Il dubbio – Un caso di coscienza

Il dubbio – Un caso di coscienza

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Un film farhadiano fino al midollo, Il dubbio – Un caso di coscienza di Vahid Jalilvand, che si avvale di due ottime prove d’attori e di una riflessione sul dubbio e sulla colpevolezza come principi indispensabili per setacciare l’umanità e le sue implicazioni. Premiato a Venezia 2017 nella sezione Orizzonti come miglior attore e miglior sceneggiatura.

L’ombra del dubbio

Il dottor Narima, anatomo-patologo, un uomo virtuoso e di solidi principi, ha un incidente con un motociclista e la sua famiglia, in cui ferisce un bambino di otto anni. Si offre di portare il bambino in una clinica vicina, ma il padre rifiuta il suo aiuto come il suo denaro. Alcuni giorni dopo, il Dottor Narima scopre che lo stesso bambino è stato portato nello stesso ospedale in cui lui lavora per un’autopsia per morte sospetta. Nariman deve affrontare un dilemma: è lui il responsabile della morte del piccolo a causa dell’incidente o la morte è dovuta a un avvelenamento da cibo, come sostiene la diagnosi degli altri medici? [sinossi]

Proprio in questi giorni il nuovo film di Asghar Farhadi, Todos lo saben, ha aperto il 71esimo festival di Cannes riportando al centro dell’attenzione il cinema dell’autore iraniano, costruito su un’idea intima di tensione in cui l’assenza di rigide certezze morali è il perno intorno al quale far ruotare tutto, dalla drammaturgia di base alla sceneggiatura, passando per le scelte di campo e le performance degli attori.
Se, nel caso del film del regista premio Oscar in terra spagnola, si può avere l’impressione che questo aspetto si sia compromesso in virtù di una tensione sbalestrata verso la soap opera e il melodramma, ecco che lo ritroviamo in tutta la sua integrità in un emulo diretto, Il dubbio – Un caso di coscienza di Vahid Jalilvand, arrivato in sala dopo il buon successo all’ultima edizione della sezione Orizzonti di Venezia, dove ha conquistato il premio alla miglior sceneggiatura, andata allo stesso regista, e al miglior attore a Navid Mohammadzadeh.

Il dottor Nariman, patologo forense motore della tragica vicenda, e il motociclista al quale viene ferito fatalmente il figlio di 8 anni, sono rappresentanti di classi diverse, che si ritroveranno però ugualmente e fatalmente esposti a un evento che avrà il potere di rimescolare le certezze, di confondere le carte, di insinuare nello spettatore dubbi e altrettanto fatali incertezze procedurali: quali sono i confini della colpa? E soprattutto: su che base, più o meno esponenziale, è calcolabile la sua incidenza e la sua ricaduta?

Il film, asciutto e controllato in ogni sua componente, gestisce tale materia con un rigore irreprensibile, che solo di rado si fa accademismo nella messa in scena e nella scrittura: sulle orme del Farhadi migliore, appunto, ma con una drammatizzazione della cronaca e della società che a tratti si scopre più acerba del previsto, pur senza arrivare mai a perdere il controllo della faccenda, a smarrire la bussola per orientarsi in questa selva di fantasmi prima sociali e dunque, in seconda battuta, anche politici.
Cinema autoptico ma non per questo freddo e calcolatore, quella di No Date, No Signature, titolo internazionale molto più bello ed evocativo di Il dubbio – Un caso di coscienza, nella paralisi clinica che suggerisce a chiare lettere, è un’idea di racconto che lavora su binari paralleli per moltiplicare prospettive e incertezze, in un atto salutare di messa in discussione del già noto insieme allo spettatore. Gelido e teatrale non necessariamente fanno rima con distaccato e straniato, in questo film iraniano dove anche una sequenza di campi vuoti viene ad assumere un valore icastico, tanto quanto la selva di dialoghi serrati e apparentemente da palcoscenico, e può dire qualcosa di un’intera società, di una galassia comportamentale, perfino di un’idea di religiosità e di femminile.

La regia dopotutto lavora sempre di finezza e di contrappunto, non c’è niente di urlato e non a caso si approda, proprio in chiusura, a un’essenzialità che suona onesta, secca, capace anche di troncare brutalmente, quando necessario. Senza assolutismi, sempre con salutare incertezza, com’è doveroso che sia per un’idea di cinema in cui anche il sussulto di un bicchiere d’acqua potrebbe causare un maremoto. «Questo film potrebbe essere un’elegia sulla tomba dell’uomo che una volta ho sognato di essere», ha sentenziato, con la stessa umiltà del suo sguardo, il regista a proposito di Il dubbio – Un caso di coscienza.

Info
Il trailer di Il dubbio – Un caso di coscienza.
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