Pagine nascoste

Pagine nascoste

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Tra passato e presente, tra i buchi nella memoria privata e collettiva, Sabrina Varani dirige con Pagine nascoste un interessante documentario, che segue una dolorosa ricerca personale fattasi inevitabilmente storica e politica. In concorso al PerSo Film Festival di Perugia.

Buchi (neri) da colmare

La scrittrice Francesca Melandri, mentre sta effettuando delle ricerche per il suo nuovo romanzo di ambientazione storica, si imbatte in un articolo sulla campagna italiana in Etiopia scritto da suo padre, fascista dichiarato, apparentemente pentitosi dopo la campagna russa. Partendo da lì, la scrittrice decide di compiere un approfondimento sulla figura del genitore, cercando di colmare i buchi neri tanto nella storia della sua famiglia, quanto in quella più generale dell’Italia di quegli anni. [sinossi]

È un’operazione senz’altro apprezzabile, quella compiuta da Pagine nascoste, in concorso al PerSo Film Festival di Perugia del 2018, che nel suo viaggiare tra passato e presente, tra il rigore della ricostruzione storica e la portata emotiva della testimonianza diretta, si muove anche tra i territori confinanti della letteratura e del cinema: lo fa, il documentario di Sabrina Varani, riferendosi costantemente al romanzo Sangue giusto, scritto da Francesca Melandri, tentativo in forma narrativa, da parte della srittrice, di penetrare e riportare alla luce nella sua interezza la figura di suo padre, giornalista fascista (apparentemente) ravvedutosi dopo l’impresa militare in Russia. Un gioco di rimandi costanti tra un testo e l’altro, che va oltre il mero didascalismo tracciando un parallelo (non diretto, ma mediato dai meccanismi della fiction, da quella “menzogna” a cui la scrittrice fa riferimento negli ultimi minuti) tra la figura fittizia di Attilio Profeti, testimone diretto delle atrocità italiane in Abissinia, e quella reale di Franco Melandri. Due emblemi, nei rispettivi ambiti, di una più generale operazione di rimozione (quella dell’appoggio più o meno silenzioso al regime, da parte di larghi strati di popolazione) di cui stiamo ancora pagando le conseguenze.

La struttura rapsodica di Pagine nascoste, che si apre sull’interno della grotta in cui i partigiani di Addis Abeba si nascondevano, emblema di un più generale oscuramento di un’intera pagina di storia, per chiudersi quasi beffardamente sull’immagine della pecora/eroina sacrificata dallo stesso Melandri, non esclude un suo carattere rigoroso, fermo nella direzione da intraprendere. È sì un viaggio nel passato, quello compiuto dalla regista accanto alla scrittrice romana, che tuttavia mostra costantemente e consapevolmente le sue corrispondenze nel presente, i drammi e i disastri (oggi sotto gli occhi di tutti) dei “buchi neri” della memoria: tanto di quella collettiva quanto di quella personale della scrittrice, grumo di ricordi rimossi che impediscono un reale confronto (tanto personale e affettivo, quanto politico) con la figura del defunto genitore. L’apparente impassibilità sul viso di Francesca Melandri, il suo distacco nel condurre ricerche e interviste, testimoniano invero di un’inquietudine interiore (quella che emerge quando si ha la consapevolezza che il personale si lega, indissolubilmente, al collettivo) che viene infine alla luce nella voce incrinata della scrittrice negli ultimi minuti del documentario.

Rigoroso ma non neutro, consapevole dell’impossibilità di un punto di vista esterno e “incontaminato” nel lavoro del documentarista (specie su un tema del genere), Pagine nascoste dosa in modo attento le inevitabili accelerazioni emotive del suo materiale, dando vita a volte a interessanti effetti di senso: tra questi, le celebrative parole dei vecchi cinegiornali sull’avventura coloniale, a commento delle immagini che mostrano un popolo e una terra ancora non riavutisi dalla violenza subita; oltre alla raggelante registrazione audio di Topolino in Abissinia (popolare pezzo di propaganda del regime) sovrapposta a una carrellata a mostrare i volti della generazione dei nipoti delle vittime di quell’esperienza. I documenti fotografici e filmati più espliciti, quelli (quasi insostenibili) delle impiccagioni di massa e di una fossa comune colma di cadaveri, non trasmettono mai l’impressione di una facile scorciatoia per il coinvolgimento spettatoriale, restando piuttosto diradati nella disposizione, e subordinati all’inserimento in un’evoluzione “narrativa” che vede al centro la ricerca della scrittrice. E, in questo senso, più che funzionale si rivela anche la digressione (laddove la memoria personale si allarga a una dimensione collettiva) sulla figura del generale Rodolfo Graziani, criminale di guerra per l’ONU, responsabile di atrocità riconosciute, ma tuttora “eroe locale” nel natale paese di Filettino.

Quella di Pagine nascoste si rivela dunque una via interessante al linguaggio del documentario, che rifiuta la contaminazione (oggi frequente) con la fiction, in quanto ritiene, evidentemente, la realtà già contaminata di suo con quella “fiction storica” che qui si tenta di rimuovere. Lo fa, il documentario di Sabrina Varani, mostrando una ricerca e un viaggio nella memoria doloroso quanto necessario, quale antidoto a un collettivo oblio di cui vengono ben mostrati (di nuovo in modo non didascalico, ma con tutta l’urgenza di una storia che si va scrivendo) gli effetti nell’oggi.

Info
Il sito del PerSo Film Festival 2018 di Perugia.
La pagina dedicata a Pagine nascoste sul sito di Filmitalia.
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