I Am Not Your Negro

I Am Not Your Negro

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Distribuito in occasione della giornata internazionale contro il razzismo, I Am Not Your Negro è un’opera preziosa, che da un progetto risalente ad oltre un trentennio fa allarga il suo sguardo per trattare, senza retorica, le contraddizioni e i nodi irrisolti dell’America attuale. Un tema, quello del razzismo, che il film di Raoul Peck porta efficacemente fino ai giorni nostri, fin dentro le peculiarità e le contraddizioni dell’attuale società americana.

Sguardi americani in nero

Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King: attraverso la descrizione di questi tre iconici personaggi, e delle loro rispettive, tragiche scomparse, lo scrittore James Baldwin articola un racconto personale che è anche resoconto dell’intera storia americana recente. Da questo suo progetto, rimasto incompiuto, il regista Raoul Peck trae un documentario che vuole riflettere sul presente dell’America attraverso alcune sue fondamentali pagine di storia… [sinossi]

A prescindere da ciò che si voglia pensare sulle uscite strategicamente (e discutibilmente) legate alle varie “giornate internazionali”, l’arrivo in sala di un documentario come I Am Not Your Negro va salutato come un fatto positivo. L’iniziativa di Feltrinelli Real Cinema e Wanted, pensata in occasione della giornata internazionale contro il razzismo, porta infatti nei cinema italiani un’opera preziosa, dal valore divulgativo ed estetico ardui da ignorare, che difficilmente avrebbe altrimenti trovato adeguata collocazione. Un’opera che, in un’edizione degli Academy Awards come quella appena svoltasi, che più che mai ha parlato la lingua delle tematiche razziali (sia nella scelta delle pellicole candidate, sia nel discutibilissimo trionfatore) è figurata anch’essa, quasi inevitabilmente, tra i lavori presi in considerazione. Non ricevendo tuttavia, e forse non è un caso, nessun riconoscimento. La storia americana, quella descritta dal film di Raoul Peck, parla infatti un linguaggio tutt’altro che rassicurante, per una nazione che tuttora fatica a fare i conti coi suoi fantasmi. Raccontandoci (anche) di un presente che vede i temi affrontati dal film ancora tutti sul tappeto. Portatori, alcuni di essi, di un’urgenza oggi ancora più forte rispetto a qualche decennio fa.

Proprio di questa urgenza, colta dallo scrittore James Baldwin in occasione del suo ritorno negli USA nel 1979, e del progetto del suo saggio (mai completato) Remember This House, si fa carico il film di Raoul Peck; un’urgenza, questa, che viene portata fino ai giorni nostri e collegata a doppio filo (in modo incontrovertibile, anche se non esplicito) con le questioni lasciate sul tappeto dalla gestione di Barack Obama, e con le scure nubi addensatesi sul paese in questi primi mesi di amministrazione-Trump. Il montaggio del film, e la stessa selezione del materiale adottato per illustrare le parole dello scrittore (ben rese dall’efficace voce di Samuel L. Jackson) stanno proprio a rimarcare questo filo rosso: la narrazione dello scrittore viene spesso associata alle cupe immagini (attuali) di una New York in cui poco appare cambiato, mentre risulta la norma nel film l’accostamento libero, senza soluzione di continuità, tra il materiale di repertorio (spesso espresso in sgranate foto in bianco e nero) e i filmati più recenti che documentano le violenze poliziesche nei confronti dei cittadini di colore. Proprio la struttura non meramente cronologica o didascalica, ma piuttosto tesa a mantenere nella narrazione una continuità tematica, risulta tra gli elementi esteticamente più interessanti del documentario.

L’accostamento tra motivi tematici (e personalità) apparentemente piuttosto lontani tra loro stava d’altronde alla base del progetto di Baldwin, che proprio da un’analisi delle personalità di Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King, e dal racconto della loro tragica fine, traeva lo spunto iniziale per la sua opera rimasta incompiuta. In controluce, si legge nel film di Raoul Peck l’urgenza tutta personale (che si sovrappone a quella collettiva) di un uomo che sceglieva di tornare a casa per fare finalmente i conti con la sua storia, con un passato quasi messo tra parentesi, con radici mai sufficientemente evidenziate e messe in luce, anche per responsabilità di chi se ne fa portatore. Il documentario evidenzia felicemente proprio la costante sovrapposizione, e la feconda dialettica, tra la dimensione biografica, quella di chi sceglie finalmente di confrontarsi con un capitolo (fondamentale) della propria vicenda personale, e quella legata a un intero segmento di popolazione, a cui la politica, e la cultura di massa, hanno di fatto assegnato un’illusione di emancipazione. In questo, risulta abbastanza cinico e disilluso lo sguardo di Baldwin (e del regista) sulla stessa Hollywood, e sull’immagine da essa fornita delle tematiche razziali (spesso tesa a depotenziarne le basi); un viaggio articolato attraverso una lunga ricognizione sulla storia del cinema americano, da John Ford e Mervyn LeRoy a Stanley Kramer.

In questo, lo sguardo dello scrittore (e del regista) sulla storia americana può apparire portatore di un radicale pessimismo, risultando certo meno conciliatorio rispetto alla modalità edulcorata, e priva di reale efficacia, con cui il cinema americano recente ci ha abituati a confrontarci con le tematiche razziali. Estendendo (con pochi ma efficaci cenni) il suo ragionamento alla storia occidentale tutta, al predominio bianco articolatosi attraverso i secoli, e a una supposta “superiorità” occidentale raggiunta esclusivamente attraverso la sopraffazione, Baldwin sembra tuttavia suggerire che quello sguardo disilluso è (allora come oggi) l’unico possibile: almeno laddove si voglia raggiungere una rappresentazione obiettiva, e non mistificata, della storia. Lo stesso scrittore, nel suo apparente pessimismo, suggerisce anche che la via d’uscita (non solo per gli afroamericani, ma per l’America tutta) stia nel costruire una mai raggiunta coscienza condivisa. Un tema, quest’ultimo, che il film porta efficacemente fino ai giorni nostri, fin dentro le peculiarità e le contraddizioni dell’attuale società americana. L’averlo fatto ispirandosi ad un progetto risalente ad oltre un trentennio fa, e senza cedere di un millimetro alle trappole della retorica, è per il film di Raoul Peck un merito certo impossibile da ignorare.

Info
Il trailer di I Am Not Your Negro su Youtube.
La scheda di I Am Not Your Negro sul sito della Wanted Cinema.
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