La notte brava

La notte brava

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Per CG Entertainment, nuova edizione in dvd di La notte brava di Mauro Bolognini. Interessante e stimolante connubio tra l’universo espressivo di Pier Paolo Pasolini e quello dell’autore pistoiese, liberamente ispirato ai temi e alle atmosfere del romanzo “Ragazzi di vita”.

Ruggeretto e Scintillone sono due giovani sfaccendati che nella Roma degli anni Cinquanta si arrabattano tra impicci e traffici illeciti. Prima incontrano due prostitute, Supplizia e la Secca, poi si aggregano al Bella-Bella per piazzare la vendita di alcune armi. Sempre a caccia di denaro, i ragazzi passano un’intera giornata tra incontri diversi fino a notte fonda, cercando di concedersi una vita al di sopra delle proprie possibilità… [sinossi]

L’approccio a La notte brava (1959) di Mauro Bolognini suggerisce cautela. Nato al crocevia tra la personalità di Pier Paolo Pasolini e quella del regista pistoiese, il film è infatti un’opera che ha avuto una storia di ricezione particolare e interessante. Alla sua uscita nelle sale subì qualche taglio di censura e un divieto ai minori di 16 anni, poi derubricato a seguito di una revisione nel 1977. Pasolini, che aveva fornito soggetto e sceneggiatura ispirandosi a temi, modalità e atmosfere del suo romanzo Ragazzi di vita (1955), non rimase entusiasta della realizzazione a opera di Bolognini, lamentando soprattutto le morbide smussature condotte su alcuni passaggi dello script, tanto da sentire il bisogno di pubblicarne alcuni estratti sulla rivista Filmcritica per mettere in luce le varie arbitrarietà adottate al momento di riprese e montaggio. La critica stessa ritenne che Bolognini avesse assunto un approccio calligrafico ed estetizzante nei confronti del materiale narrativo che mal si attagliava alla sostanza della poetica pasoliniana.
Col passare degli anni, La notte brava è stato al centro di una parziale revisione, sull’onda anche di una globale rilettura dell’opera bologniniana che tuttavia resta ancora frammentaria e fallace.

Tra i grandi classici del cinema italiano Mauro Bolognini è rimasto tra i pochi (forse l’unico) a incontrare ancora difficoltà di macroletture critiche e rivalutazioni. Per un autore assai prolifico e riconosciuto (anche con buone ragioni) come un grande eclettico, paradossalmente sembra proprio questo a sollevare problemi di rilettura e inquadramento generale; una personalità artistica che sfugge in mille rivoli diversi, tra il pasolinismo, il viscontismo, uno spiccato gusto per la fonte letteraria, e poi il neorealismo rosa, la commedia, il comico, il film a episodi, un continuo e sincero rapporto con la dimensione produttiva e commerciale del cinema. In tal senso, pure la “fase pasoliniana” della sua produzione sembra una tappa in un percorso che accoglie spunti e ispirazioni diversificate.
Tuttavia, se vogliamo trovare un punto di coerenza che tenga insieme film diversi, almeno nell’ambito del Bolognini “serio”, esso può essere rintracciato proprio in quel che spesso gli veniva rimproverato, ossia la tendenza cosiddetta “calligrafica”, la capacità di proiettare su disparati materiali narrativi uno sguardo personale estremamente elegante, talvolta letterario, innamorato della composizione d’inquadratura e dei suoi valori plastici. Certo, se a rifiutare tale tendenza intervengono ragioni in qualche modo “ideologiche”, allora la questione si chiude sul suo nascere. Come a dire: «Questo cinema è ben fatto ma non ci piace, non ci pare utile, non serve, è borghese».
Cercando invece di attenerci soltanto al fatto-cinema in quanto tale, non si può negare che alcuni brani anche di La notte brava costituiscano pura meraviglia audiovisiva, per la capacità di lavorare su ambienti e figure, metterli in relazione, comporli all’interno del frame con intensa espressività.
Basti pensare alla sequenza in mezzo ai campi, dove i protagonisti cercano un attimo di sospensione dalla vita in compagnia di tre prostitute, appartandosi sui prati, e due di loro si gettano in mezzo agli spruzzi degli idranti. È chiaro che Pasolini non avrebbe mai girato una sequenza con queste modalità, niente gli è più alieno del compiacimento visivo, della ricercata ed evidente eleganza. Eppure Bolognini, ancorché spinto da ingerenze produttive ad ammorbidire le asperità del mondo pasoliniano, in quella sequenza e più in generale in tutto il film cerca anche una propria rilettura. Fa suo Pasolini, non lo tradisce né lo svende o disconosce. Semplicemente lo rilegge coi propri occhi, ai quali nessun autore può sfuggire. Così, se gli idranti intervengono a rendere eleganti corpi e movenze di sottoproletari, ciò avviene perché in La notte brava Bolognini sembra condurre un preciso discorso sulla giovinezza e sulla sua sostanza materica.

Da inizio a fine i corpi di Ruggeretto, Scintillone, Supplizia, Rossana e della Secca sono sottoposti a continua enfasi visiva. Basti pensare a quei primi piani stretti di Supplizia e della Secca incorniciati nei finestrini dell’automobile nelle prime sequenze. Sono prostitute eleganti, ben truccate e pettinate, belle e curate, poco fedeli all’idea di un sottoproletariato che si vende dalle parti di Caracalla. Lo stesso vale per il gruppo di giovani ricchi che Ruggeretto, Scintillone e il Bella-Bella incontrano a metà del racconto. La bellezza dei giovani bologniniani non è veritiera, non vuole esserlo, ma si profila piuttosto come un’astrazione plastica.
In La notte brava Bolognini sembra studiare l’intrinseca decadenza dell’età giovanile, che nella Roma sottoproletaria si vende in senso stretto ma è al contempo universalmente destinata a vendersi, sciuparsi, perdersi, perché la perfezione della giovinezza dura poco più di un attimo. In tal senso la sostanza audiovisiva di La notte brava conserva nei suoi elementi espressivi lo zenit della giovinezza e nello stesso attimo il suo tenebroso e decadente disperdersi. Il discorso sociale, che costituisce la superficie della materia narrativa, è in realtà tenuto sottotraccia, quasi rimosso. I protagonisti si dibattono per un’intera giornata tra impicci, traffici illeciti, prostitute, calati in un orizzonte antropologico ben riconoscibile che però non occupa mai il centro del discorso filmico.
Basti pensare all’arrivo del Bella-Bella nella casa dove cerca di piazzare le armi di Ruggeretto e Scintillone. L’abitazione è resa nella totale povertà e spoliazione di ambienti e arredamenti, ma non vi è conclamato disordine né senso di miseria. Vi è piuttosto la messinscena di una stilizzata povertà, assai ordinata nei suoi elementi profilmici per finalità espressive, restituite tramite precisi strumenti cinematografici – la prospettiva in profondità nel vuoto della stanza, la sedia appoggiata alla parete e le figure umane, in un’atmosfera sospesa quasi dechirichiana.
Sul piano narrativo La notte brava presenta poi una struttura decisamente audace e anticonvenzionale. Se si possono individuare come protagonisti le figure di Ruggeretto e Scintillone, tuttavia il racconto della loro giornata si snoda senza stringenti catene consequenziali, seguendo un percorso nemmeno episodico ma semmai puramente libero e divagante. Cercando di dare conto della frammentarietà delle esistenze dei ragazzi di vita, Bolognini mette al centro del racconto figure transitorie che poi lasciano il posto ad altre, senza che nessuno s’interroghi più di tanto sul destino di chi è uscito dalla linea narrativa – vedasi Supplizia, la Secca, il breve incontro con Laura, l’entrata in scena di Rosanna Schiaffino dopo più di un’ora.

In tal modo Bolognini restituisce pienamente il senso di esistenze fatte di necessità e priorità che durano il tempo di un battito di ciglia. Ruggeretto fa a pugni col Bella-Bella per il furto del denaro, poiché convinto che Laura possa essere per lui un’occasione di cambiare vita. Poi il ragazzo passa la nottata con Rossana, incontrata casualmente, e nei suoi pensieri e parole Laura non ha più posto. Così, a fianco di una giovinezza che si smarrisce a poco a poco nel tempo perso, nelle continue parentesi di vita rubate a qualsiasi tipo di impegno (il lavoro è visto come la peggiore condanna), Bolognini scarta dal dato sociale in cerca di una messinscena fortemente sensista, umorale, imperniata sapientemente sulle cadenze jazz del commento musicale di Piero Piccioni. Ché se il jazz è improvvisazione, lo è in tutto pure l’esistenza di questi ragazzi, pronti ad affrontare la giornata vivendosela minuto dopo minuto, inventandosi sempre nuovi stratagemmi per sopravvivere, mossi da un irriducibile cinismo. La realtà storico-sociale rimane, ma come sfondo astratto, ridotto a elementi fortemente simbolici – quell’ala di aereo militare che si staglia nella notte in mezzo ai campi, residuo postbellico e maceria del presente. La maceria è pure culturale, identificata in paesaggi che sono resistenza compromessa col cambiamento – le prospettive infinite sui campi nella parentesi a Fiumicino, paesaggio vuoto e spettrale, preindustriale che però implica già la miseria del presente, punteggiato di baracche e casupole emerse come residui di fronte a uno sterminio antropologico.

Appartiene più strettamente all’universo pasoliniano la riflessione sull’omologazione in corso nel sottoproletariato italiano. La nuova società ha di fatto creato il sottoproletariato, ed esso vive nel vagheggiamento del mondo dei ricchi, cercando di imitarne modelli e modalità. In cerca di denaro da mattina a sera, Ruggeretto e Scintillone conservano nei suoi confronti un rapporto fortemente ambivalente. Visto come strumento d’accesso al benessere dei ricchi, in realtà il denaro è anche al centro di un costante disprezzo, che da un lato vuol imitare goffamente lo scialo alto-borghese, dall’altro si allinea coerentemente a un approccio alla vita centrato sull’attimo, il minuto, la giornata. L’orizzonte di vita è la giornata, e non a caso il film si chiude con l’ultima banconota accartocciata e gettata via da Ruggeretto, dopo aver constatato di aver terminato, all’alba, il denaro necessario al giorno appena trascorso tra bisbocce e sfizi da ricchi. Il giorno dopo si riparte, mettendosi alla caccia dei soldi necessari per sbarcare la nuova giornata. Un’esistenza circolare, ben sottolineata dalle due inquadrature iniziali e finali, che si chiudono a specchio una dell’altra. A ben vedere, in un racconto fatto esclusivamente di divagazioni e frammentazioni, resta solo il denaro come motore unificante, in una catena di eventi e azioni/reazioni tutte centrate sull’appropriazione, il furto e il raggiro. Le liti e le scazzottate nascono per spartirsi un gruzzolo, i proventi della vendita delle armi al sordomuto sono contati banconota su banconota in macrodettaglio, con significativa carrellata di primi piani sui protagonisti. Supplizia, la Secca e Nicoletta sottraggono il denaro al terzetto di sfaccendati. I ragazzi borghesi capeggiati da Achille, che evocano attrazioni bisessuali con morbida allusione, dispensano banconote con melliflua generosità. Il portafogli gonfio, oggetto del contendere, è un leit-motiv narrativo che ritorna costantemente. Il denaro permette a Ruggeretto, in un empito di tracotanza alto-borghese, di estorcere il lavoro alla band di un ristorante lussuoso perché continui a suonare anche a notte fonda. La Dolce Vita è evocata in locali e show notturni come un miraggio difficile da afferrare per i protagonisti. Se la riflessione sulla deriva omologante del sottoproletariato italiano è pura farina del sacco pasoliniano, d’altro canto l’ossessione del denaro è del tutto pertinente all’universo di Bolognini, che più volte ritornerà nella sua carriera a narrare vicende imperniate sulla maledizione dell’oro e relativo abbrutimento dei rapporti umani (La Viaccia, 1961; L’eredità Ferramonti, 1976), e più in generale sull’istinto alla sopraffazione tramite forme diversificate di potere, interno o esterno a dinamiche familiari.

Alla luce di tutto questo, restano ben chiare le ragioni per cui Pasolini non potesse dirsi soddisfatto di un trattamento simile riservato al suo universo espressivo. Ai veri sottoproletari Franco Citti e Ninetto Davoli, collocati in un universo lirico, non possono corrispondere in alcun modo i corpi e le fattezze di ben curati attori professionisti, per di più nemmeno italiani nella fisionomia (Laurent Terzieff, Jean-Claude Brialy), e pure il volto pulito dell’italiano Franco Interlenghi sfugge da tali coordinate. Così come Pasolini non avrebbe probabilmente mai sfiorato in senso immediatamente morale il tema del denaro, rendendolo protagonista di un tracciato narrativo così marcato. Talvolta, il doppiaggio degli attori sortisce pure effetti di scarsa credibilità – vedi l’esordio con la litigata tra Supplizia e la Secca in piena e stridente insistenza sulla romanità, che sfiora il sintetico bozzetto. Ma il film resta di Mauro Bolognini, nel bene e nel male. Nessun autore può essere qualcun altro. E d’altra parte essere Pasolini è toccato in grazia solo a Pasolini.

Extra
“La censura italiana negli anni Cinquanta” (8′ 59”), intervista ad Andrea Mariani, docente e ricercatore all’Università di Udine; “Tra borghesia e borgata: Bolognini e Pasolini a confronto” (21′ 02”), a cura dell’Università di Udine.
Info
La scheda di La notte brava sul sito di CG Entertainment.
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