Sconnessi

Sbalestrata commedia che vorrebbe muoversi nel campo della pochade e allo stesso tempo mettere sul piatto tematiche contemporanee sulla mancanza di relazioni tra gli esseri umani per ‘colpa’ della tecnologia, Sconnessi di Christian Marazziti si rivela ben presto a corto di idee e narrative e visive. Con Fabrizio Bentivoglio a capo di un cast corale e solo in minima parte in grado di donare spessore al film.

Senza via di (s)campo

Quando gli eccentrici componenti di una famiglia allargata si ritrovano in un isolato chalet di montagna senza connessione internet, gli sfortunati “sconnessi” dovranno rispolverare rudimenti di comunicazione diretta e tornare a confrontarsi gli uni con gli altri. L’unico a non risentire dell’assenza di rete è il capostipite Ettore, noto scrittore, guru dell’analogico e nemico pubblico di internet, colpevole di aver organizzato la rimpatriata in occasione del suo compleanno. L’intento dell’uomo è quello di far avvicinare i due figli – Claudio, giocatore di poker on line, e Giulio, liceale nerd e introverso – alla seconda moglie Margherita, incinta al settimo mese. Inaspettatamente però il gruppo si allarga quando alla gita fuori porta si uniscono anche Achille, fratellastro di Margherita appena cacciato di casa dalla moglie, e Tea, giovane fidanzata di Claudio e devota fan di Ettore; e quando ad attenderli in montagna trovano l’affidabilissima tata ucraina Olga accompagnata dalla figlia Stella, adolescente dipendente dai social network. La lista degli ospiti indesiderati si conclude con Palmiro, il fratello bipolare di Margherita e Achille, fuggito dalla casa di riposo… [sinossi]

Sconnessi, scombinati, disconnessi dalla vita e dal senso che può assumere una volta usciti dall’assuefazione tecnocratica. Sconnessi, per l’appunto. Ha un bel titolo l’opera seconda da regista per l’attore Christian Marazziti – la prima sortita dietro la macchina da presa, E-bola nel 2015, non ha lasciato molte tracce di sé –, e sarebbe interessante se e quanto il copione è stato modificato in corso d’opera. Perché Sconnessi, per il resto adagiato sui ritmi e sugli agi di una commedia corale priva di particolari spigoli, qua e là ha dei passaggi bruschi, dei cambi di tono, e sconfina in una cattiveria salvifica che purtroppo non trova mai appigli nel resto della narrazione. Si rimane dunque sospesi, dispersi in un mare di banalità sulle difficoltà relazionali, sull’incapacità di connettersi al presente preferendo la patina ottundente dello schermo di un computer o di uno smartphone, e non si scava in profondità. Anche i caratteri messi in scena, tutti perfettamente aderenti a tipi classici della commedia contemporanea italiana, e non dissimili da alcuni personaggi tratteggiati nei film dei fratelli Vanzina, avrebbero il potenziale per andare oltre: un discorso valido per il meccanico interpretato da Ricky Memphis, e per sua sorella – Carolina Crescentini, che fa la buzzurra che ha però sposato un grande intellettuale, e non sa trovare il proprio tono –, ma in fin dei conti anche per un ottimo Stefano Fresi, colto musicista bipolare da quando la compagna lo ha abbandonato. Peccato che tutto rimanga sulla carta, e che trovi spazio in scena quasi per caso, in maniera così fuggevole da apparire in tutto e per tutto un errore, un calcolo errato, un algoritmo fuori posto.

Inguainato in un progetto di commedia non troppo dissimile dalla pochade vacanziera, Marazziti non si rivela metteur en scéne degno di particolare interesse, e si limita a costruire un duello dialettico dopo l’altro, contrapponendo un tipo a un altro tipo, ma senza alcuna idea sistemica, politica o anche solo di natura antropologica e sociologica. Se l’intento era quello di far scoprire come tutti si sia oramai costretti a fare i conti con la tecnologia, il film arriva con qualche decennio di ritardo; se invece, come a tratti sembra di percepire, si vuole raccontare le potenzialità di un’altra visione del mondo (il personaggio di Olga, che sembra arrivata nella baita di montagna direttamente da un politburo del socialismo reale) contrapposta al vacuo innamoramento per l’immagine – e non per il senso dell’immagine – dell’occidente capitalista, allora il bersaglio è mancato in maniera ancora più clamorosa.
La verità, probabilmente, è che di una commedia come Sconnessi il cinema italiano non ha davvero bisogno. Un po’ perché altri la sanno gestire meglio e con maggiore accuratezza, e un po’ perché le conclusioni a cui arriva sono poco interessanti e il modo in cui vi arriva fa ridere solo in maniera occasionale. Per di più il concetto della famiglia costretta suo malgrado a confrontarsi in uno spazio chiuso perché fuori imperversa una bufera è già nelle sale in questi giorni nell’assai più convincente A casa tutti bene di Gabriele Muccino – lì i protagonisti sono su un’isola colpita da una tempesta improvvisa, qui invece è la neve a fioccare con una foga esagerata –, e il confronto si fa davvero impari.

Tra una citazione di Fedez, amore indiscusso per l’adolescente figlia di Olga interpretata da Benedetta Porcaroli, che qualcuno ricorderà in un piccolo ruolo in Perfetti sconosciuti (altro film sulle difficoltà relazionali e sull’impatto devastante della tecnologia nella vita di tutti i giorni, e altra commedia reclusa in uno spazio chiuso e definito), e una battuta sulle possibilità alimentari dei vegani, Sconnessi scivola via senza colpo ferire, e sprecando per la maggior parte un cast che invece in mani più esperte e sicure avrebbe potuto dominare la scena. La battuta finale, pronunciata da un sulfureo e serafico Fabrizio Bentivoglio, rinnova i dubbi su una riscrittura del senso del film in corso d’opera (alcuni tagli sono poi evidenti, e del tutto ingiustificati sotto il profilo strettamente narrativo, come palesano determinate battute di Memphis), ma non scioglie alcuna riserva su una commedia stanca, prevedibile e superficiale. Sconnessa.

Info
Il trailer di Sconnessi.
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