Il barbiere complottista

Il barbiere complottista

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Il barbiere complottista è il saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia per Valerio Ferrara, che solo pochi mesi fa aveva portato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia il corto Notte romana; una commedia sarcastica, che prende spunto dalla paranoia complottista dilagante per cercare anche di raccontare la dipendenza dalla “rete sociale”. Presentato a Cannes 2022 tra i corti della Cinéfondation.

Ipotesi di complotto

La parabola di un uomo che per ricevere le attenzioni e l’affetto dei propri cari, finisce per contagiare con il morbo del complottismo un intero quartiere. [sinossi]

In Notte romana, presentato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia 2021, Valerio Ferrara prendeva l’aire da un archetipo narrativo (nello specifico l’amore impossibile) per cercare di tracciare traiettorie inedite, o almeno non legate in maniera pedissequa al “già filmato”. Neanche dodici mesi dopo il suo saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Il barbiere complottista, viene selezionato dalla Cinéfondation a Cannes, a suggellare il percorso accademico del giovane regista, in attesa che ci sia per lui l’occasione di confrontarsi con il lungometraggio. Qui lo spunto più che strutturale pare maggiormente legato alle suggestioni date dalla contingenza storica. Il film inizia infatti nel buio di un appartamento, dove la steadycam si muove in modo sinuoso attraverso le stanze: c’è la carta da parati, i mobili d’epoca, i quadri alle pareti, una donna addormentata sul divano illuminata dalla luce bluastra del televisore rimasto acceso. La videocamera non si ferma, e prosegue in modo sempre più circospetto fino a raggiungere uno studiolo: qui un uomo è impegnato a guardare al computer un bizzarro video incentrato sullo sfarfallio dei lampioni. Terminata la visione l’uomo registra un proprio video, rivolgendosi a un pubblico virtuale: “Eccoci a un altro appuntamento con laveritachenoncidicono.it. Oggi vi voglio parlare dei lampioni. Avete fatto caso che le nostre città sono sempre più buie? Lampioni spenti, e quelli accesi lampeggiano. C’è in ballo qualcosa di grosso, e ci vogliono tenere all’oscuro. C’entra forse il 5G, i cinesi? Per le risposte andate sul mio blog”. Dopo aver dunque narrato l’amore da tenere nascosto perché “sconveniente”, sotto il profilo sociale, e dunque pubblico, Ferrara torna a parlare del rapporto conflittuale del singolo con la realtà che lo circonda, ma prende ispirazione dal fenomeno sempre più dilagante degli amanti del complotto, di coloro che dietro ogni singolo dettaglio vedono disegni più grandi. Il suo Antonio, che come lavoro fa il barbiere in un quartiere periferico di Roma, non è però paragonabile al Jerry Fletcher impersonato da Mel Gibson in Ipotesi di complotto di Richard Donner, e non solo per una mera questione di budget e di ricorso all’azione: se il tassista newyorchese è visto da tutti come un reietto, un pazzoide a pochissimi passi dalla schizofrenia (e infatti passerà anche qualche ora in un istituto psichiatrico) che nasconde nelle proprie patologie la stilla della verità, Antonio è “solo” un gran rompiscatole, che ammorba quotidianamente amici e parenti con le sue ossessioni, e che si abbarbicano a una logica pressoché inesistente.

Non ha dubbi, Ferrara, nel vedere nel complottismo un male contemporaneo, rinvigorito dall’apparente oggettività di una vita virtuale, che non ha più quasi alcun appiglio nella concretezza della realtà ma trova la propria gratificazione solo la notte, nella solitudine di una stanza illuminata da un computer. In questo senso Il barbiere complottista appare quasi come un’operetta morale, racconto breve che attraverso l’arma del sarcasmo – il cortometraggio è in tutto e per tutto una commedia, vivificata dalla bella interpretazione di Lucio Patanè, visto di recente in Marilyn ha gli occhi neri di Simone Godano ma che ha stretto un rapporto artistico soprattutto con Susanna Nicchiarelli, recitando per lei in Cosmonauta, Nico, 1988, e Miss Marx vuole stigmatizzare un’Italia sempre più allo sfascio, così spersa nella propria quotidianità di aver bisogno di un disegno più grande da attaccare, da incolpare di ogni male. Ferrara, che in Notte romana si era mosso nella costruzione di una narrazione hic et nunc (location unica, tempo “reale” rispettato), tenta qui un’operazione più complessa: il film breve si articola in varie location – l’appartamento dove Antonio vive con la moglie e il figlioletto, la barberia, il commissariato –, e ha un respiro temporale più ampio. La gestione degli spazi assume dunque un valore ben diverso, e il ventiseienne cineasta romano dimostra di saper attribuire loro senso: all’appartamento è tentacolare, luogo in cui si contorce l’oggettivo a proprio piacimento, corrisponde un commissariato nudo e crudo, piano, strutturalmente semplice perché privo di qualcosa da nascondere. Ma se Il barbiere complottista si limitasse a schernire il “popolo del web” che crede all’origine aliena delle piramidi, al terrapiattismo, all’allunaggio diretto da Stanley Kubrick, e all’inesistenza del Molise, in fin dei conti si tratterebbe di una boutade magari divertente ma fine a se stessa.

Invece Ferrara, pur senza dirazzare da una commedia gentilmente ammantata di sarcasmo, alza il tiro, e descrive non tanto le assurde convinzioni di una mente complottista, ma la maniera in cui tali convinzioni riescono a contagiare il “buon vicinato”. In fin dei conti non è Antonio il vero epicentro della narrazione, perché la parabola che lo vede protagonista lo condurrebbe a più miti consigli (come testimonia la sua incapacità di argomentare di fronte alla brutale logica spicciola del commissario quando Antonio gli espone la sua teoria bislacca sui sette sfarfallii consecutivi dei lampioni durante la notte: “E grazie ar cazzo, er Comune ‘n c’ha ‘na lira, e stacca ‘a corente”), ma il mondo con cui lui entra in contatto, e che dominato dall’illusione della gestione virtuale della propria vita si trova altrettanto sperduto. Ecco dunque che torna ne Il barbiere complottista l’ottica che filtrava in Notte romana: in quel caso ricorrendo alla memoria virtuale dei social network si poteva ricostruire un amore “proibito”, un tradimento di classe; qui invece quella virtualità serve a conferire statura intellettuale a una classe che non ha altro, né ha accesso ad altro. I suoi compagni di cella, i parenti, possono aggrapparsi alla medesima illusione di Antonio per fingere di contare qualcosa, e a dirla tutta fingere di esistere. L’amarezza su cui si chiude anche questo nuovo cortometraggio di Ferrara fa intuire la volontà di un racconto dell’Italia che non sia di prammatica, e non si accontenti necessariamente della logica produttiva nazionale. Se ciò vorrà dire davvero qualcosa nella carriera di questo regista lo si potrà scoprire solo col tempo.

Info
Il barbiere complottista, il sito della Cinéfondation.

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