L’appartamento

L’appartamento

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L’appartamento è la culla/prigione di C.C. Baxter, colletto bianco pavido che riscopre se stesso – e quindi l’umanità – attraverso l’amore. Uno dei capolavori immarcescibili di Billy Wilder e dell’intera storia della commedia, racconto anti-capitalista di un amore tra spiriti solinghi scritto in punta di penna dal regista con I.A.L. Diamond. A Cannes Classics nella versione restaurata in digitale.

Shut up and deal!

C.C. Baxter, soprannominato “Ciccibello”, contabile presso una grande compagnia di assicurazioni a New York per arrotondare le entrate affitta a ore il piccolo appartamento in cui vive a suoi dirigenti per incontri extraconiugali durante i quali lui va a spasso per la città. Tutto procede così finché l’impiegato non si innamora di Fran Kubelik, una delle hostess degli ascensori del grattacielo in cui ha sede la compagnia. Poi però scopre che proprio lei è l’amante del capo del personale, Jeff Sheldrake che, dietro consiglio di un collega, purtroppo si rivolge al giovane per ottenere l’uso dell’appartamento… [sinossi]

L’appartamento è quello di C.C. Baxter, che i colleghi in maniera solo apparentemente affettuosa chiamano Ciccibello – la versione italiana dell’originale Buddy Boy. Ed è in quell’appartamento che si svolge l’anima e il senso di una delle massime vette artistiche di Billy Wilder. L’appartamento è la diciottesima regia di Wilder, e segna la terza collaborazione tra lui e I.A.L. Diamond, brillante sceneggiatore che lavorerà con il regista in altre nove occasioni, tra cui Irma la dolce, Non per soldi… ma per denaro, Prima pagina, Fedora e Buddy Buddy (Diamond scriverà anche il gioiellino Fiore di cactus di Gene Saks, protagonista il “wilderiano” Walter Matthau). Un anno prima de L’appartamento era uscito nelle sale statunitensi A qualcuno piace caldo, con ogni probabilità la più riuscita farsa dai tempi dei fratelli Marx; in dodici mesi Wilder e Diamond attraversano l’intero spettro del concetto di commedia. Là dove A qualcuno piace caldo prendeva l’abbrivio dal noir e dal gangster movie per trasformarsi in una scoppiettante cavalcata nella comicità anche slapstick giocando sul travestitismo e sulla confusione di genere – in tutti i sensi – la storia d’amore tra Ciccibello e miss Kubelik, la deliziosa ascensorista che lavora nel grattacielo in cui l’impiegato cerca di scalare piani, si muove nella direzione opposta. Presenta da subito una situazione umana raddolcita dai toni della commedia, carica di ironia e sarcasmo, e vi cela sotto la cenere di un racconto agghiacciante sul capitalismo sfrenato, sulla società occidentale. Non è un caso che il medico vicino di casa di Baxter, e suo unico confidente – anche se crede che l’uomo sia uno sciupafemmine, visto il traffico di ragazze che entra nel suo appartamento, portato dai colleghi a cui Baxter dona la casa per ingraziarseli – gli consigli di comportarsi da “mensch”, da essere umano. L’unico modo per distinguersi in una società tesa alla più totale disumanizzazione è quella di ritrovare il senso dell’umano, della fraternità, della capacità empatica di comprendere l’altro, di mettersi nei suoi panni. A ben vedere anche i due protagonisti di A qualcuno piace caldo dovevano mettersi nei panni delle donne per comprenderne la vita quotidiana…

È una commedia di fronte alla quale non si può opporre resistenza, L’appartamento, e che sa giocare con lo spettatore con la sardonica intelligenza tipica di Wilder, come dimostra ad esempio la spassosa presa per i fondelli del “cinema in televisione”, con l’annuncio della programmazione di Grand Hotel di Edmund Goulding sempre ritardato da pubblicità e sponsor. È una società di pubblicità e sponsor, quella in cui si agitano i destini di Baxter e Kubelik. Una società mostruosa, con l’uomo ridotto a un insetto, incastrato in scrivanie tutte uguali, infinite file di umani/lavoratori che avranno lo stesso medesimo destino: l’oblio. Nessuno dei temi trattati ne L’appartamento smuoverebbe mai al riso qualcuno: si parla di competitività sul posto di lavoro, di famiglie disgregate, di tentativi di suicidio, di uomini e donne soli, di capitalismo sfrenato, di corruzione. Si parla della finzione della vita, e lo si fa attraverso la finzione del cinema. Solo così la storia d’amore tra i due protagonisti può permettersi un esito non tragico, e il colpo di pistola alla testa si dimostra essere in realtà un tappo di spumante. Solo così Baxter può confessare l’ovvio amore per miss Kubelik dandole ancora del lei e sentendosi rispondere “dai le carte e ridimmelo” (“Shut up and deal!” in originale).
La commedia non serve a nascondere la realtà, ma a trasfigurarla per gli occhi degli spettatori. Il carname mostruoso che occupa e invade gli spazi de L’appartamento esiste, è reale, non ha nulla di “finto”. Non è finta quest’umanità derelitta che negli anni in cui la beat generation assurgeva alle cronache e alle vendite si trovava costretta a difendersi dall’incedere di un sistema economico disumano, scientifico nella sua distruzione dell’idea collettiva di vita. Solo il cinema può essere ancora corale, ma la pubblicità impedisce all’uomo solo di goderne in santa pace davanti al suo televisore.

Storia di traditori e di traditi – e di abbandonati, e di apocalittici e integrati –, L’appartamento si basa su una sceneggiatura priva di qualsiasi crepa, anche la più piccola: un lavoro di cesello nella scrittura e nella descrizione dei personaggi vivificato da dialoghi di una brillantezza cristallina, e che restano impressi in maniera indelebile nella memoria. Ma Wilder si dimostra un maestro anche nella costruzione visiva degli spazi, costruendo una culla/prigione che è unico rifugio – solo apparente, visto che deve condividerlo con i colleghi per sperare in un avanzamento nella carriera lavorativa – di un uomo che non ha altro spazio a cui appartenere. L’esterno dell’appartamento è una città multiforme e che non dorme mai, ma non per divertimento. Semmai per insonnia, per horror vacui, per terrore della stasi del sonno che prelude quella della morte. La tragedia della modernità è svelata, e Wilder è il primo dei registi a metterla in scena in forma compiuta, così come il desiderio di conquista di una classe media mediocre, impoverita intellettualmente, e quindi più facile da schiavizzare.
La riscossa di C.C. Baxter, la sua capacità di dire “no” al suo capo e di riprendersi la sua umanità, è un sussulto d’orgoglio utopico ma che il cinema può ancora nel 1960, permettersi. Ricorda un frammento di Fantozzi di Luciano Salce, in cui Paolo Villaggio ha finalmente il coraggio di alzare la voce contro i suoi superiori per difendere la figlioletta derisa: lì però si torna ben presto nella medietà, e l’atto resta un fuoco di paglia. Quindici anni dopo L’appartamento il Capitalismo selvaggio ha già vinto sulla classe impiegatizia. E la commedia per raccontare quel microcosmo si è già dovuta spostare verso la comicità demenziale. Come scriveva Karl Marx ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte? La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa…

Info
Il trailer de L’appartamento.
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