La promessa
di Valerio Zurlini
Unico film televisivo di Valerio Zurlini, diretto nel 1970, La promessa racconta vent’anni di vita di due uomini e una donna, restando in un unico ambiente e lavorando con miracolosa efficacia sui dialoghi e sulla messa in scena. Alla Festa del Cinema di Roma per la retrospettiva dedicata al regista.
Quei momenti di illusioni perdute
L’azione si svolge a Leningrado lungo tre precise fasi storiche: durante la guerra e l’assedio della città nel 1942, subito dopo la fine delle ostilità nel ’46 e all’alba degli anni Sessanta nel dicembre del ’59. I protagonisti sono due uomini e una donna che sviluppano nel corso di questi anni una amicizia e una complicità che li terrà legati per sempre. [sinossi]
In una carriera non facile come quella di Valerio Zurlini, che non sempre riuscì a fare i film che voleva e che a volte si trovò a dirigere film che non voleva (così come racconta nel diario Gli anni delle immagini perdute), il suo unico lavoro televisivo, La promessa (1970), spicca in quanto ci appare tra le sue opere quella che, pur non rappresentando l’apice della carriera, sembra rispecchiarne al meglio la poetica, in una maniera – per così dire – più assoluta.
Proiettato all’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma nell’ambito della retrospettiva dedicata al regista di origine bolognese, La promessa si è creduto perduto per lunghi anni finché non è stato ritrovato dal gruppo di Fuori orario (e in particolare da Ciro Giorgini) nel 2012. Quell’anno il film – articolato in due puntate, ma pensato come un’opera unica – venne presentato al festival di I Mille Occhi, in occasione di un corposo omaggio dedicato al regista. E dunque, a parte queste rare occasioni, La promessa resta senz’altro l’opera meno vista di Zurlini ed è per questo che la sua riproposta ci pare ancor più preziosa, anche in considerazione dello stato in cui versa la copia, la cui registrazione su nastro si è parecchio deteriorata nel corso dei decenni.
Già portato a teatro dallo stesso Zurlini e con lo stesso cast (Anna Maria Guarnieri, Giulio Brogi e Giancarlo Giannini), La promessa è la trasposizione di un testo teatrale del drammaturgo sovietico Aleksei Nikolaevič Arbuzov, pubblicato nel 1965, ove si racconta la storia di amicizia/amore/tradimento tra due uomini e una donna, a partire dall’incontro dei tre avvenuto nel ’42 durante l’assedio di Leningrado, fino ad arrivare all’alba degli anni Sessanta. Tutto girato in un unico ambiente, l’appartamento di Marat (Brogi) dove in momenti diversi arrivano a rifugiarsi i personaggi nel corso della guerra, La promessa è dunque un film esclusivamente di caratteri, in cui si porta alle estreme conseguenze – e alla radicalità più cristallina – il finissimo lavorìo di Zurlini nel ritratto intimo e psicologico.
D’altronde, il confronto serrato di caratteri – preferibilmente due – segna in maniera più o meno evidente tutta la filmografia del regista, a partire da Estate violenta e da La ragazza con la valigia (dove il confronto è tra un uomo e una donna), passando per Cronaca familiare e per Seduto alla sua destra (dove il confronto è tra due uomini), fino ad arrivare a La prima notte di quiete (in cui il confronto si produce all’interno di una micro-comunità disgregata). Tipicamente zurliniana è dunque la progressione dei rapporti di conoscenza tra personaggi, che arrivano fino all’intimità più profonda (o, almeno, lo credono) e che però poi ad un certo punto si arenano, arresi di fronte all’impossibilità di ‘sciogliersi’ l’uno nell’altro. Ed è allora in tal senso, nella concentrazione di tre figure in un unico spazio, prive di qualsivoglia distrazione, che La promessa si pone come enucleazione più pura del cinema di Zurlini.
Il film inizia perciò durante le giornate dell’assedio di Leningrado – che durò 900 giorni – da parte delle truppe naziste, poi sconfitte. E inizia nell’inverno del ’42, la fase più tragica di quell’assedio. Qui Marat torna a casa e vi trova una ragazza, Lika (Guarnieri), che si è riparata lì e, per sopravvivere al freddo, ha bruciato tutto quel che ha trovato nell’appartamento, ivi comprese le foto della famiglia di Marat. L’uomo all’inizio è furioso e disperato nello scoprire che gli è stata cancellata la memoria ma, di fronte ai continui bombardamenti, accetta la situazione: la sua ‘memoria’, la sua ‘famiglia’, altri non potranno essere che quella sconosciuta che ha occupato il suo appartamento. Il precario equilibrio che sta nascendo viene a includere una terza persona, Leonidik (Giannini), anch’egli costretto a rifugiarsi lì. E da quel momento in poi si crea una tensione tra i due uomini, in cui – per un sottile gioco sadomasochistico – prima l’uno e poi l’altro vorrebbero avere la donna e prima l’uno e poi l’altro vorrebbero lasciare il campo libero all’amico. Con una certezza, che si fa vieppiù amara con il passare degli anni: la ‘spensieratezza’ di quell’inverno del ’42 non tornerà più. Di fronte agli assalti della guerra, di fronte al rischio di morire da un momento all’altro, l’uomo perde infatti ogni freno inibitorio, lascia da parte ipocrisia e sovra-strutture e sceglie di abbandonarsi all’altro.
Come in tutta la sua filmografia dunque, Zurlini in La promessa gioca sul crinale del conflitto tra illusioni giovanili e dolore del rimpianto, nel senso che le une si trasformano nell’altro senza che quasi nemmeno si sia in grado di identificare il momento esatto in cui questo avviene. E, come si diceva, in questa sua opera televisiva più che in qualsiasi altro suo film – persino più che ne Il deserto dei Tartari, dove il vero protagonista è l’incredibile location – Zurlini riflette su aspirazioni e disillusioni, e lavora in tal senso su una regia e su una scrittura che restano sempre intorno ai personaggi, mostrandoli nelle loro debolezze e nelle loro rade sicurezze.
Girato con uno stile essenziale – la macchina da presa è praticamente sempre fissa e vi sono solo di tanto in tanto degli zoom per fare qualche operazione di recadrage – La promessa si costruisce addirittura su solo un paio di fughe prospettiche all’interno di quell’unico spazio in cui è ambientato: prima con lo sguardo rivolto verso l’interno durante l’assedio (e con i bombardamenti che entrano prepotentemente e ininterrottamente in colonna sonora) e poi verso l’esterno nella fase successiva alla fine della guerra. In una dimensione quindi che è prima centripeta e poi centrifuga.
Perciò, pur in un contesto in cui il dialogo è sostanzialmente tutto, è facile comunque notare come le poche possibilità a disposizione per una messa in scena efficace ed espressiva siano state sfruttate al massimo da Zurlini, ivi compresa la costante allusione al fuori campo, che non è solo il mondo al di là della finestra, quanto anche altri punti della casa o anche il pianerottolo, l’ingresso, gli altri appartamenti del palazzo, ecc.
Questa era la grande TV che si faceva un tempo: senza mezzi e privilegiando la scrittura, la regia e la recitazione. Qualcuno tornerà a provarci?
Info
La pagina Wikipedia dedicata a Valerio Zurlini.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: La promessa
- Paese/Anno: Italia | 1970
- Regia: Valerio Zurlini
- Sceneggiatura: Valerio Zurlini
- Montaggio: Valerio Zurlini
- Interpreti: Anna Maria Guarnieri, Giancarlo Giannini, Giulio Brogi
- Produzione: RAI
- Durata: 143'