Baba Yaga

Baba Yaga

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Secondo e ultimo lungometraggio diretto da Corrado Farina, Baba Yaga si immerge nel fantastico rivisitando il mito del Golem in una Milano spettrale. Al Trieste Science+Fiction.

La bambola di carne

Baba Yaga è una donna misteriosa che si inserisce fra Valentina, fotografa di fotoromanzi e di servizi giornalisti, contestatrice e tenace, e Arno, regista televisivo tuttofare contestatore tiepido inserito comodamente nel “sistema”. Valentina si reca a fotografare vecchi gioielli e anticaglie nella casa di Baba Yaga: vecchia e fatiscente la casa, vecchia e sfatta la donna. Baba Yaga dona alla ragazza una bambola anch’essa misteriosa, Annette… [sinossi]

Baba Yaga è la strega per eccellenza del folklore russo e slavo. Baba Yaga (o Jaga) è uno dei quadri da un’esposizione di Modest Petrovič Musorgskij (il nono, intitolato La capanna sulle zampe di gallina (Baba Jaga)). Baba Yaga è la protagonista di uno dei fumetti di Guido Crepax incentrati sulla figura di Valentina, alla base anche del film di Corrado Farina, uno degli esempi più bizzarri del cinema fantastico italiano. Il fatto che il secondo e ultimo lungometraggio di Farina – il primo, Hanno cambiato faccia, conquistò il Pardo d’Oro al Festival di Locarno; per il resto nessuno ebbe il coraggio e la lungimiranza di donare ulteriori possibilità cinematografiche a Farina – trovi collocazione all’interno del palinsesto del Trieste Science+Fiction 2016, in una giornata in cui lo sguardo si volge al passato, con le proiezioni anche de La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati e Il gatto a nove code di Dario Argento, sta lì a testimoniare il ruolo, non sempre riconosciuto, svolto dal regista e scrittore all’interno delle dinamiche della produzione “di genere” degli anni Settanta. Certo, i più hanno avuto modo di conoscere Farina solo dopo la recente dipartita, ma questo è un altro discorso, che porterebbe lontano, verso lacrime di coccodrillo e altre amenità simili. La verità è che il cinema di Farina ha saputo cogliere un punto di passaggio non solo dell’immaginario cinematografico italiano, ma dello stesso sistema dell’industria dello spettacolo. Muovendosi a cavallo tra cinema e pubblicità, tra estetica e puro commercio – discorso alla base del satirico Hanno cambiato faccia crudele scandaglio del panorama industriale della penisola che sfrutta il babau vampiresco per deformare e deviare lo sguardo – Farina ha trovato un territorio inesplorato, e l’ha abitato di figure immerse nella nebbia, di traslucidi fermi immagini fotografici.

Baba Yaga vive in fin dei conti nel punto di incontro, del tutto inusuale, tra il modernismo di una Milano da bere che sembra sorella minore della Londra di Blow Up, e l’arcaismo misterico della bambola Annette, donata da Baba Yaga alla protagonista Valentina, ovviamente fotografa che non ha timore di valicare i confini della morale dell’epoca e di dimostrarsi trasgressiva. Ed è dopotutto un affresco ultra-pop anche il film di Farina, che gioca da un lato con i contrasti netti del set fotografico e dall’altro si lascia ammorbidire da uno sguardo sensuale che tutto confonde, come nella magione-antro della strega, così cupo, quasi deforme, grottesco, fuori dai canoni della logica. Nella Milano iper-razionale del post-boom, capitale di un’economia che si dice allegramente in crescita, vive, vegeta e si nutre un essere mostruoso, più antico dell’antico, eterno forse, materiale e immateriale allo stesso tempo, come quella bambola che sa prendere vita solo per uccidere, mostro umano e demoniaco.
Vive di contrasti, Baba Yaga, e si ancora al suo tempo come non pochi altri esempi di produzione di genere dell’epoca. Per questo forse all’occhio assonnato può apparire come un’opera desueta, lontana da urgenze attuali. In realtà, nella sua rilettura di un’eroina, Valentina, destinata a scombinare i piani di una società bacchettona e per niente liberale, Farina riesce a rintracciare il senso di una società che vorrebbe dirsi progressista, ma non riesce a liberarsi dai legacci ai quali è avvinta. Ecco dunque lo stato di apparente contrasto infinito, come quella sessualità che da un lato è vissuta in modo morboso, malato, dominatore per crudeltà (Baba Yaga) e dall’altro è invece solo simbolo di una soddisfazione personale che qualsiasi donna dovrebbe avere il diritto di ricercare (Valentina).

Nel mettere in scena con inventiva mai decrescente la lotta infinita tra istante onirico e realtà – due momenti che hanno luoghi di appartenenza ben chiari, come dopotutto accadeva anche nel precedente Hanno cambiato faccia; il sogno ha luoghi da abitare, e dai quali può essere impossibile, o mortale, cercare di fuggire – Farina sfrutta gli escamotage tecnici a disposizione con uno stile mai prono, sempre intellettualmente alla ricerca del nuovo. Un linguaggio che flirta con gli umori sperimentali dell’epoca e che trova corpo, nella finzione, in quell’Arno Treves interpretato da George Eastman che vorrebbe poter esprimere la propria concezione del mondo attraverso l’immagine ma è “costretto” a limitarsi all’esecuzione ben riuscita di spot pubblicitari, caroselli televisivi invasi da zoom, carrellate, acidità lisergiche e chi più ne ha più ne metta.
Ne viene fuori un film teorico e fantastico allo stesso tempo, in grado di avviluppare lo spettatore nelle sue spire di latente erotismo – a Farina l’aspetto sessuale interessa solo nella sua funzione sociale, in questo lontano dalle esigenze anche scopiche delle tavole di Crepax, che infattì apprezzò solo in parte l’operazione cinematografica – senza mai però soffocarlo fino in fondo. Oggetto liberissimo ma mai anarcoide, per lo meno nella resa estetica, Baba Yaga merita di essere annoverato una volta per tutte tra le opere più affascinanti del fantasy italiano, lontano da truculenze di qualsiasi tipo ma in grado di angosciare ancora oggi, a più di quarant’anni dalla sua realizzazione. Una rilettura del mito del Golem che non ha figli, e non ha mai ricercato parentele di alcun tipo. Corrado Farina è stato un regista colto, un intellettuale prezioso. Peccato che i più se ne siano accorti, come sempre, troppo tardi.

Info
Il trailer di Baba Yaga.
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