Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di morto

Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di morto

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Riuscito mix tra satira di costume e politica, Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di morto di Riccardo Milani conferma l’affiatamento comico tra i suoi protagonisti, gli ottimi Paola Cortellesi e Antonio Albanese, mentre riesce a far emergere tra le righe un discorso sulla politica culturale contemporanea e dunque sul nostro cinema. In sala dal 24 e in anteprima il 14 e 15 agosto.

Nostalgia di Bastogi

Tre anni dopo. Mentre Alessio e Agnese si rincontrano in un pub di Londra, a Roma Monica finisce in carcere per colpa dello “shopping compulsivo” delle gemelle. Non le resta che chiedere aiuto a Giovanni, che ora è fidanzato con una manager rampante e sta per inaugurare un polo museale in periferia. Per far uscire Monica di prigione, Giovanni riesce a far commutare la detenzione con un lavoro nella parrocchia adiacente al futuro museo. È così che le vite di Monica e Giovanni si intrecciano nuovamente, tra contrattempi, guai e un ritorno di fiamma. Anzi due. [sinossi]

Non è certo facile, in questo anno e mezzo di pandemia, valutare la salute della commedia cinematografica nostrana. Certo, in questo lasso di tempo, anzi, in questa sospensione del tempo, si è riso per i meme satirici e per dei brevi sketch pensati per il web, poi il nuovo film di Verdone, Si vive una volta sola, dopo oltre un anno di attesa sullo scaffale, è stato distribuito direttamente su piattaforma. Pertanto, viene da pensare che l’avvento nelle sale di Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di morto, sequel del fortunato Come un gatto in tangenziale e con alla regia sempre Riccardo Milani, forse indicherà la strada e magari anche il destino del “genere per eccellenza” del nostro cinema. Forse. Intanto, oltre a garantire un intrattenimento spassoso e brillante, il film si innesta assai bene nel solco della tradizione.

Con i suoi conflitti tra Milano e Roma, borghesia paternalista e proletariato verace e manesco, ma con in più il versante romance di una doppia storia d’amore – non che la coppia Boldi / De Sica fosse esente da venature di omoerotismo – la saga di Come un gatto in tangenziale si presenta, sin dal primo capitolo, come epigona dell’ormai defunto cinepanettone e dunque, sebbene non abbia cadenza annuale, permetterà in prospettiva ai posteri di “studiare” la società in cui viviamo e, come è giusto che sia, di ridere di noi.

Rispetto al precedente capitolo, Ritorno a Coccia di Morto mette tra parentesi i due giovani cupidi adolescenti Alessio e Agnese, relegandoli nel fuori campo di una Londra dove lei è impegnata a studiare, lui a fare il cameriere in un pub. La scintilla tra i due è destinata a riaccendersi, ma le sequenze a loro dedicate restano brevi e il ruolo della coppia, rispetto al precente film, è soltanto quello di deus ex machina (si veda il finale del film). Quanto ai rispettivi genitori, star assolute di questo sequel, Monica (Paola Cortellesi) finisce in carcere per via dello “shopping compulsivo” (alias taccheggio) delle gemelle, mentre Giovanni (Antonio Albanese), ora fidanzato con una procacciatrice di sponsor incarnata da Sarah Felbembaum, è sul punto di inaugurare un museo nell’estrema periferia romana, al suono di altisonanti parole chiave quali “digitale, inclusione, impattozero”. In vista del ritorno a Roma del figlio, Monica non vuole certo farsi trovare al gabbio, per cui non le resta che chiedere aiuto a Giovanni e cercare di farsi commutare la pena in servizi socialmente utili. Viene assegnata a una parrocchia adiacente al futuro museo, dove un prete bello incarnato da Luca Argentero, si occupa di parrocchiani di ogni età, tra pranzi proletari, sostegno alle famiglie delle case occupate, partite di calcetto all’oratorio. C’è solo un problema per Monica: ha paura delle suore.

Totti e Renato Zero, Shining e Il settimo sigillo, color palette e luccicanza delle paillettes, preti belli e impossibili più comunisti dei politici di sinistra, suore che portano sfortuna e inibiscono il piacere, i barbecue a Coccia di Morto e il risotto allo zafferano. Mescolando satira di costume a sferzanti parodie del malcostume paternalista di una politica locale impegnata soprattutto ad autopromuoversi (il museo vs la parrocchia) Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di morto inanella gag e situazioni dalla notevole carica comica e dallo humour sferzante. La vena è aurifera e potenzialmente inesauribile, ma a quello che può apparire come un meccanico sfruttamento dei suoi cliché, fa da contrappunto la realtà tangibile di un affiatamento attoriale tra la Cortellesi e Albanese che detta il ritmo delle risate e rivigorisce la nostra fiducia nella percorribilità di una via intelligente e pop per la commedia nostrana.

Tornano, naturalmente, in questo sequel, anche i vari personaggi di contorno già noti, a partire dall’ex marito di Monica, Sergio (un Claudio Amendola tatuato e con le meches), protagonista qui di un “teso” scambio di prigionieri sul “Ponte fracico”. Sonia Bergamasco incarna nuovamente Luce, la profumiera in eleganti tuniche di lino, affascinata dallo spirito verace della periferia (e dalle grazie di Don Davide), stavolta protagonista anche di un futile ruzzolone da slapstick comedy. Ma soprattutto tornano le gemelle Pamela e Sue Ellen (Alessandra e Valentina Giudicessa) svampite quanto basta, ma anche sagacemente pragmatiche, tanto che, in assenza di Monica, subaffittano parte dell’appartamento a dei ragazzi indiani. Quanto alla new entry Don Davide (Luca Argentero), se il personaggio non appare particolarmente originale è anche perché si fa incarnazione della filosofia del papato di Bergoglio, e in tal senso funziona assai bene la citazione del noto episodio in cui l’elemosiniere del Papa – il cardinale Krajewski – riattaccò l’energia elettrica a un caseggiato di famiglie occupanti. Di fronte a un tale gesto, qui replicato da Don Davide, Monica non può non sentenziare al cospetto di Giovanni: “è più comunista di te”.

Ma è proprio quello di Giovanni il personaggio che è più cambiato ed evidentemente nel precedente capitolo ha compiuto tutto un percorso personale che ora gli fa provare una nostalgia della periferia del quartiere Bastogi e un insieme di paura e desiderio al pensiero di far ritorno a Coccia di morto. Nella recitazione di Albanese convergono il paternalismo della nostra sinistra e della cultura della sinistra populista, ma anche lo sguardo accondiscendente e umanissimo di un personaggio alla Frank Capra. I suoi piani di ascolto con lo sguardo fisso sulla partner recitativa, sospesi tra timore e adorazione, valgono da soli la visione del film e reclamano a gran voce nuovi ruoli tragicomici per questo interprete dal raffinato talento.

Da un punto di vista delle gag comiche l’ambiente altoborghese viene naturalmente, e giustamente, messo da parte, per lasciar spazio alle possibilità ridanciane della periferia, ma è in realtà proprio nel lavoro di Giovanni che Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di morto trova il suo quid satirico, meno “eterno” rispetto alle esplosive declinazioni della coattitudine, ma ben più radicato nel nostro presente. Il museo che promette di portare l’arte nella periferia ha persino perso il suo nome originario e per meglio aprirsi alla cittadinanza, senza spaventarla troppo, si chiama “Spazio vivo”, quasi che la parola “museo” fosse diventata una bestemmia impronunciabile. Questo non-luogo è inoltre un’evidente parodia del MAXXI romano, con quel suo parallelepipedo aggettante al quale, nel film, non si riesce a dare un colore credibile e che inizialmente assume quel tono verde spento emulo, come ben sentenzia Monica, della tinta di una camera mortuaria. In quello “Spazio vivo” dove si parla di “digitaleinclusioneimpattozero” (e dove non a caso troviamo una gustosa comparsata di Steve Della Casa), si promuovono attività culturali finanziate con fondi europei di carattere paternalista e dove soprattutto sembra che la cultura non basti più, non abbia un valore o un richiamo di per sé, e sia necessario associarla ad altri fenomeni più allettanti come ad esempio un ristorante che propina un risotto alla milanese, un “classico” dunque, ma rinnovato virtualmente con un nome più allettante. E non è forse questo anche il destino cui sta andando incontro il nostro cinema e, sporattutto, le sue sale cinematografiche, sempre più associate a bistrot, bar, esercizi commerciali e quant’altro?

E in tal senso dunque il film di Milani si fa anche autoriflessivo, alludendo a quel “con la cultura non si mangia” che qui diventa un motto-bestemmia impronunciabile, ma di fatto è l’amara eredità del berlusconismo e del suo populismo, di cui la sinistra nostrana e le sue politiche culturali fanno ancora fatica a liberarsi.

Info:
La pagina dedicata a Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di morto sul sito di Vision Distribution.
Il trailer di Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di morto .

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