi al primo piano: “Io… Io sono diverso! Tutti mi odiano e io odio tutti!”. Una dichiarazione d’intenti che non verrà mai smentita nel corso dei decenni, anche se in più di un’occasione sarà smussata e addolcita, soprattutto in riferimento a Paperino e a Qui, Quo e Qua. Fine degli antefatti.

1983. Walt Disney è morto da quasi diciassette anni, e la Casa del Topo sta vivendo un momento di stanca dopo i fasti dei cinquant’anni precedenti. L’unico lungometraggio d’animazione uscito nei primi anni Ottanta è il disomogeneo Red e Toby – Nemiciamici, e che la casa di produzione stia cercando nuovi territori da esplorare è evidenziato dalle scelte operate nelle sortite live action: nel 1979 esce il fantascientifico The Black Hole di Gary Nelson, la realtà virtuale la fa da padrona nel 1982 con Tron di Steven Lisberger e l’horror l’anno successivo con Qualcosa di sinistro sta per accadere di Jack Clayton, che esce negli USA ad aprile del 1983. Ma se da un lato i tentativi sono quelli di smarcare la Disney dai cliché e dalle abitudini del pubblico, dall’altro si avverte anche l’esigenza di sottolineare le proprie radici.
Nasce da questa esigenza Canto di Natale di Topolino, cortometraggio di meno di mezz’ora che raggiunse le sale nell’autunno/inverno del 1983. Un titolo che in breve tempo è entrato a far parte dell’immaginario cinematografico legato al Natale, ma che acquista un valore storico fin dalla sua preproduzione: era dal 1953, infatti, che un cortometraggio con protagonista Topolino non raggiungeva le sale, dai sette minuti di Topolino a pesca di Charles A. Nichols.

La prima peculiarità che salta agli occhi durante la visione di Canto di Natale di Topolino è la consapevolezza di trovarsi a tu per tu con un adattamento in piena regola di un romanzo: i personaggi in scena, a partire da Zio Paperone e Topolino, sono solo degli interpreti, che vestono i panni dei vari Scrooge, Bob Cratchit, Jacob Marley e via discorrendo. Una messa in scena del lavoro di Dickens che si dimostra anche decisamente coerente, senza cercare di edulcorare in alcun modo né la sgradevole cupidigia di Scrooge né il ritratto di un popolo povero, privo di protezione e lasciato alla mercé della bontà (o della crudeltà) del prossimo.
Se come si è visto Paperon de’ Paperoni è sempre stato un parente prossimo di Ebenezer Scrooge, al punto da rubargli persino il nome, la scelta del cast operata dagli sceneggiatori Burny Mattinson (al lavoro anche alla regia), Tony Marino, Ed Gombert, Don Griffith, Alan Young, Alan Dinehart si dimostra lungimirante. Topolino, l’eroe senza macchia e senza paura dell’immaginario disneyano è ridotto nei timidi panni di Cratchit, il mingherlino impiegato di Scrooge, da quest’ultimo vessato a ogni occasione e sfruttato nei modi più biechi; Pippo è un sublime Jacob Marley, compagno di lavoro e di avarizie del protagonista e ora costretto da fantasma a trascinarsi dietro – con non poca goffaggine – le catene della colpa; Paperina è Isabelle, la donna amata in gioventù da Scrooge e che riecheggia nel “Natale Passato”. Proprio il mantenimento dello schema dei cinque atti drammatici, alla base anche del romanzo di Dickens, rappresenta uno dei punti di forza di Canto di Natale di Topolino. La storia si sviluppa in cinque passaggi chiave: il 24 dicembre, con la presentazione dei personaggi e la mano calcata sulla crudeltà priva di rimorsi di Scrooge; i viaggi nei “tre Natale”, quello del passato, del presente e del futuro; e, infine, il risveglio dal sogno di Scrooge e la sua definitiva presa di coscienza. Scanditi attraverso un utilizzo del tempo mirabile, in cui gag, melanconia e dramma si mescolano senza mai scadere nel patetismo o nella comicità irrazionale, questi cinque passaggi articolano una storia che racchiude al proprio interno anche molti dei punti fermi della poetica disneyana, a partire dall’evoluzione di un personaggio che scopre la propria umanità.

Mattinson, che aveva esordito alla Casa del Topo nell’ultimo progetto curato personalmente da Walt Disney, lavorando come autore dello storyboard per Il libro della giungla, firma qui la sua prima regia – co-dirigerà nel 1986 anche l’affascinante Basil l’investigatopo – e dimostra di volersi muovere nel solco della continuità con il passato: se gli anni Ottanta porteranno una ricerca dell’innovazione non sempre condivisibile, Canto di Natale di Topolino è dominato da un’aura di classicità che lo rinforza, relegandolo in un posto fuori dal tempo e dallo spazio, dove sembra dialogare realmente con l’Inghilterra vittoriana.
Il film è anche una grande elegia del prodotto disneyano, e ospita al proprio interno i protagonisti più disparati, da Ezechiele Lupo (con annessi tre porcellini) al Grillo Parlante, da Willie il gigante (quello del delizioso Topolino e il fagiolo magico del 1947) a Pietro Gambadilegno, passando poi per Nonna Papera, Ciccio, Ciquita, Orazio Cavezza e Clarabella, Cip e Ciop, alcuni personaggi de Le avventure di Ichabod e Mr. Toad, Robin Hood e Gli Aristogatti. La Disney rivendica il proprio ruolo e la propria storia, e lo fa senza venir mai meno alle regole (non) scritte attorno alle quali è stata costruita. Attraverso una regia elegante e misurata Burny Mattinson firma un cortometraggio che diventa “classico” già durante la prima visione, viaggio nelle pulsioni umane – ma anche dei paperi, a quanto pare – buffo, dolente e persino pauroso, cui basta una sedia a dondolo per rubare il cuore degli spettatori. Il capolavoro di Dickens ha ottenuto un numero imprecisato di adattamenti (più di una trentina), ma Canto di Natale di Topolino rimane, a più di trent’anni di distanza dalla sua realizzazione, il più riuscito, insieme forse a Festa in casa Muppet di Brian Henson (1992) e A Christmas Carol di Robert Zemeckis (2009), altri tentativi di tradurre la pagina scritta attraverso diverse tipologie di animazione. L’unica tecnica, con ogni probabilità, in grado di restituire fino in fondo lo spirito del racconto dickensiano.

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Canto di Natale di Topolino su Dailymotion.
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