A Beautiful Day

A Beautiful Day

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Ultimo titolo in concorso a Cannes 2017, A Beautiful Day (You Were Never Really Here) rinnova le ambizioni estetiche e narrative di Lynne Ramsay, regista e sceneggiatrice che scompone ed enfatizza sistematicamente script e immagini per creare un puzzle psicoanalitico, pericolosamente estetizzante. Sei anni dopo We Need to Talk About Kevin, la Ramsay inabissa il problematico protagonista in una detective story disturbante, eccessiva nelle sue serrate sottolineature. Magnetico e intenso Joaquin Phoenix, in un ruolo per lui fin troppo facile; volto da seguire la giovanissima Ekaterina Samsonov.

The Hammer Song

La figlia di un senatore scompare. Joe, un veterano che è stato brutalmente torturato, inizia a cercarla. Di fronte a un’ondata di vendetta e corruzione, è trascinato in una spirale di violenza… [sinossi]
Datemi un martello.
Che cosa ne vuoi fare?
Lo voglio dare in testa
A chi non mi va…
Datemi un martello – Rita Pavone

È martellante il cinema di Lynne Ramsay. Lo era già nel precedente E ora parliamo di Kevin, opera terza con qualche sbavatura, ma narrativamente compatta. Esteticamente mirabile. Certo, quello della Ramsay è un cinema che continua imperterrito a sottolineare, a enfatizzare, a far traboccare dalle immagini tutta la drammaticità che sta analizzando, frammentandola, esasperandola. Un cinema ambizioso, accompagnato da scelte musicali furbe ma funzionali – il contrasto tra allegri brani musicali e situazioni drammatiche e/o iper-violente è uno strumento utilizzato dalla Ramsay già in E ora parliamo di Kevin. Un cinema consapevolmente patinato, teso alla ricerca dell’immagine esemplare, di un continuo apice estetico. Una poetica che si avvinghia alla natura borderline dei suoi protagonisti: il giovane assassino e la madre anaffettiva dell’opera seconda; il detective problematico e la ragazzina da salvare di You Were Never Really Here (tradotto incomprensibilmente in Italia con A Beautiful Day), opera quarta che ritrova il concorso di Cannes. In chiusura. Non un buon auspicio alla luce della selezione ufficiale 2017.

Quel che resta di A Beautiful Day, a parte la (stra)ordinaria fisicità di Joaquin Phoenix (Joe) e il primo piano angelico e spiazzante di Ekaterina Samsonov (Nina), è una sensazione di spreco, di film che inizia a girare a vuoto, che insegue forzatamente una struttura estetico-narrativa precisa, personale, ma soverchiante, impietosa nei confronti della storia, dei personaggi, alcuni usati come marionette – imperdonabile il flashback in territorio di guerra, con la sequenza della bambina e del cioccolato.
Ecco, proprio l’immagine della bambina, della violenza (gratuita), di quel piede che continua a muoversi, quasi a cercare disperatamente un appiglio, un rantolo di vita, è la cartina tornasole di uno straripamento che diventerà inarrestabile nella parte finale del film.
Uno scivolone inatteso, soprattutto alla luce del delicato tema trattato. Ma è proprio il tema di A Beautiful Day, al pari dei personaggi e del loro dolore, a finire in secondo piano, a essere soffocato dalla messa in scena della Ramsay. Nel dilatato finale, a giochi oramai fatti, la narrazione resta intrappolata nelle stesse sabbie mobili partorite dalla seducente sovrastruttura ramsayana: gli incubi a occhi aperti di Joe, il suo continuo andirivieni tra implosione ed esplosione, tra vita e morte, non hanno pace perché sono le immagini della Ramsay a tenerli in vita, ad alimentarli impietosamente.

In una struttura così ellittica, e dopo aver sagacemente scelto di lasciare fuori campo una sequenza sulla carta assai violenta (ed è qui che il precedente utilizzo per contrasto della musica assume un significato pieno e narrativamente calzante), la lunga parte finale risulta piuttosto insensata, fastidiosamente ridondante e gratuita.
Nonostante la durata piuttosto contenuta, A Beautiful Day è una pellicola dal fiato corto, persino troppo derivativa – il martello della vendetta, Taxi Driver, le sonorità anni Ottanta (abbondanti anche nel film dei Safdie, Good Time, ma lì il meccanismo estetico/narrativo gira a meraviglia). La disperata detection, la paranoia e gli abissi dai contorni noir, il puzzle psicologico ricostruito pezzo per pezzo, la poetica del riscatto a tutti i costi (pensiamo a La promessa ma anche alla nota lieta cannense Wind River) e la performance di Phoenix sono tessere di un mosaico incompleto. Ramsay si perde nella sua stessa artificiosa complessità, nell’affannosa ricerca pittorica (ad esempio, la sequenza del lago), chiedendo troppo a Joe e Nina, personaggi condannati alla deriva.

Info
La scheda di A Beautiful Day sul sito di Cannes.
Il trailer originale di A Beautiful Day.
  • You-Were-Never-Really-Here-2017-Lynne-Ramsay-01.jpg

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