Guendalina

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La linea d’ombra, il primo amore, i divari sociali dell’Italia anni Cinquanta, la vita adulta che incombe e spazza via gli entusiasmi dell’adolescenza. Guendalina di Alberto Lattuada è uno splendido ritratto a due, fortemente stratificato, testimone di una profonda capacità analitica. In dvd per CG Entertainment.

A Viareggio, alla fine dell’estate la giovane Guendalina, figlia di una coppia alto-borghese, vede prolungare la sua vacanza a tempo indeterminato in compagnia della madre, poiché i suoi genitori sono sull’orlo della separazione e il rientro a Milano è stato rimandato. Rimasta praticamente sola dopo il ritorno a casa di tutti i suoi amici, la ragazza conosce Oberdan, suo coetaneo di umile estrazione sociale, proveniente da una famiglia di anarchici del posto, che sta per iscriversi ad architettura. A poco a poco tra i due nasce un rapporto sempre più profondo, fatto di giochi, bagni al mare, momenti buffi, poi d’amore… [sinossi]

C’è un’estate che non finisce mai. È quella di Guendalina, figlia adolescente di una coppia alto-borghese di Milano in villeggiatura a Viareggio. Aprendosi su un generale leaving party in mezzo alle strade in cui tutti gli amici di una stagione si ritrovano per salutarsi prima di tornare a casa, il bel film di Alberto Lattuada consegna la sua giovane protagonista a un’imprevista e prolungata solitudine al mare in compagnia della madre. I genitori sono in crisi, la separazione è alle porte, e il rientro a Milano è rimandato a tempo indeterminato. È l’intelligente idea di partenza di un soggetto che porta la firma di Valerio Zurlini, tradotto poi in sceneggiatura da altri, in testa la coppia Benvenuti&De Bernardi. Il lento spegnersi della stagione più bella, che vede muoversi Guendalina in un paesaggio sempre più deserto, corrisponde al lungo addio della ragazza alla propria adolescenza. Quel tempo è una stagione rubata, una parentesi strappata alla crudeltà della vita adulta che incombe e che fa piazza pulita dell’entusiasmo e della gioia ingenua. Guendalina non è uno stinco di santo, porta su di sé tutti i tratti della ragazzina viziata alto-borghese, è superficiale, prende in giro bambine sordomute, è invadente, petulante, alla continua ricerca di attenzioni e del primo piano. Ma quell’onnipresenza egocentrica è il rovescio di una profonda solitudine, acuita dal dolore per la freddezza reciproca tra i propri genitori. La vittima prescelta della sua invadenza è il coetaneo Oberdan, figlio di anarchici locali di umili origini, orgoglio della famiglia poiché prossimo a iscriversi ad architettura. Com’è ovvio tra i due c’è la spontanea sintonia tra coetanei, ma ben segnata dalle diverse appartenenze sociali. A poco a poco però i due giovani cercano espressione al loro incontro, creano uno spazio intimo e delimitato in cui trovano posto il gioco, il primo amore, e soprattutto la condivisione del dolore, quella che permette di scoprire, in quell’età fortemente egocentrata, l’esistenza dell’altro. Per Guendalina, soprattutto, è la scoperta di altre forme familiari, fatte di calore, affetto e memorie dolorose.

Tema che ritorna più volte nel lungo percorso artistico di Lattuada, l’attenzione al passaggio della linea d’ombra, specie in figure di giovani donne, trasforma Guendalina (1957) in un racconto che pur muovendosi in un quadro generale di convenzioni cinematografiche conserva un profondo nucleo di sincerità e capacità analitica. Spesso si è ritrovato nel cinema di Lattuada uno sguardo profondamente razionale, che si pone con scrupolo “scientifico” all’indagine della fenomenologia dell’umano, trovando un’intima motivazione nel desiderio di capire prima di giudicare. Ciò è confermato anche dalla meticolosa attenzione del film ai minimi sommovimenti dell’anima, colti in quel fluido e inquieto magma degli anni alla soglia della vita adulta. È un approccio analitico che emerge con forza in tutta la sequenza introduttiva, quando Guendalina dà rapido conto della massa di giovani alle prese con i festeggiamenti di fine estate, seguiti nelle loro azioni collettive (indicative in tal senso sono le ripetute inquadrature strette sull’avvicinarsi e allontanarsi degli zoccoli durante la sequenza di danza, che si conclude con un abbandono liberatorio delle calzature per scatenarsi nel ballo). Gusto per il dettaglio rivelatore, per il piccolo frammento audiovisivo che si tramuta in epifenomeno di un macrosistema sociale: vi è anche l’intenzione di registrare coordinate sociali in mutamento, che nell’emergere di una maggiore libertà nei comportamenti dei giovani identifica un più ampio cambiamento antropologico in atto nell’Italia della ricostruzione, narrato anche nella nuova franchezza e confidenza tra genitori e figli, quantomeno nella famiglia borghese di Guendalina. Ed è altrettanto sapiente e scrupolosa la dedizione al racconto di una giovanile passione d’amore che sboccia a poco a poco, tramite momenti buffi, lunghi confronti tra i personaggi, allontanamenti e avvicinamenti, tanto che il romance più conclamato occupa saggiamente solo l’ultima mezz’ora.

Tuttavia, se anche Guendalina testimonia tale approccio scientista ai fatti dell’essere umano, nel film resta altrettanto percepibile un sincero afflato emotivo, costantemente permeato di malinconia e tenerezza, che si traduce poi in un inaspettato, disperatissimo finale di rara efficacia. Dopo aver salutato per sempre il suo primo amore, Guendalina viaggia in treno al seguito dei genitori apparentemente riconciliati, testandone la siderale distanza dalla sua prima vera scoperta del dolore. Si allontana, si nasconde dietro a un finestrino che significativamente ricorda le sbarre di una prigione, scoppia in un pianto laceratissimo, senza fine, eccessivo e sproporzionato rispetto al tono generale tenuto da Lattuada fino a quel momento. Il treno entra in un tunnel oscuro, dal quale esce la parola “Fine”. Non è solo la fine dell’adolescenza di Guendalina, ma è anche la probabile prigione della sua futura vita alto-borghese, alla quale la ragazza ha forse scoperto, tramite l’incontro con Oberdan, di essere del tutto estranea. La sua vita, probabilmente, è già segnata, il percorso è scelto da altri.

Secondo tale linea di ragionamento Guendalina mostra un’infinità di plurilivelli di lettura che si espandono da un racconto anche convenzionale, generalmente memore del nostro cinema anni Cinquanta che di frequente si è dedicato al racconto garbato e sorridente delle nuove generazioni. Vi è ampio spazio per la commedia, uno dei generi principi del nostro cinema del tempo (la sequenza dell’uscita a caccia è assai divertente), ma al contempo Lattuada mostra una profonda capacità di ragionare sull’immagine e di mostrare in qualche modo una sorta di negativo della commedia rosa anni Cinquanta. Più volte ci troviamo emozionati dalla capacità di inquadrare significativamente le figure dei personaggi nel contesto dei paesaggi della Versilia. Basti pensare ai lunghi campi sulle spiagge deserte, dove più volte Lattuada racconta la solitudine dei due ragazzi seguendoli nelle loro corse verso il fondo dell’immagine. O, in una sorta di controcampo a tale soluzione visiva, i primi piani che dall’interno di una cabina tagliano frammenti di spiaggia ancora deserta o di mare in lontananza. A corroborare la partecipazione emotiva al film intervengono anche elementi più convenzionali, come l’uso insistito di un tema musicale decisamente melodrammatico a opera di Piero Piccioni, che tuttavia in altri momenti lascia spazio a un più sottile lavoro jazzistico. Ma Guendalina conserva comunque da inizio a fine un raro senso dell’atmosfera, capace di legare strettamente la storia di una formazione alla vita ai paesaggi che la ospitano. Ed è un film anche capace di stratificarsi in più discorsi, senza troppe evidenze o declamazioni. Sottotraccia rimane infatti altrettanto evidente il racconto di un orizzonte sociale, o meglio del rapporto tenuto dai due protagonisti nei confronti di tale orizzonte. È un’Italia segnata dalle differenze di censo, neanche troppo sottilmente classista; se magari in superficie il film sembra sposare il classico tòpos della giovane coppia osteggiata da una delle due famiglie (la più ricca, ovviamente), in realtà Lattuada affronta con profonda serietà e intelligenza il progressivo dispiegarsi di due giovani visioni della vita intimamente segnate dai diversi contesti in cui sono maturate.

In questo Guendalina è capace anche di sfuggire alle nette spartizioni didascaliche e romanzesche, affidando alla figura dei due genitori della ragazza (specie al padre) un apparente spirito libertario e democratico, testimone a sua volta di una borghesia illuminata probabilmente in evoluzione verso maggiori aperture mentali. Ma è solo un’illusione delle apparenze, poiché al fondo il presunto permissivismo del padre si sorregge a un retropensiero almeno una volta enunciato in modo piuttosto esplicito: lasciamola fare, è un amore adolescenziale, domani se ne sarà già dimenticata. Ed è più che probabile, ma in tale orizzonte è implicitamente negato il valore di verità del dolore provato da Guendalina. Il dolore dell’adolescenza non vale meno di altri, nell’istante in cui si verifica è vero tanto quanto gli altri, e si conserva nella memoria. In tal senso Guendalina assume i tratti quasi di una riflessione critico-teorica su una parte del coevo cinema italiano di consumo commerciale, quello dei sorrisi giovanili e dei conflitti sublimati. Il rovescio di quella giovinezza della ricostruzione nazionale è l’estrema concretezza del vero dolore intimo e privato, spesso rimosso dalla generalizzata commedia rosa anni Cinquanta.

La quasi esordiente Jacqueline Sassard, per la prima volta convocata in un film italiano, costituisce una delle immagini più pertinenti di quel nostro cinema. Nel giro di pochi anni parteciperà ad almeno quattro film importanti, in tre dei quali incarna personaggi in qualche modo riconducibili a un unico amaro discorso sulla fine dell’innocenza. Dopo Guendalina sarà la protagonista di Nata di marzo (1958) di Antonio Pietrangeli, che in tale ottica pare seguire idealmente le vicende di Guendalina alle prese con un matrimonio rigorosamente borghese (un vero e proprio ritorno a Milano, dove il film di Pietrangeli è ambientato). Successivamente ricoprirà un significativo ruolo secondario in Estate violenta (1959) di Valerio Zurlini, dove di nuovo ritorna il contesto marittimo-vacanziero, borghese e adolescenziale, stavolta come sfondo contrastivo alle ben più drammatiche vicende della guerra e della caduta del fascismo. Qui, il personaggio della Sassard assume tratti più sgradevoli, e in luogo degli stupori giovanili emerge con forza la crudeltà superficiale dell’invidia adolescenziale. Infine, e più tangenzialmente, Il magistrato (1959) di Luigi Zampa mostra una Sassard più adulta, decisa a difendere una propria idea di etica prima di arrendersi alla corruzione morale di tutto un sistema culturale.
Restano comunque appassionanti queste congenialità che si snodano sul trinomio Lattuada-Pietrangeli-Zurlini, impegnati in quegli anni a scambiarsi attori e soggetti (oltre a scriverne il soggetto, Zurlini avrebbe voluto anche dirigere Guendalina, che però fu affidato a Lattuada dal produttore Carlo Ponti) all’interno di un comune orizzonte d’indagine che meriterebbe di essere approfondito sul piano soprattutto stilistico, riguardo a ogni singola personalità autoriale e in rapporto estetico con le altre.

A fare da contraltare a Jacqueline Sassard, nei panni di Oberdan troviamo l’esordiente Raf Mattioli, che a sua volta ritornerà in Estate violenta. Giovane volto tipico degli anni Cinquanta, scelto come d’uso per la sua spontanea freschezza e come spesso accadeva malamente doppiato, morirà tragicamente pochi anni dopo per un’ischemia a soli 24 anni, dopo aver partecipato a una decina di film. Entrambi sinceri, gradevoli, ben diretti. Mentre quel tunnel resta là, a sancire dolorose separazioni, inevitabili prigioni.

Note
Il master del dvd non è dei migliori, e in più tratti risulta piuttosto rovinata soprattutto la colonna audio.
Extra
Schede informative su Alberto Lattuada, Raf Vallone, Jacqueline Sassard.
Info
La scheda di Guendalina sul sito di CG Entertainment.
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