Past Lives

Past Lives

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Ammantato di autobiografismo, l’esordio di Celine Song alla regia usa i canoni del cinema romantico per raccontare uno spaesamento, la perdita di codici e canoni culturali propri al fine di riuscire a vivere “nel mondo”. Presentato nella sezione Best of 2023 della Festa del Cinema di Roma dopo l’anteprima mondiale al Sundance lo scorso gennaio e un passaggio anche alla Berlinale in febbraio, Past Lives sarà in sala in Italia, e non potrebbe essere diversamente, dal 14 febbraio 2024.

Oriente e Occidente

Na Young e Hae Sung sono compagni di classe di dodici anni a Seul, Corea del Sud. I due ragazzini si piacciono parecchio, ma la famiglia di Na Young emigra a Toronto, dove cambia il suo nome in Nora Moon, e i due perdono i contatti. [sinossi]

Dopo aver mietuto consensi nel continente americano (dove, dopo il passaggio in anteprima al Sundance di Park City, è uscito in sala lo scorso giugno) Past Lives di Celine Song arriva anche nella nostra penisola, prima nella sezione Best of 2023 della Festa del Cinema di Roma e, dal prossimo giorno di San Valentino, anche al cinema. Un film che può agilmente essere definito come una via A24/Sundance al cinema romantico, assommando al grande amore al centro della scena un contesto socioculturale specifico e preziosismi stilistici (la regista ha girato in pellicola): se questo rappresenti un’aggiunta o una sottrazione al genere, è da stabilire secondo gusti e idiosincrasie. Secondo noi, il topos più contemporaneo di tutti nel contesto produttivo statunitense, ovvero il rapporto e l’interazione con l’Oriente e il suo florido mercato da “aggredire” in un contesto (fino a quando?) globalizzato, giocoforza deve trovare sempre attraverso la linfa del genere nuovi recinti in cui rinchiudersi/da cui evadere, contesti in cui entrambi i pubblici possano ritrovarsi. Per quanto riguarda il sottofilone del film romantico, poi, particolarmente in crisi d’idee e volti a meno che non si passi dal gigantismo delle megaproduzioni, l’idea di mettere un continente e un oceano a separare le due metà della coppia sostituisce naturalmente la differenza di classi sociali ed economiche che appare sempre, ed esclusione dei film “in costume” naturalmente, meno adatta a raccontare l’oggi (il cinema medio italiano ci crede ancora però, si veda il dittico Come un gatto in tangenziale/Ritorno a Coccia di Morto, e forse per una volta a ragione).

Nella prima sequenza si vedono, sedute al bancone di un bar, tre persone: un uomo e una donna dai tratti somatici orientali parlano tra loro, un terzo ascolta, leggermente in disparte ma di sicuro venuto lì insieme agli altri due. Due voci fuori campo commentano la scena e danno forma agli stessi interrogativi che vengono in mente allo spettatore, chiedendosi quali siano i rapporti tra i tre e azzardando ipotesi. Torneremo in quel bar alla fine, dopo aver viaggiato attraverso due altre epoche, a dodici anni di distanza l’una dall’altra, e i rapporti tra i tre a quel punto saranno chiari, mentre la risoluzione degli stessi molto meno. Na Young e Hae Sung erano grandi amici a Seul all’inizio del nuovo secolo, ma i genitori cosmopoliti di lei la obbligano al trasferimento in Canada, all’acquisizione di un nuovo nome occidentale (Nora Moon) e alla perdita totale dei contatti con Hae Sung. Dodici anni dopo, grazie all’arrivo di Facebook e Skype, i due ricominciano a parlarsi e a connettere New York (dove lei si è nel frattempo trasferita) e Seul, dodici anni dopo ancora il legame tra i due dovrà essere risolto in qualche modo, e visto lo schema a svelamento che si è già potuto intuire da questi piccoli cenni non si anticipa naturalmente nulla al riguardo. Oltre allo schema, sono già intuibili tutte le tematiche messe in campo; l’autrice Celine Song viene da un percorso similare, si è trasferita in Canada in età scolare lasciando la natìa Corea e il suo primo nome, e attraverso la sua prima regia compone una sorta di lettera d’amore per il suo Paese d’origine, al quale è stata sottratta al di là della sua volontà e di cui conserva un ricordo denso di malinconia e rimpianto (tutto questo senza mai rinnegare, è bene specificarlo, attraverso la sua protagonista la scelta compiuta dai genitori di espatriare). Attraverso un occhio ormai irrimediabilmente “occidentalizzato”, Song riconosce gli enormi progressi compiuti dalla Corea del Sud e si domanda, senza avere una risposta, se oggi i due intellettuali che l’hanno generata sceglierebbero ancora di andare via. Sullo sfondo, la “normalizzazione” e il sostanziale accantonamento dal dibattito pubblico del conflitto ancora in essere con la parte di territorio a Nord del 38mo parallelo.

Nume tutelare (i protagonisti lo guardano due volte nel corso del minutaggio) è il film romantico per eccellenza degli anni Zero, quel Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry di cui si riporta qui il titolo italiano senza più entrare nella ormai annosa questione della traduzione infedele che ha oramai un po’ tediato. Fili della memoria che si riconnettono, esperienze ormai dimenticate che tornano alla luce, disperato bisogno di ricordare: se il regista francese traduceva tutto questo nel suo stile fanta-démodé, Song (insieme al direttore della fotografia Shabier Kirchner, antiguo-barbudiano) separa nella messa in scena rigidamente i due mondi per poi riconnetterli e avvicinarli sempre di più, sottolineandone le differenze ma inseguendo uno status da “cittadini del mondo” che i recenti fatti bellici sembrano allontanare bruscamente. L’In Yun, la provvidenza o il destino nella traduzione per la nostra cultura, in realtà gli ottomila strati nelle vite precedenti che portano a unire in matrimonio due anime secondo la cultura coreana, dona quel senso di transitorietà che contribuisce alla riuscita della pellicola. Quello che accade sotto i nostri occhi, magari, è solo uno dei tanti strati, non il definitivo, in una declinazione del multiverso più spirituale che quantistica. Tanto di già visto, si pensi a un film diverso ma allo stesso tempo molto simile come The Farewell di Lulu Wang, ma con una declinazione e una “nota” specifici che vanno al di là della lacca visiva in cui spesso rimangono confinati i progetti provenienti dal festival fondato da Robert Redford. Che sia questo un esempio per la nuova via più “commerciale” annunciata dalla casa di produzione A24? Onestamente, non ce lo si augura.

Info
Past Lives, il trailer.

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