Women Do Cry

Presentato in concorso al 33 Trieste Film Festival, Women No Cry è il secondo film, e il primo in terra bulgara, delle registe Mina Mileva e Vesela Kazakova, un pamphlet femminista e arcobaleno dove, nei vari episodi che coinvolgono le protagoniste, trapela la retriva società bulgara, ancora fortemente patriarcale, sessista e omofoba.

Dove muoiono le cicogne

Una cicogna viene abbattuta su un camino. Una donna soffre di depressione post-partum e quasi si butta dal balcone. Una ragazza deve convivere con lo stigma dell’HIV. Una madre cerca un po’ di magia in un calendario lunare. La fragilità e l’assurdità di una famiglia bulgara contemporanea sono raccontate sullo sfondo di violente proteste contro la parità di genere. [sinossi]

Una cicogna viene abbattuta a fucilate, e un’equipe di veterinari cerca disperatamente di salvarla con complessi interventi chirurgici. È la scena che apre e chiude Women Do Cry, secondo lungometraggio delle registe Vesela Kazakova e Mina Mileva, che avevano esordito con Cat in the Wall, incentrato sulle vicissitudini di una famiglia londinese di origine bulgara. Ora con questo ultimo lavoro, presentato in concorso al 33 Trieste Film Festival, dopo l’anteprima a Un certain regard, affrontano di petto la società bulgara contemporanea. Schiacciato su un più intimista aspect ratio 1.3:1, il film esplora, attraverso numerosi personaggi e le loro varie vicissitudini, la persistenza di una società retriva, patriarcale e omofoba, che fa fatica ad aprirsi a istanze di libertà sessuale e di pari dignità tra i sessi. Tare ancestrali intrinseche alla cultura del paese, che anche linguisticamente non concepisce termini come “genere”, e dove nelle cerimonie sacre alla donna è vietato portare in processione l’icona. Peccati originali che si abbinano a un mai risolto confronto con i fantasmi del passato sovietico. Vari personaggi, infatti, maschili e di una certa età, ne portano i segni, chi sostiene che i comunisti in fondo siano sempre al potere e chi è inorridito rispetto a quelli che considera aspetti degenerati della democrazia, rimpiangendo il sistema socialista. E il film snocciola, qua e là, anche qualche elemento didattico come la statistica sulla piaga dello stupro in Bulgaria, dove il 91% dei casi è a opera di partner o famigliari della vittima.

Come il gatto randagio del film precedente, così anche Women Do Cry è pieno di animali in chiave allegorica. La cicogna è ricorrente nel film anche in dialoghi e in un poster, oltre nelle apertura e chiusura del film. Si tratta di tradizionale simbolo della natalità, in un’opera dove si rivendica il diritto alla genitorialità. Si parla anche di aquile, c’è una cagnetta che forse veniva picchiata dai suoi vecchi proprietari, e ancora una volta sono onnipresenti i gatti. Come quello delle protagoniste, che guarda, anche frapponendosi in ruolo di pecetta censoria, le due ragazze mentre fanno l’amore, simbolo di tenerezza e sensualità. Centrale nel film è l’odissea di Sonja che si troverà sieropositiva andando incontro allo scherno e all’ostracismo anche del personale sanitario, come quello del ginecologo che si rifiuta di visitarla. Mentre la sorella Lora, che nonostante donna svolge un lavoro di responsabilità tradizionalmente considerato appannaggio dei maschi, dirige un cantiere, si concede senza problemi al suo capo salvo ritrarsi perché lui non ha il preservativo. Tra le altre storie, a declinare una diversa problematica femminile, c’è quella di Veronica, alle prese con un trauma post-parto, sospesa tra tensioni infanticide e suicide.

Dedicato alle madri, vittime di una società ancora più misogina, come la mamma che veniva picchiata, Women Do Cry è un pamphlet arcobaleno e femminista, una provocazione e rivendicazione in un contesto sociale dove avvengono manifestazioni contro quei valori LGBTQ che si crede siano imposti come interferenza dall’Europa. Un film anarchico che si disperde in una forza centrifuga narrativa. Con tante digressioni, come tutto quel momento della processione rituale nel bosco di guarigione e fecondità. Ma in fondo si tratta della stessa anarchia della famiglia allargata delle protagoniste, della stessa insofferenza per le regole precostituite anche in chiave narrativa.

Info
Women Do Cry sul sito del Trieste Film Festival.

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