Sette spose per sette fratelli

Sette spose per sette fratelli

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Considerato da molti uno Stanley Donen “minore”, Sette spose per sette fratelli è invece l’elegia del musical hollywoodiano, il trionfo del teatro di posa e dell’irreale elevato a intrattenimento di massa.

Goin’ Courtin’

Sulle montagne di un non meglio specificato villaggio dell’Oregon vivono i sette fratelli Pontipee, tutti giovani e ancora scapoli, preoccupati più di spaccar legna e menar le mani che non di trovar moglie. Adamo, il fratello maggiore, si rende conto che una presenza femminile è indispensabile, soprattutto per tenere la baita pulita e per poter mangiare dei pasti decenti. Di conseguenza, quando scende al villaggio a valle per acquistare provviste, decide di trovare la sua futura moglie. La ricerca lo porta a conoscere Milly, la cameriera dell’osteria-locanda del villaggio: tra i due scocca il colpo di fulmine, coronato da immediate nozze. Durante il viaggio per raggiungere la dimora dei Pontipee, Adamo non rivela a Milly dell’esistenza dei fratelli. Non appena messo piede nella casa del marito, Milly si rende conto della situazione: Adamo sembrerebbe averla sposata solo per avere una sorta di sguattera per sé e per i fratelli. Ma… [sinossi]

Montagne dell’Oregon, esterno giorno. Jane Powell ha appena terminato la prima strofa di Wonderful, Wonderful Day e sta per cantare “Bluebirds in the bluebells sing a song to send me along my way”; nella scena ha fatto la propria comparsa un nugolo di uccellini, a sottolineare lo splendore estatico della natura. Uno di loro, stordito e impaurito, ha però preso la strada sbagliata, e si va a schiantare contro le montagne sullo sfondo. Perché le montagne dell’Oregon formeranno anche un paesaggio mozzafiato, ma sono troppo scomode per una produzione hollywoodiana, che preferisce tenere gli uomini sotto contratto al sicuro, lontano da rischi di infortuni e salate assicurazioni da versare, e anche dal costo di una trasferta. Soprattutto se il film in questione, Sette spose per sette fratelli non è il titolo di punta della Metro-Goldwyn-Mayer, che ripone ben poca fiducia in questo musical dalle ambientazioni western; è il 1954, e la MGM punta tutte le sue carte su Brigadoon di Vincente Minnelli, con i turisti statunitensi Gene Kelly e Jeff Douglas alle prese con la fiabesca città scozzese che appare solo una volta ogni cento anni.
Minnelli e Kelly, due galline dalle uova d’oro per il musical: il primo ha già diretto Incontriamoci a Saint Louis, Spettacolo di varietà e Un americano a Parigi, quest’ultimo insieme a Kelly che ha però sbancato i botteghini con Cantando sotto la pioggia, da lui codiretto insieme a Stanley Donen.

Ed è proprio Donen a doversi destreggiare con i boscaioli di Sette spose per sette fratelli. Difficile immaginare dei rudi uomini dei boschi, ignoranti anche delle più basilari regole di igiene personale, possano risultare credibili mentre cantano e fanno piroette sullo schermo: non a caso il contrasto tra questi due elementi genererà uno dei gag più riusciti dei Monty Phyton all’epoca del geniale Flying Circus televisivo. Lo stesso Michael Kidd, il coreografo assoldato, è scettico: il soggetto, basato su Sobbin’ Women di Stephen Vincent Benét, sembra adattarsi più a una commedia romantica che a un musical. A ulteriore riprova della scarsa attenzione riservata al film dalla produzione, la MGM decide di stampare le copie sia in Cinemascope che nel tradizionale aspect ratio. Appare quasi paradossale che a venire ingabbiato in un set dal sapore così “vintage” sia proprio Donen, il regista che per primo aveva osato abbandonare gli studi per portare le riprese di un musical en plein air con Un giorno a New York, altro titolo osteggiato dalla MGM e destinato a un successo duraturo.
La scarsa capacità di analisi produttiva della casa fondata da Marcus Loew e Louis B. Mayer rischia di divenire proverbiale se ci si sofferma sul ruolo svolto, nel corso dai decenni, da Sette spose per sette fratelli nell’immaginario collettivo. Gli evidenti limiti di budget vengono risolti da Donen, Kidd e dal resto della troupe con una serie di intuizioni che permettono al film di apparire cristallizzato nel tempo, inadatto ad appartenere a qualsiasi epoca storica di Hollywood. Per niente reazionario – per quanto a conti fatti la storia racconti di come il compito della donna sia quello di ammansire e “rendere umano” l’uomo, che l’ha però costretta a questo ruolo contro la sua volontà –, né tantomeno passatista, Sette spose per sette fratelli può permettersi di rischiare là dove produzioni più onerose e dunque ben più controllate, avrebbero faticato a trovare dei condotti d’aria.

Tutto è ridotto all’angusto spazio dei teatri di posa? Il gioco sugli sfondi diventa dunque essenziale: al naturalismo del villaggio, e ancor più della sequenza citata con Wonderful, Wonderful Day, si contrappone il rigore geometrico, fin troppo razionale, dell’innevato scenario in cui i fratelli Pontipee si esibiscono in Lonesome Polecat.
Ed è proprio questa sequenza a rendere evidente la migliore intuizione di Donen. Per evitare che il pubblico in sala trovi risibili questi omoni costretti a languidi sguardi e movenze da ballerini, le coreografie non fanno leva tanto sulla danza, quanto piuttosto sull’atletismo, la muscolarità dell’esibizione. Ne è prova inconfutabile la lunga e appassionante sequenza della festa al villaggio, dove i sette fratelli ingaggiano una battaglia “invisibile” contro i fidanzati delle ragazze su cui hanno messo gli occhi. Tra volteggi attorno alla lama di un’ascia, equilibrismi sul bordo di un pozzo e accenni di quadriglie, il musical si trasforma in una sarabanda agonistica, in cui la raffinatezza del ballo deve lasciare spazio, in più di un caso, all’urgenza dell’azione fisica. Se il musical affondava le proprie radici nel balleto europeo, Sette spose per sette fratelli lo ricodifica a materia puramente americana, immediata e forse anche più rozza, ma “popolare” e mai elitaria. E non è dunque un caso che il genere scelto sia il western, identitario come nessun altro per l’epopea hollywoodiana. Poco importa se tutto viene rinchiuso in uno spazio chiuso. Il musical avrà tutto il tempo per correre libero tra prati e montagne (l’incipit di Tutti insieme appassionatamente di Robert Wise), ma Donen ha già dimostrato come ciò non sia assolutamente necessario, perché il genere è già di per sé l’irreale elevato a forma unica di poesia.

Info
Sette spose per sette fratelli, il trailer originale.
Bless Your Beautiful Hide, prima canzone di Sette spose per sette fratelli.
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