The Eternal Daughter

The Eternal Daughter

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The Eternal Daughter è il nuovo film di Joanna Hogg, e in qualche misura sembra collegarsi al dittico The Souvenir: qui l’alter ego della regista si confronta con una ghost-story in pieno stile gotico, per quanto soffusa fino all’inverosimile e per questo in fin dei conti quasi completamente evanescente. Sembra quasi che a interessare Hogg sia soprattutto il doppio ruolo affidato a Tilda Swinton, e qualche suggestione ambientale. In concorso alla Mostra di Venezia.

Questi fantasmi

Tornate nell’antica dimora di famiglia, trasformata in un hotel ma carica di un misterioso passato, un’artista e la madre anziana affrontano segreti rimasti a lungo sepolti. [sinossi]

Joanna Hogg approda per la prima volta in concorso alla Mostra di Venezia con The Eternal Daughter, il suo sesto lungometraggio per il cinema in quindici anni di attività, e gli appassionati cultori dell’opera della sessantaduenne cineasta britannica non potranno che ritrovarsi immediatamente immersi in un universo a sé stante di cui hanno perfetta conoscenza. In qualche misura si potrebbe perfino arrivare a suggerire come The Eternal Daughter formi una sorta di braccio estendibile, di deviazione sul percorso, rispetto al dittico cui Hogg si è dedicata negli ultimi anni, vale a dire The Souvenir e The Souvenir: Part II. Anche qui i nomi delle due protagoniste, madre e figlia, sono Rosalind e Julie, e quest’ultima è una regista: dunque è come se Hogg stesse tracciando un percorso narrativo unitario, pratica decisamente diffusa di questi tempi – anche se solitamente appannaggio di altre tipologie cinematografiche, e produttive –, e lo stesso facendo partendo dalle proprie memorie personali. “Nel 2008 decisi di scrivere la sceneggiatura di un film che potesse cogliere, almeno in parte, il legame che ho con la mia anziana madre”, scrive la regista nelle note pubblicate dalla Biennale nel catalogo, aggiungendo poi: “Cresciuta durante la Seconda guerra mondiale, lei appartiene a una generazione di donne che teneva nascosti i sentimenti, aveva sperimentato la perdita senza sapere come trasformare il dolore, e a volte viveva tra rimpianti e sensi di colpa”. Ecco dunque il motivo portante: superare il senso di colpa, o forse attraversarlo allo stesso modo con cui un fantasma potrebbe attraversare una porta, o una finestra. Vista l’età della protagonista, che è nella finzione coetanea di Hogg, Tilda Swinton – già presente in The Souvenir – deve qui sdoppiarsi, e interpretare entrambi i ruoli, figlia (eterna) e madre.

Bastano le prime inquadrature per rendersi conto di quali siano le suggestioni cinematografiche che The Eternal Daughter dovrebbe portare agli occhi degli spettatori: la nebbia domina la scena prima che i fari di una macchina la contrastino attraversando un viottolo di campagna che porta a una magione austera, vittoriana. L’ambiente perfetto per una storia di fantasmi, ed è proprio in antologie di racconti dell’orrore che Julie cerca ispirazione per il film che dovrà iniziare a scrivere prima o poi, e che vorrebbe avesse al centro del discorso le memorie della madre, che in quel luogo – ora adibito ad albergo – crebbe in gioventù. Le memorie dopotutto non sono esse stesse ectoplasmi, filamenti di un passato che non c’è più, ma che può essere rievocato dai luoghi, dalle sensazioni, dalle situazioni? Si muove attorno a questo concetto, Joanna Hogg, e non c’è dubbio che la sua regia sappia cogliere alcuni incanti del naturale, a partire da quel giardino all’inglese così curato, con la siepe tagliata in modo certosino e geometrico. La dialettica del film si sviluppa quasi esclusivamente tra Julie e l’anziana madre Rosalind, ed è uno dei punti critici della narrazione: nell’evidenza di voler “giocare” con il gotico e con la storia di fantasmi Hogg tratta il campo controcampo tra le due donne – per di più come già accennato interpretate dalla stessa attrice – in modo troppo scoperto ed evidente, al punto che quando il film deve arrivare a una svolta, all’acme del suo percorso, lo spettatore non prova alcun tipo di sorpresa, avendo già anticipato il colpo di scena fin dall’incipit, e non riesce dunque ad aderire con la forza richiesta al dolore che dovrebbe emanare la sequenza.

Tra sveglie notturne, finestre che sbattono, porte cigolanti, nebbia, un custode che rimembra la moglie scomparsa due anni prima, un’inquietante – e indisponente – receptionist, e un cane che uggiola guardando il vuoto, Hogg sfodera l’intero armamentario del genere, pur non avendo evidentemente alcuna voglia di aderirvi in modo compiuto (non c’è dunque da aspettarsi un The Others, tanto per restare in tema gotico e portare l’esempio di un film che venne presentato – però fuori concorso – al Lido), al punto che perfino quel fantasma che fa capolino in maniera occasionale da una delle vetrate che danno sul giardino resta un mistero inesplicabile, e non indagato. Non si indaga però fino a fondo nemmeno il rapporto tra madre e figlia, e dunque quel “senso di colpa” cui fa cenno proprio la cineasta. Tutto, come fosse anche il film stesso un ectoplasma, resta sospeso, fantasmatico, immateriale, fino a divenire evanescente e forse persino impalpabile.

Info
The Eternal Daughter sul sito della Biennale.

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