Il maestro giardiniere

Il maestro giardiniere

di

Nuova rielaborazione, targata Paul Schrader, sui temi della colpa, espiazione e redenzione, Il maestro giardiniere mescola dramma, poliziesco, noir e western in un crescendo sentimentale denso di accorata speranza in una nuova rifondazione americana. Fuori concorso a Venezia 79.

Il giardino selvaggio

Narvel Roth è il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens, una bellissima tenuta di proprietà della ricca vedova, la signora Haverhill. Quando ordina a Roth di assumere la tormentata pronipote Maya come sua apprendista, la sua vita viene gettata nel caos ed emergono oscuri segreti dal suo passato. [sinossi]

Uno dei piaceri più comuni nella fruizione del cinema, e dell’audiovisivo in generale (pensiamo alla serialità), è la riconoscibilità di un canovaccio noto, di uno schema narrativo, che lo spettatore ama ritrovare, sempre rinnovato, in ogni sua nuova visione. Questo tipo di appagamento si può facilmente rinvenire nel cinema di Paul Schrader, appassionato cinefilo, abile sceneggiatore, arguto autore di un cinema che non dimentica mai di omaggiare i propri maestri (Bergman, Bresson, Ford, Dreyer) e di offrire una sempre nuova declinazione dei temi che più gli stanno a cuore: colpa, espiazione, redenzione. In questa triade essenziale, Schrader identifica il motore di ogni sua sceneggiatura e della narrazione tout court: non principia nessuna storia senza una colpa del passato, non si sviluppa alcun racconto senza il desiderio di espiare e non c’è scopo altro che la redenzione.

Presentato fuori concorso a Venezia 79, dove l’autore ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera, Master Gardner (Il maestro giardiniere) rappresenta il terzo capitolo di un’ideale trilogia incentrata su personaggi virili solitari, tormentati e “in cerca” – searchers fordiani – che comprende i precedenti First Reformed e Il collezionista di carte. Ma se il protagonista del primo film bramava un suo calvario personale, il giocatore andava incontro a una redenzione nel sangue, il protagonista di Il maestro giardiniere desidera invece una vera e propria, terrena, rigenerazione.

Narvel Roth (Joel Edgerton) è il “maestro giardiniere” dei Gracewood Gardens, di proprietà della ricca possidente Signora Haverhill (Sigourney Weaver), che come ogni anno intende far partecipare il suo giardino a un prestigioso concorso. Sentendosi vicina al trapasso, la donna vuole riappacificarsi con la pronipote Maya (Quintessa Swindell), ragazza ventenne per metà afroamericana, rimasta sola dopo la morte della madre. La giovane viene dunque assunta come apprendista e affidata alle cure e agli insegnamenti di Narvel che, oltre ad occuparsi del giardino, offre saltuariamente le sue prestazioni sessuali a Lady Haverhill. Tra maestro e discepola sboccia però l’amore, e si genera così una pericolosa triangolazione di giochi di potere, che vede nel vertice decisionale l’algida proprietaria terriera. Ma a far tribolare davvero i due amanti sono le loro colpe pregresse. Lei deve liberarsi di un ex fidanzato spacciatore, e il suo corpo deve rigenerarsi dalla tossicodipendenza. Lui, invece, ha un passato di militanza in un gruppo di neonazisti, passato che porta ben inciso sulla pelle, sotto forma di indelebili tatuaggi, cicatrici perenni che non si rimarginano.

Accompagnato, come il precedente Il collezionista di carte, dalla voice over del protagonista, che ci riporta le parole vergate nel suo diario personale, Il maestro giardiniere innesta il suo racconto di sagaci e brillanti metafore legate al tema dell’orticultura. A partire dall’iniziale illustrazione delle tre tipologie di giardino: c’è quello che chiamiamo all’italiana, che impone alla natura le regole umane della geometria, poi quello che vuole apparire spontaneo, ma dove in realtà tutto è regolamentato, e infine c’è il “giardino selvaggio” dove in ogni caso è un’utopia pensare che non vi sia intervento umano. Inoltre, Narvel, come anche il protagonista di Il collezionista di carte è ossessionato dal controllo e pensa che organizzare e coltivare il giardino significhi credere nel futuro, e che le cose accadranno secondo le regole. Ma se ci si può illudere di dettare un indirizzo alla natura (certo, Werner Herzog non sarebbe d’accordo, ma siamo qui in tutt’altra poetica autoriale), ben altra questione è governare le intenzioni e le azioni degli esseri umani, le cui ragioni profonde possono essere talvolta imperscrutabili. Non ci sono rastrelli, pale o setacci che tengano, quando si tratta di estirpare “la malerba” da una persona. O forse sì, basta prendere in mano la situazione e innescare un cambiamento. E il cambiamento si innesca qui, come nei migliori noir e western del cinema classico, con un colpo di pistola. È da lì che prendono inizialmente vita i flash sul passato di Nervel, ed è sempre da lì che ha inizio poi il suo salvataggio di Maya, nuova reincarnazione di quei personaggi femminili tanto amati da Schrader in quanto discendenti dalla Debbie di Sentieri selvaggi (John Ford, 1956), pensiamo alla giovane prostituta interpretata da Jodie Foster in Taxi Driver di Martin Scorsese (di cui Schrader ha firmato lo script) o alla figlia perduta nel sottomondo degli snuff movies da George C. Scott in Hardcore (1979).

Proprio come avviene per i protagonisti dei tre film su citati – e come rivela esplicitamente la seconda parte di Master Gardener, quasi tutta on the road – quello di Nervel è un viaggio, salvifico, certo, ma anche prevalentemente orizzontale, come ben sottolineano le scelte stilistiche di Schrader, maestro di regia e non solo di scrittura. Prediligendo movimenti di macchina di avvicinamento e allontanamento ai luoghi e ai personaggi, l’autore rinuncia infatti alla verticalità (non a caso non vediamo mai il “disegno” complessivo del giardino) che trovavamo, coerentemente, in First Reformed, perché qui l’obiettivo non è la trascendenza, questa è una storia terrena, come ben dimostra la scena in cui il protagonista annusa il terriccio da coltura, provando per esso una sorta di venerazione olfattiva.

No, non è Dio che cerca Nervel, ma una redenzione molto terragna, attraverso l’amore reciproco, una rigenerazione fisica dunque: di Maya, prevalentemente, che deve disintossicarsi, ma anche del giardino violato e, in senso lato, dell’America stessa e delle sue origini, tutte da riscrivere. Rude e sentimentale, proprio come il suo protagonista, ma anche denso di speranza, Il maestro giardiniere è dunque una fulgida, commuovente parabola di rifondazione, un western dunque, dove i due amanti protagonisti incarnano i pionieri di un nuovo mondo/giardino da far rifiorire, i semi di un rinnovato Eden americano: interraziale, popolare e non wasp, rigenerato e selvaggio.

Info:
La scheda de Il maestro giardiniere sul sito della Biennale.

  • Master-Gardener-2022-Paul-Schrader-001.jpg

Articoli correlati

Array
  • Venezia 2022

    Venezia 2022 – Minuto per minuto

    Venezia 2022 riapre le sale al 100% della capienza, ma dopo due anni di pandemia deve fare i conti con una guerra a poco più di mille chilometri di distanza, tutto questo mentre l'Italia è nel pieno della campagna elettorale. Riuscirà il cinema a catalizzare l'attenzione anche di chi non è addetto ai lavori? Lo scopriremo presto...
  • Festival

    Venezia 2022 – Presentazione

    È stato presentato il programma di Venezia 2022, settantanovesima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica che si svolge nell'anno in cui si festeggia anche il novantennale della prima edizione: Alberto Barbera conferma e forse in parte perfino radicalizza la sua linea editoriale.
  • Venezia 2021

    Il collezionista di carte

    di Filosofico, complesso e disturbante, Il collezionista di carte di Paul Schrader esorcizza un trauma personale e collettivo attraverso un percorso di redenzione che non può evitare la violenza. In concorso a Venezia 78.
  • Bologna 2018

    Mishima - Una vita in quattro capitoli RecensioneMishima – Una vita in quattro capitoli

    di Presentato al Cinema ritrovato, Mishima - Una vita in quattro capitoli, il biopic di Paul Schrader sullo scrittore giapponese Yukio Mishima.
  • Rotterdam 2018

    Intervista a Paul Schrader

    Paul Schrader è uno degli autori cardine della New Hollywood, cui si devono alcune tra le opere fondamentali della storia del cinema americano, tanto in qualità di sceneggiatore, che di regista. Abbiamo incontrato Schrader a Rotterdam.
  • Venezia 2017

    First Reformed

    di Armato di uno script magistrale, che largo spazio offre alla parola, Paul Schrader con First Reformed porta in competizione a Venezia 2017 un apologo etico-ascetico sulla fede, la superbia, la grazia.
  • Archivio

    Cane mangia cane

    di Paul Schrader confeziona un divertissement frenetico, un po' "gory" e ricco di humour nero, ma tra esplosioni scorsesiane e vaniloqui tarantiniani, la sua poetica appare un po' appannata. Alla Quinzaine 2016.