Harry ti presento Sally

Harry ti presento Sally

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Rob Reiner è all’apice della sua fama quando dirige Harry ti presento Sally, e lo stesso discorso vale per la sceneggiatrice Nora Ephron. Unendo le rispettive paranoie amorose i due confezionano la rom-com perfetta, in grado di trasformarsi in grammatica del genere per i decenni a venire, anche grazie all’alchimia sprigionata in scena da Billy Crystal e Meg Ryan.

Il calessino con le frange blu

1977, Chicago. Harry Burns e Sally Albright, al termine dei rispettivi studi universitari, condividono una macchina per viaggiare in direzione di New York, dove tenteranno di trasformare i loro desideri lavorativi in realtà. Nel decennio che seguirà i due avranno modo di incontrarsi, avvicinarsi e allontanarsi molte volte… [sinossi]

Sarebbe con ogni probabilità esagerato definire gli anni Ottanta statunitensi il terreno di caccia privilegiato di Nora Ephron e Rob Reiner, eppure a distanza di molti anni non si può non cogliere nell’esperienza autoriale della scrittrice e del regista (a partire dagli anni Novanta anche Ephron si cimenterà dietro la macchina da presa) qualcosa che li lega in modo profondo al decennio di plastica, per quanto entrambi non abbiano in nessun modo contribuito a forgiarne l’immaginario dominante. Nora Ephron, che si era fatta notare poco più che trentenne negli anni Settanta con gli scritti Wallflower at the Orgy, Crazy Salad: Some Things About Women,e Scribble, Scribble: Notes on the Media, era approdata a Hollywood, scrivendo le sceneggiature per due film di Mike Nichols, Silkwood (insieme ad Alice Arlen) e Heartburn – Affari di cuore, desunto da un romanzo in gran parte autobiografico della stessa Ephron; dal canto suo il figlio d’arte Rob Reiner – Carl, il padre, è un attore e regista assai eclettico, la madre Estelle una cantante che come attrice si ritagliò alcuni ruoli, tra i quali il più celebre è proprio in Harry ti presento Sally, visto che è a lei che viene regalata la battuta “Quello che ha preso la signorina” dopo che Meg Ryan ha finto l’orgasmo al tavolo del diner – dopo aver esordito trentasettenne nel 1984 con il geniale mockumentary musicale This is Spinal Tap, si distinse come uno dei più promettenti giovani cineasti grazie al teen-movie Sacco a pelo a tre piazze, alla struggente memoria d’infanzia kingiana Stand by Me – Ricordo di un’estate, e al divertente fantasy La storia fantastica, tratta dal romanzo di William Goldman La principessa sposa. La fusione tra la scrittura brillante, rilettura contemporanea e ancor più sapida della screwball comedy, di Ephron, e l’afflato sinceramente romantico del cinema di Reiner trova in Harry ti presento Sally un miracoloso equilibrio. Fin dal suo incipit, ambientato nel 1977 all’università dell’Illinois, Harry ti presento Sally sembra cercare di codificare il linguaggio di Woody Allen per trasmetterlo alle masse: è come se la seduta psicanalitica di un singolo, e quindi l’intimità del rapporto che il pubblico alleniano è abituato ad avere con il proprio regista di riferimento, si tramutasse in un’azione collettiva, aperta a tutti in modo quasi paradossale.

Per raggiungere un tale risultato Reiner ed Ephron chiudono la lente dell’obiettivo, focalizzandosi in modo pressoché esclusivo sui loro due protagonisti: Harry il consulente politico e Sally la giornalista non hanno parenti, non viene mai mostrato l’ambiente in cui lavorano, a malapena sono inquadrati nelle rispettive case. Ogni elemento di concreta intimità con il personaggio viene eliso, destrutturando fin da subito uno dei punti chiave della commedia romantica: quasi apolidi, a Harry e Sally non restano che l’una e l’altro, e ovviamente le rispettive psicopatologie, le nevrosi, i tic, le abitudini ossessive. In questo modo viene completamente omesso qualsivoglia ostacolo possa rischiare di far naufragare il rapporto amoroso, perché sono solo loro due, con le proprie manie, a fungere da reale ostacolo. O meglio, Harry ti presento Sally è una storia d’amore che per la stragrande maggioranza della sua durata non ha alcun bisogno di ragionare davvero sull’amore. Si trasforma quindi in un taccuino d’appunti sulla frenesia della vita moderna, e dunque – ed è questo ad apparire davvero alleniano – progressivamente in un documentario (in)volontario su New York, la Grande Mela che è anche l’unico luogo dove tutto ciò che viene narrato nel film possa acquisire un minimo di credibilità. Se Ephron e Reiner sono stati in grado di marchiare a fuoco gli anni Ottanta è perché, e questo film divenuto nel tempo iconico che è una rappresentazione plastica, hanno colto di quei dieci anni la dolcissima, tragica, nostalgia del tempo presente, la vacuità dell’esistere, il terrore di morire soli, di essere dimenticati, di non essere mai stati niente. E il rincorrersi fuggendo di questi due personaggi speculari e dunque riflettenti è proprio il tentativo di aggrapparsi a una vita che sta scivolando via, senza che si riesca a trovare il bandolo della matassa. “Un matrimonio non finisce mai solo per un’infedeltà: quello è il sintomo che qualcos’altro non va”, ammonisce impartendo una oziosa lezione di vita l’amico di sempre Jess a Harry. “Ah sì? Be’, quel sintomo si scopa mia moglie!” è la caustica risposta dell’uomo.

Nell’apparente canonicità della scrittura, che si sviluppa attraverso l’incontro/scontro per arrivare progressivamente alla liason romantica, Harry ti presento Sally appare quasi fuori dal tempo: in un’epoca di furibonda fretta, in un decennio di plastica che ha fatto del progresso tecnologico l’unico reale punto d’accesso al futuro, Reiner torna al classico, pianifica con la sua co-sceneggiatrice un tempo dilatato, non mette fretta a niente e a nessuno. La regia non è inventiva, non ha bisogno di trucchi per conquistare il proprio uditorio: a compiere l’impresa basta il ritmo travolgente – quello sì – della battuta al vetriolo: in un’opera composta quasi esclusivamente di dialoghi la brillantezza dell’eloquio di Billy Crystal e Meg Ryan, entrambi calati alla perfezione nei rispettivi ruoli, è l’arma d’attacco, la chiave di volta dell’intero ingranaggio narrativo. A dar man forte vengono in soccorso anche gli ottimi comprimari Bruno Kirby e Carrie Fisher, l’altra coppia che funge da contraltare, e permette di allargare il discorso sulla necessità della relazione affettiva, in un mondo disperso e dispersivo. A questo servono anche i siparietti che dividono i blocchi narrativi e che, a mo’ di documentario sui mille volti dell’amore, raccontano le storie più disparate, dalla Cina a Manhattan. Opera destinata a entrare fin da subito nell’immaginario romantico del cinema statunitense – proprio per la sua qualità classica e moderna a un tempo – Harry ti presento Sally diverrà il punto di riferimento di ogni rom-com che si rispetti, al punto da arrivare a dettare la punteggiatura delle commedie sentimentali dei tre decenni a venire. Datasi anche alla regia, Nora Ephron non sarà però più in grado di raggiungere un’alchimia così perfetta (nonostante alcuni dei suoi film, da Insonnia d’amore a C’è posta per te, si siano dimostrati dei buoni successi al botteghino), e morirà nel 2012 a settantuno anni, stroncata dalla leucemia. Rob Reiner, che un anno dopo Harry ti presento Sally confermerà le proprie doti di comprensione della narrativa di Stephen King traducendo in immagini Misery non deve morire, perderà progressivamente smalto, e capacità di incidere. Della decina di film diretti negli ultimi venti anni non ce n’è uno degno di menzione. È come se la storia d’amicizia e innamoramento di Harry Burns e Sally Albright, conosciutisi al terminar del campus nel 1977 e convolati a nozze dodici anni più tardi, racchiudesse l’apice della filmografia di questi due talenti, e forse della commedia romantica contemporanea, oramai fuori dal tempo a raccontare, a mo’ di fiaba della buonanotte, una New York e un’America che non ci sono più.

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