Warning

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Vincitore del Premio Méliès d’argent al Trieste Science+Fiction Festival 2021, Warning di Agata Alexander ci riporta alle antologie cyberpunk, alle raccolte di racconti di Gibson e Sterling, a quella profetica capacità di collegare l’oggi al domani, mostrandoci le derive che stiamo già vivendo e quello che probabilmente ci aspetta. Ironico, inevitabilmente diseguale, impreziosito da una breve ma efficacissima performance di Rupert Everett.

La notte che bruciammo il mondo

In un futuro non troppo distante, un astronauta alla deriva fa da sfondo a una serie di personaggi alla ricerca del senso della vita sotto lo stesso cielo. David è nello spazio durante un controllo di routine di una stazione meteorologica. Qualcosa va storto e l’uomo si ritrova separato dalla navicella, alla deriva nello spazio senza che nessuno possa recuperarlo. Intanto, sulla Terra, i robot sono divenuti accessori comuni. Con la tecnologia che si evolve sempre più velocemente, i vecchi modelli vengono abbandonati e spesso finiscono in centri di adozione, come fossero animali domestici non più voluti… [sinossi]

A cavallo tra ambiziose riflessioni e afflato mainstream, Warning è un patchwork leggiadro ma non superficiale del futuro che ci attende. Un insieme di racconti intrecciati, di finestre su un domani che sembra sempre più disumanizzato, robotizzato, virtuale, asettico. Non una visione cupa, semmai realistica, legata alla realtà che stiamo vivendo. Il film di Agata Alexander è infatti il classico esempio di fantascienza che ci proietta poco più in là, tra qualche anno, al limite decennio. Un futuro che è il punto di arrivo di sentieri già in gran parte percorsi: ad esempio, che dire di Dio 2.0 e del suo problematico aggiornamento? Quanto è davvero fantascientifico questo assistente vocale\religioso? Quanto siamo distanti da App e AI che ci guideranno passo dopo passo per tutta la giornata, fuori e dentro casa, nella vita concreta ma anche sul piano psicologico, esistenziale e magari religioso? In fin dei conti, già oggi si trovano App per tutti i gusti, persino per la meditazione, purtroppo senza la voce di James D’Arcy.

Opera prima della Alexander, anche sceneggiatrice con Jason Kaye e Rob Michaelson e autrice di numerosi video musicali, Warning è già sulla carta un lungometraggio narrativamente squilibrato: se la storia del robot Charlie, interpretato da un encomiabile Rupert Everett, riesce in pochi minuti e con alcune idee\immagini a lasciare il segno, non ottiene lo stesso risultato la deframmentata storia d’amore tra Anna (Kylie Bunbury) e Ben (Patrick Schwarzenegger), la meno efficace del lotto nonostante le premesse e il peso specifico del tema – ma anche questo forse è il problema: messa in un cantuccio l’ironia e la critica sferzante, Warning scivola pericolosamente verso altri lidi, meno agili e fin troppo seriosi. Meglio, molto meglio, quando a emergere è proprio l’idea di una mappatura di piccole storie, tutti pezzi di un puzzle che ci porta verso il collasso di questo sistema futuro. A quel punto, sempre senza smarrire l’approccio lieve, anche la dimensione apocalittica riesce ad avere un suo senso compiuto, metaforico, profetico.

Se alcuni elementi futuribili combaciano meno (si veda il look dell’addetto a Dio, ma non è l’unico dettaglio), sul piano squisitamente estetico Warning può vantare una confezione impeccabile. Discorso non dissimile per i vari attori in campo. Rispetto ad altri omnibus, spesso zoppicanti dal punto di vista narrativo, il film della Alexander regge grazie a quello che potrebbe apparire un punto debole: sono le interconnessioni, anche flebili, tra le varie storie a restituirci un quadro più complesso. Un quadro che potremmo scambiare per una distopia. Il bello di Warning, invece, è di tratteggiare un futuro che non è distopico. Semplicemente, ahinoi, è proprio quello che ci aspetta. Forse.

Info
La scheda di Warning sul sito del Trieste S+F 2021.

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