Porto

Porto

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Il critico e cineasta Gabe Klinger firma una storia d’amore minimale, ambientata in una Porto notturna. Ultimo film interpretato da Anton Yelchin. In concorso al Torino Film Festival.

Tutto in una notte

Nella città di Porto vivono due stranieri, l’americano Jake e la studentessa francese Mati. Il destino sembra giocare con loro, facendoli imbattere l’uno nell’altra in occasioni e luoghi diversi. È Jake a cogliere l’offerta suggerita da questi incontri casuali, prendendo coraggio e avvicinando Mati. Nonostante le premesse, non sarà l’inizio di una storia d’amore, ma porterà a un’unica notte di intimità il cui ricordo tornerà con insistenza nelle vite di questi due amanti occasionali, rivelando loro la potenza di un incontro… [sinossi]

Porto risponde in qualche modo a una domanda che molti cinefili, dagli anni Novanta a oggi, si sono posti: cosa sarebbe successo se Céline e Jesse, i protagonisti della trilogia dei “Before” di Richard Linklater, avessero passato solo ed esclusivamente una notte insieme a Vienna, senza più incontrarsi? Quello tra il regista di Boyhood e Gabe Klinger, qui impegnato per la prima volta con un lungometraggio di finzione, non è un accostamento azzardato: proprio Linklater, insieme a James Benning, fu il protagonista di quel Double Play che nel 2013 consacrò il nome di Klinger, brillante critico, anche dietro la macchina da presa. Porto è un film che vive di stratificazioni cinefile, un’opera che con consapevolezza, a tratti persino troppa, si inserisce in un tessuto emozionale che anno dopo anno, decennio dopo decennio, ha trovato i riverberi più disparati all’interno della Settima Arte.
La storia dell’incontro tra Jake e Mati, stranieri in terra portoghese (così come i due giovani di Prima dell’alba lo erano in terra austriaca), che si conoscono in un locale dopo essersi sfiorati in varie occasioni e decidono di trascorrere la notte insieme, a fare l’amore e a parlare, riecheggia di varie suggestioni, dal già citato Linklater a Rohmer, da Jacques Demy a Jim Jarmusch, che non a caso si offre come produttore esecutivo. Klinger cerca comunque una propria strada espressiva, giocando con lo spazio-tempo e portando avanti e indietro una narrazione che, sotto forma di romanzo, è anche suddivisa in tre brevi capitoli, il primo dedicato a Jake, il secondo a Mati e il terzo a entrambi.

Gioca anche con i formati della pellicola, Porto, attribuendo a ciascuno di essi una differente “profondità” nella memoria: un procedimento che rischia di apparire oscuro allo spettatore, ma si tratta di un dettaglio. Ciò che vale, a conti fatti, è la volontà di Klinger di perdersi nella notte di Porto insieme ai due protagonisti, innamorati per poche ore e poi mai più destinati a incontrarsi, ma a ripensarsi con nostalgia, e forse con pentimento. Puntando sull’intimismo, Klinger chiude lo sguardo della camera sempre e solo sui suoi due protagonisti, che sono a loro volta – tranne una fuggevole passeggiata – perennemente al chiuso, sia lo spazio quello di un fumoso locale, di un piccolo ristorante o dell’appartamento in cui si è appena trasferita Mati, con gli scatoloni ancora chiusi nel portabagli dell’automobile e solo un materasso gettato a terra.
Questa tensione all’intimo finisce in qualche modo per soffocare parte delle potenzialità di un’opera come Porto, semplificata in un respiro piano, impossibilitato ad aprirsi in maniera completa. In aiuto al giovane regista, che dimostra in ogni caso una buona gestione della messa in scena, soprattutto grazie a un raffinato utilizzo del montaggio, vengono le interpretazioni dei due protagonisti: splendida Lucie Lucas, che irradia con la sua bellezza lo schermo e dona una complessità non indifferente al personaggio di Mati, luminoso e umbratile allo stesso tempo, e struggente un dimesso Anton Yelchin, qui purtroppo alla sua ultima apparizione sugli schermi prima del tragico incidente di cui è stato vittima. Porto ospita anche la voce di Chantal Akerman, altro punto di riferimento ideale nella messa in scena (ma si potrebbe parlare di Jean Eustache, sempre per rimanere in tema, anche se le ambizioni di Klinger sembrano volare più in basso, in particolar modo per quel che concerne la scrittura dei dialoghi) a sua volta scomparsa poco più di un anno fa. Yelchin e Akerman, due fantasmi del cinema che ancora si agitano in un film, andando contro la tragica natura e vivendo una volta di più in un piccolo e fragile film non privo di grazia e di mesta dolcezza.

Info
Il trailer di Porto.
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