City on Fire

City on Fire

di

Il primo capitolo della cosiddetta “on Fire trilogy” di Ringo Lam è City on Fire, noir colmo di mélo in grado di anticipare e suggestionare gran parte dello sviluppo del genere negli anni successivi, a partire ovviamente dal sublime Le iene di Quentin Tarantino, insieme al quale viene proiettato al Far East.

Lo stallo all’hongkonghese

Ko Chow è un poliziotto infiltrato da parecchio tempo negli ambienti criminali di Hong Kong. Fu è un rapinatore abbandonato alla malinconia con una specie di morale molto poco etica sporcata dal sangue, che accoglie Ko Chow nella sua banda per un grande colpo in gioielleria, che si trasformerà in una tragica rapina. Ko Chow è però anche un uomo molto combattuto, in special modo dopo aver assistito alla morte di un collega e una missione che si è conclusa con un tradimento da parte di un criminale. Anche il suo capo sembra non fidarsi di lui e la sua ragazza è in cerca di certezze. Ko Chow troverà però sostegno in uno dei membri della banda, Fu, con cui instaurerà un saldo rapporto di amicizia e fraternità. [sinossi]

City on Fire ha più di trent’anni – trentadue, per l’esattezza – eppure sembra provenire da un’epoca lontana, lontanissima, persa nelle brume del tempo. Un’epoca che non esiste più, e non solo perché il regista Ringo Lam è venuto a mancare nei mesi scorsi, poco prima della fine del 2018. A non esistere più non è un uomo, né un’industria (Hong Kong è ancora una macchina produttiva in grado di smuovere milioni di dollari, come testimoniano gli otto film provenienti dal “Porto dei fiori” e selezionati al Far East 2019), ma la libertà espressiva di un cinema che si immergeva nella lordura della società passando attraverso i codici del genere, dalla commedia – si pensi alle mirabilie slapstick di Michael Hui – alla fantascienza, dal wuxia al poliziesco. Quella Hong Kong, per motivi politici e sociali così dirompenti da non dover neanche essere sottolineati, non c’è più. Quel cinema è morto, e non tornerà se non in una forma riciclata a uso e consumo di una nostalgia del vedere che è malattia cinefila tra le più persistenti e pericolose. Il Far East di Udine si riappropria della sua radice fondamentale – la kermesse si articolò partendo da un numero zero intitolato “Hong Kong Film Festival” – non per certificarne il decesso, come in parte poteva essere per il restauro dell’imperdibile Made in Hong Kong di Fruit Chan, due anni or sono, ma per ragionare sui modi e i tempi con cui quell’esperienza irripetibile sfondò a occidente, infiltrandosi (il verbo non è casuale) nelle maglie strettissime di Hollywood.
Ecco dunque City on Fire condividere lo schermo del Cinema Centrale, che in questa edizione del festival sostituisce quello del Visionario, con Reservoir Dogs di Quentin Tarantino. Un apparentamento evidente, dato che il regista statunitense ha sempre ammesso di aver utilizzato il film di Lam come fonte d’ispirazione. Mettere in fila i due film non deve servire comunque a promuovere giochi alla ricerca spasmodica di similitudini – esercizio a dir poco sterile, e di infima utilità critica – ma semmai a ragionare sulle derive del noir, e sul mood epico e romantico di fine millennio. Mood che si è staccato dalla messa in scena del genere, sempre più stilizzato oramai – si prenda ad esempio Free Fire di Ben Wheatley, che tanto deve sia a Tarantino che al cinema hongkonghese – e deprivato dell’epos.

È invece un cinema profondamente epico e romantico, quello di Ringo Lam. Così epico e romantico da permettersi qualsiasi digressione violenta, in un continuo saliscendi emotivo che è lo stesso provato dai suoi due derelitti protagonisti, un criminale “vero” e un criminale “finto”, poliziotto infiltrato per sgominare la ghenga. Spesso l’occhio occidentale si ferma di fronte a film come City on Fire lodando sì le evoluzione action, la straripante fisicità delle sparatorie e degli inseguimenti, ma allo stesso tempo rimproverando la dispersione narrativa di una sceneggiatura che vive di subnarrazioni continue, in un accumulo di materiali che viene con troppa facilità letto come un difetto. È invece proprio in quella bulimia narrativa, nella voglia di scendere in profondità negli intimi desideri e dolori dei suoi protagonisti, che Lam – come buona parte dei colleghi dell’epoca, a partire ovviamente da John Woo che con i suoi successi commerciali spinse le produzioni a credere nelle potenzialità popolari del noir e del poliziesco – trova l’equilibrio perfetto, innovando realmente il genere e smarcandolo dalla tensione verso l’atto in quanto tale.

Certo, lo spettatore di City on Fire difficilmente saprà resistere alla forza cinetica della regia di Lam, così scorbutica eppur elegante, rocambolesca e dolente, furibonda contro un mondo che non lascia alcuna via di scampo. Ma è proprio lì, in quella dicotomia che vede intimo e universale scontrarsi ad armi pari – e con equivalente possibilità di soccombere, che la vittoria è in ogni caso fuori discussione – che Lam trova la propria via al genere, senza l’estetica di Woo ma con una brutalità che è figlia del desiderio spasmodico di vivere e di sopravvivere, di avanzare un metro in più anche con il corpo crivellato di colpi. A partire dalla prima sanguinosa sequenza, che termina con un cadavere riverso a pancia all’aria nel bel mezzo della strada City on Fire non toglie mai il pedale dall’acceleratore, pur perfettamente consapevole del muro che lo attende alla fine della corsa sfrenata.
Quel che ne viene fuori è un film tragico e liberissimo, in cui la violenza è sempre atto di deprivazione di sé prima ancora che dell’altro, e dove ordine e indisciplina si muovono sugli stessi binari, senza avere alcuna voglia/necessità di scartare. Rivedere City on Fire a trentadue anni dalla sua realizzazione significa rendersi conto della sua modernità, di un linguaggio cinematografico che verrà progressivamente sostituito da tensioni dialettiche adatte soprattutto a piccolo schermo. E significa rimpiangere un maestro come Ringo Lam, dimenticato in fretta e furia perché troppo anarchico, libero, privo di compromessi. Anche lui, come il suo film, destinato a scontrarsi con un muro, ma senza alcuna paura.

Info
Il trailer originale di City on Fire.
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-11.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-10.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-09.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-08.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-07.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-06.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-05.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-04.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-03.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-02.jpg
  • city-on-fire-1987-ringo-lam-recensione-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • Far East 2019

    le iene recensioneLe iene

    di Le iene, l'esordio alla regia di Quentin Tarantino. La teoria di Like a Virgin, mr. Orange sanguinante a terra, l'orecchio mozzato, lo stallo alla messicana. A quasi trent'anni dalla sua realizzazione la conferma di un film rivoluzionario, che mescola epos tragico e Ringo Lam. Al Far East, in double bill con City on Fire.
  • Festival

    Far East 2019 - 21esima edizione - 26 aprile/4 maggioFar East 2019

    Alla ventunesima edizione il Far East 2019 certifica una volta di più il suo ruolo centrale all'interno del microcosmo festivaliero, permettendo uno sguardo a trecentosessanta gradi sulla produzione asiatica contemporanea.
  • Notizie

    Far East 2019 – Presentazione

    E sono ventuno. Il Far East 2019 svela il programma e si conferma figura centrale e in qualche modo totemica per tutti gli appassionati cultori dell'Estremo Oriente e del sud-est asiatico. Dal 26 aprile al 4 maggio a Udine.
  • Buone feste!

    school on fire recensioneSchool on Fire

    di A trent'anni dalla sua realizzazione School on Fire segna il punto di non ritorno della poetica di Ringo Lam, con la sua messa alla berlina dell'intero sistema sociale della città-stato, partendo dall'istruzione per arrivare alla polizia e, ovviamente, alla mafia locale.
  • In sala

    Free Fire

    di Una lunga, interminabile sparatoria. Questo è Free Fire, il sesto lungometraggio del regista britannico Ben Wheatley, che arriva in sala in Italia a un anno dalla sua realizzazione. Un giocattolo divertente, che però non osa molto sotto il profilo teorico.