Dora Nelson

Dora Nelson

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Prima regia in solitaria per Mario Soldati, Dora Nelson è un classico della commedia italiana degli anni Trenta, dove però i toni leggeri e ‘da telefoni bianchi’ sono attraversati da una radicale (e cinica) riflessione sulla finzione che, tra Plauto e Pirandello, gioca sul doppio e sull’identità. Al Cinema Ritrovato 2016.

Tutto è finzione

L’ex principessa russa Dora Nelson, attrice viziata e moglie dell’industriale Giovanni Ferrari, abbandona il set per seguire un improbabile e misterioso principe, ma è solo una beffa organizzata dal suo primo marito, creduto morto in un incidente ferroviario. Il regista del film l’ha intanto rimpiazzata con la modesta operaia Pierina, sosia di Dora, alla quale l’industriale chiede di recitare anche nella vita il ruolo della moglie. [sinossi]

Intellettuale eclettico e sanamente popolare – tra le sue varie attività ci fu anche quella di inviato al trionfale Mundial degli azzurri nel 1982 – Mario Soldati è una figura eccentrica nel nostro panorama cinematografico, almeno così come si è andato configurando in particolare dagli anni Sessanta in poi, con la rigida divisione tra autori e registi ‘alimentari’. Lo scrittore, giornalista e conduttore televisivo torinese ha invece sempre concepito il cinema – sin dai suoi esordi dietro la macchina da presa nella seconda metà degli anni Trenta e poi fino alla fine degli Cinquanta – come intrattenimento di classe, raffinato, ‘professionale’, tanto da finire per essere relegato tra i calligrafici.
E a prima vista Dora Nelson, esordio di Soldati nel 1939 come regista in solitaria e riproposto in 35mm al Cinema Ritrovato 2016, non nega questa classificazione, tutt’altro. Tra set di cartapesta, cortili di Cinecittà, una Cannes immaginaria e completamente ricostruita in studio (a parte un’inquadratura), Dora Nelson è probabilmente a tutti gli effetti un film da ‘telefoni bianchi’. Difatti non mancano aristocratici in esilio, principesse destituite del trono e popolani che aspirano ad avere il sangue blu.

Tutto questo però, invece di essere dato come ‘reale’, viene sottolineato in quanto finzione, in quanto messinscena. Il meccanismo spettacolare del cinema appare dunque in Dora Nelson esplicitato e in qualche modo ridicolizzato, facendo balenare l’ipotesi che in fin dei conti Soldati abbia lavorato di ‘meta-genere’, realizzando piuttosto un film sui telefoni bianchi.
In un gioco di mascheramenti e di sdoppiamenti che sembra debitore allo stesso tempo di Plauto come di Pirandello – per il tema degli equivoci, quello dell’adulterio, nonché della messa in discussione dell’identità – Soldati ci mostra un’aristocratica diventata attrice il cui nome è Dora Nelson (e alcuni dubitano delle sue discendenze reali immaginando che quella della donna sia una finzione scenica), un attore squattrinato che finge di essere un principe, una ragazza del popolo che viene chiamata a fingersi attrice, uno spasimante che continua a scambiare l’identità delle due donne e il primo marito di Dora che si fa credere morto da anni pur di trovare il modo per estorcere dei soldi alla moglie.

Remake dell’omonimo film francese del ’35 di René Guissart, a sua volta adattamento di una commedia di Louis Verneuil, Dora Nelson è dunque una pochade dove sono ben pochi i personaggi moralmente degni, perché la gran maggioranza degli attanti è impegnata a ingannare il prossimo. In particolare colpisce il modo in cui appare la ‘vera’ Dora Nelson (sia la diva che la ragazza del popolo sono interpretate da Assia Noris, volto tra i più noti del nostro cinema dell’epoca e moglie di Mario Camerini, cui Soldati aveva fatto da aiuto-regista): la donna, crudele ed egoista nei confronti del secondo marito e della figlia acquisita, si rivela ingenua e infantile nel credere invece all’amore del finto principe, fino a essere derubata di parte del suo denaro. Eppure, anche nel momento in cui le avversità finiscono per farla diventare una vittima, Soldati ci impedisce di provare pena per lei, continuando a descriverla in modo negativo. È qui che allora il cinismo si allarga anche al film stesso e alla condanna senza appello che viene riservata alla sua protagonista: Dora Nelson è un personaggio di cartapesta e non merita che si piangano lacrime per lei, anche perché in fin dei conti è sacrificabile.
Così in questa ronde di scambi, di sostituzioni, di svelamenti e di disvelamenti, quel che è emerge è che tutto è replicabile, tutti sono sostituibili, basta che il meccanismo continui a funzionare senza essere mai smascherato del tutto. E in questo movimento Soldati non può non far rientrare, di nuovo, anche il suo stesso film: non è un caso allora che, nel momento in cui la ragazza del popolo si trova per la prima volta a sostituire Dora Nelson, la si veda entrare nello spazio scenico e farsi letteralmente immaginario. Chiamata infatti a interpretare una scena con alle spalle il trasparente di un bosco e con giusto un paio di fronde reali, la ragazza si immedesima presto e noi con lei, perché l’astuta macchina da presa di Soldati parte prima da un totale, dove la finzione è esplicita, e arriva poi fino alle mezze figure dei due attori, facendo combaciare l’inquadratura del film nel film con la sua e dunque aprendo il terreno alla momentanea sospensione dell’incredulità. Ecco che allora il potere fascinatorio del cinema si può compiere.

Se poi, in tutto questo voler ribadire la falsità della finzione, vi fosse in Soldati anche una satira indiretta e nascostissima nei confronti della finzione del regime fascista è ben difficile dirlo. In ogni caso, un film come Dora Nelson dimostra ancora oggi tutta la modernità del suo discorso meta-cinematografico e vale anche come eccellente esempio di commedia del tutto priva di legami con la successiva commedia all’italiana (che era anch’essa figlia del neorealismo). E dunque chi oggi, tra i nostri registi, dice di volersi rifare alla commedia anglosassone, più che a quella nostrana sporca e cattiva di Monicelli e compagnia, forse dovrebbe rivedersi questo film che, pur nella sua aura favolistica, non risparmia crudeltà assortite.

Info
La scheda di Dora Nelson sul sito del Cinema Ritrovato.

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