The Accountant

The Accountant

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Con protagonista Ben Affleck nei panni di un matematico autistico e palestrato, The Accountant di Gavin O’Connor è un thriller sbilenco e maldestro che, come una maionese impazzita, mischia drammi familiari, spy story e baracconate action. Alla Festa del Cinema di Roma.

Si chiama Wolff e risolve troppi problemi

Christian Wolff è un matematico autistico che ha più affinità con i numeri che con le persone. Lavora sotto copertura in uno studio di una piccola città di provincia, come contabile freelance per alcune delle organizzazioni criminali più pericolose del mondo. Ed è anche preparato militarmente per affrontare le situazioni più estreme. [sinossi]

Il nuovo film di Gavin O’Connor (al suo attivo, tra gli altri, Pride and Glory – Il prezzo dell’onore e Warrior) sembra essere l’esatta incarnazione di come tutti i pregi che riconosciamo al cinema americano – e in particolare hollywoodiano – se ecceduti, forzati e rovesciati nelle sue classiche formule, si trasformano in disastro. La leggerezza tipicamente statunitense diventa allora spicciola superficialità, la centralità del racconto assume l’aspetto di un imbarazzante groviglio narrativo, l’immediata riconoscibilità caratteriale dei personaggi si trasforma in spaventoso vuoto di caratteri e in macchiettismo di terza categoria, il divo iconico si tramuta in attore mediocre e svogliato. In tal senso è difficile individuare in The Accountant l’aspetto più deteriore tra quelli elencati, e anzi si potrebbe dire che, durante la visione del film, questi si palesino tutti ben presto nella loro flagranza.

Nel raccontare infatti l’immaginaria vicenda del matematico autistico Chris Wolff – interpretato da un basito e afasico Ben Affleck – Gavin O’Connor accumula elementi sin troppo strambi, e soprattutto inconciliabili. A partire proprio dalla iper-caratterizzazione del protagonista: questi infatti non è solamente autistico – e dunque insuperabile con i numeri, come insegna il Dustin Hoffman di Rain Man -, è anche militarmente letale (dato che è stato educato dal padre al culto della forza perché superasse il suo problema comportamentale); senza dimenticare che non si capisce bene per quante persone lavori contemporaneamente, che fa amicizia con due anziani che sembrerebbe voler identificare come surrogati dei genitori, che si invaghisce del personaggio impersonato da Anna Kendrick (e costruisce con lei delle scenette da sit-com) e che è anche legato in maniera irrisolta al fratello ‘normale’.

Tutte queste caratteristiche e tutti questi vettori narrativi che si diramano a partire da un unico personaggio fanno sì che il protagonista di The Accountant appaia come un guazzabuglio inestricabile, tanto schizofrenico e con così tante skill e personalità, da apparire paradossalmente in scena vestito di una orizzontale elementarità, come se fosse un guscio vuoto. E infatti Affleck, arreso, si decide a non recitare, mantenendo sempre la stessa espressione e regolandosi come se ancora non fosse uscito da Batman, apotropaicamente protetto da una maschera che qui ovviamente non ha.
Ma, in tutto questo, The Accountant ci regala anche delle sottotrame/sottosituazioni che riguardano sia una agente federale che – senza tra l’altro mai lasciare il suo pc – si mette sulla tracce di Chris Wolff, sia il capo di lei che ha qualcosa di poco chiaro (anche a lui) da spartire con il nostro eroe e sia una location molto caratterizzata e cioè una fabbrica all’avanguardia nella robotica e nella ricostruzione degli arti che non si capisce bene a cosa serva alla storia. E di fronte a ciò non si può che procedere per l’appunto come una maionese impazzita, con personaggi che spariscono per più di un’ora, flashback che si mischiano in modo disordinato a narrazioni nel presente, colpi di scena inverosimili, sparatorie estenuanti e dirette senza la menoma idea di cosa voglia dire fare una sequenza action.

Detto questo, non si capisce neppure se O’Connor avesse voglia di parlarci di qualcosa di preciso. La solitudine esistenziale di un matematico autistico? No, perché non l’avrebbe contornato di figure che si affannano intorno a lui. La storia d’amore di un timidone (d’altronde l’autistico non può non essere timido) con una donna anche lei un po’ timida? Neppure, perché poi la Kendrick sparisce improvvisamente dalla scena. Una riflessione sul potere letale e orribile della violenza, vista la presenza della fabbrica in cui si ricostruiscono arti? Neanche, dato che questo elemento non viene mai sviluppato come tema. Una rocambolesca storia action-thriller, tonitruante e adrenalinica, ma anche un po’ malinconica? Forse sì, forse erano effettivamente queste le intenzioni di O’Connor. Peccato che persino il ritmo, sonnacchioso e svagato, non sia del livello necessario per parlare di The Accountant come di un action. E peccato che la malinconia – e magari anche la tragedia – del vivere venga seppellita da una palese malagrazia nel costruire personaggi, dialoghi e situazioni. No, non c’è proprio nulla da salvare in The Accountant.

Info
Il trailer di The Accountant su Youtube.
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