Alizava

Presentato in concorso alla 58a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Alizava è il mediometraggio d’esordio del filmmaker lituano Andrius Zemaitis. Tutto gravita attorno alla bambina orfana che dà il titolo al film, alle sue esplorazioni nel territorio dove vive, un paesaggio spoglio e desolato, devastato dalle attività estrattive, alle sue esperienze sulla vita e sulla morte.

Natura morta nel fango

Alizava è una sorta di Pippi Calzelunghe in biondo, che attraversa paesaggi spettrali, vecchie case disabitate, miniere di argilla a cielo aperto. Un’orfana, l’anima del cui padre abita varie cose. In un edificio abbandonato comincia un rito infantile che ha il potere di cancellare la linea di demarcazione fra vivi e morti. Il dialogo muto fra la bambina e il padre evoca altri personaggi. Chi sono? [sinossi]

Tra Pippi Calzelunghe, con un’analoga, lunga, coda di cavallo, e Ana, la ragazzina de Lo spirito dell’alveare, si colloca il personaggio della bambina attorno cui ruota il mediometraggio Alizava, opera prima del filmmaker lituano Andrius Zemaitis, in concorso alla 58a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Alizava ha sette anni, è orfana, abita in un territorio estremo, nella regione lituana Akmenė. Nell’incipit del film si vede il passaggio tra le mani di vari personaggi, non inquadrati in volto, di un mucchietto di terra, che si riduce a ogni trasferimento fino a che rimane molto poco quello che arriva all’ultimo soggetto. La memoria di una comunità si va perdendo, di generazione in generazione. In un territorio che si fa sempre più disabitato non rimane che evocare i fantasmi degli abitanti che lo popolarono. Non vediamo altre persone in quel villaggio, se non Alizava e il nonno. La ragazza rimane solitaria in quella sua casa che diventa un suo piccolo Wunderkammer e, quando entra a scuola, la mdp rimane fuori: ignoriamo se ci siano o meno, e quanti, compagni. Nella scena successiva, nel prologo, il nonno pettina la nipote. Sono nella cabina di un grande macchinario per attività estrattive, guidato dall’anziano uomo. La cabina ruota a 360°, la mdp interna mostra i due personaggi fermi come in un interno domestico mentre il paesaggio circostante scorre vorticosamente. Enunciazione del contrasto su cui si gioca tutto il film, tra fissità e movimento, natura morta ed energia cinetica, morte e vita, caos e ordine.

Alizava gioca e scopre il mondo. Un mondo dove l’attività escavatrice ha cancellato la vegetazione creando un paesaggio uniforme di terra e fango, dove però qua e là stanno spuntando timidi nuovi germogli. La natura cerca di riprendere il sopravvento. Un mondo di meccanismi artificiali, gli ingranaggi interni del macchinario, dove Alizava e il nonno si mettono dei buffi cappelli metallici conici, le lancette che presiedono il tutto, dell’orologio della scuola, dei quadranti dei misuratori meccanici.

Accanto a questo c’è la casa di Alizava, il suo polveroso museo naturalistico, le sue raccolte entomologiche, i suoi erbari, la sue collezione di placche di fango essiccate come mattoncini tipici di quel paesaggio. E quello scaffale dove si immagazzinano dati nelle scanalature, come quelli con le schede dei libri delle biblioteche. Alle pareti pomposi ritratti degli antenati. Una composizione dell’immagine, una natura morta, restituita nel formato pure vintage del 16mm. Una casa museo e palcoscenico dove la bambina si esibisce davanti a una platea di sedie vuote. Sedie che cambiano posizione, diventano scenografia come in Café Müller di Pina Bausch. Il movimento degli oggetti sarà incontrollabile, tutto si troverà sottosopra, armadi, sedie, le scarpe, prima pulite, inzuppate nel fango. Solo con una ripresa delle panoramiche a 360 gradi dell’inizio, nel finale sempre più vorticose e vertiginose in un moto perpetuo, sarà possibile ritrovare, ora anche nei volti, le anime e i fantasmi che hanno vissuto in quel luogo.

Info
Alizava sul sito di Pesaro.

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