La piscina

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Cult movie erotico-estatico progettato per piacere, La piscina di Jacques Deray è un’esperienza sensoriale straniante, un film bello senz’anima, come i due personaggi incarnati da Alain Delon e Romy Schneider. In Piazza Maggiore a Il Cinema Ritrovato 2021.

Sotto la pelle, niente

Una villa con piscina della Costa Azzurra ospita un torbido rapporto a quattro fra uno scrittore, una giornalista e un amico play-boy in visita con la figlia.  [sinossi]

“Si ha sempre una preferenza”, anche per le cose più banali, anche tra due palline di pane assemblate per noia. Questo interessante concetto, non privo di riferimenti alla società borghese- capitalistica nella quale tutt’oggi galleggiamo, viene enucleato in La piscina di Jacques Deray da un’adolescente inquieta (una splendida Jane Birkin), ancora ignara di quanto e come le sue scelte verranno in futuro depotenziate e annichilite, diventeranno, appunto, semplici “preferenze”. Sembra invece già ben consapevole di questo destino, in un cortocircuito tra vita e cinema, la coppia protagonista del film, incarnata dai divi Alain Delon e Romy Schneider, che pochi anni prima avevano vissuto una travolgente e burrascosa storia d’amore. I due interpreti, così come i relativi personaggi, appaiono qui totalmente reificati, ridotti a puri oggetti di piacere.

Pubblicitario lui, giornalista lei, Jean-Paul (Delon) e Marianne (Romy Schneider) stanno trascorrendo l’estate in una villa con piscina sulla Costa Azzurra, quando un ex amante di lei, Harry (Maurice Ronet), arriva in visita con la figlia adolescente Pénélope (Jane Birkin). Ha inizio così un carosello di schermaglie virili, volte a marcare il territorio e determinare il possesso sui personaggi femminili. Quando poi ci scappa il morto, la situazione si complica.

Con sceneggiatura e dialoghi firmati con Jean-Claude Carrière (scomparso proprio quest’anno), il regista Jacques Deray ci immerge in un universo visivo derivativo, rubato con classe all’estetica pop-laconica dei dipinti di David Hockney. Il suo costante utilizzo di obiettivi a focale lunga pare dettato dalla volontà di non disturbare le performance attoriali, ma serve anche, naturalmente, per mettere lo spettatore nella posizione di un voyeur silenzioso e distanziato, pronto a ricevere un appagamento esclusivamente visivo. Appagamento che appare garantito fin dai primi minuti di film.

È un film di corpi La piscina, corpi dalla pelle abbronzata e tesa su muscoli scolpiti, corpi lucidati da un’allure pubblicitaria – non a caso è questo il mestiere “degradato” dello scrittore fallito Jean-Paul -, corpi di splendide marionette che si animano solo per noi, per poi tornare inerti. Ad accompagnare questi antieroi tragici nel loro percorso, in fondo già scritto, troviamo poi un arredamento alla moda, con specchi/oblò su metalliche sculture, radio Brionvega a bordo piscina e mobilio di design firmato Gae Aulenti. Poi, naturalmente, ci sono automobili cromate e rombanti, anch’esse, come i personaggi femminili, oggetto di una lotta per il possesso.

Un sottile feticismo innerva l’intero film, mentre un pizzico di sadomasochismo fa poi capolino in una sequenza notturna. Ma nonostante ciò si annoiano molto i personaggi de La piscina, e lo dicono spesso. Quando avviene il delitto e si innesca il thriller, non cambia granché per loro, e nemmeno per lo spettatore, tutto sembra già previsto e facilmente prevedibile. Anche i rimpianti e desideri dei protagonisti appaiono piuttosto comuni, nessuna sorpresa è più possibile nel loro mondo ovattato, possono solo stare col bicchiere in mano o senza, con la camicia o senza, con l’abito aperto o chiuso. Quando poi compare il detective e il nostro colpevole comincia a sentirsi braccato, Jacques Deray abbandona il teleobiettivo da voyeur sostituendolo con numerosi zoom in avanti, quasi a voler finalmente penetrare quell’epidermide perfetta, cercando un’interiorità inquieta che però non viene mai in superfice, non completamente almeno.

Considerando che il film è stato realizzato nel 1969, deve forse essere apparso un po’ compassato agli spettatori dell’epoca, specie ai giovani del joli mai di pochi mesi prima. Della loro ribellione e delle loro ragioni qui non vi è traccia, ci sono solo le gonne, via via sempre più corte, di Jane Birkin. Quanto al senso di colpa, alla noia, alla reificazione pop borghese, beh, in quel campo Michelangelo Antonioni aveva già detto tutto o quasi, fin dal suo esordio nel lungometraggio di finzione con Cronaca di un amore nel 1950, e senza dimenticare poi L’eclisse, nel 1960, con protagonista maschile proprio Alain Delon.

Cult movie erotico-estatico accuratamente pensato per piacere, e anche a un pubblico assai vasto (nulla sembra suggerire una volontà di épater la bourgeoisie), La piscina è un innegabile piacere per gli occhi che gioca anche con l’impudico desiderio dello spettatore, specie quello dell’epoca, di vedere insieme sul grande schermo due grandi divi ed ex amanti. Non c’è molto altro, ma forse è anche abbastanza così. E non stupiscono dunque né il suo successo di allora, né il suo mito, tantomeno gli omaggi e i rifacimenti successivi – da Swimming Pool di François Ozon a A Bigger Splash di Luca Guadagnino -, La piscina è un “prodotto” impeccabilmente confezionato, estremamente attraente, ed eternamente riproducibile.

Info:
La scheda di La piscina sul sito de Il Cinema Ritrovato.
Il trailer originale de La Piscina.

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