Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente

Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente

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Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è il prequel della fortunata saga iniziata undici anni fa. La quinta trasposizione dai romanzi di Suzanne Collins approda sul grande schermo a otto anni dall’ultima per raccontare le origini della storia e la giovinezza del villain, il futuro presidente Coriolanus Snow, ma sostanzialmente si limita a ripercorrere un territorio già abbondantemente esplorato, offrendo ben poche novità anche ai fan più accaniti.

Passare al lato oscuro

Anni prima di diventare il tirannico presidente di Panem, il diciottenne Coriolanus Snow è l’ultima speranza per il buon nome della sua casata in declino: un’orgogliosa famiglia caduta in disgrazia nel dopoguerra di Capitol City. Con l’avvicinarsi della decima edizione degli Hunger Games, il giovane Snow teme per la sua reputazione poiché nominato mentore di Lucy Grey Baird, la ragazza tributo del miserabile Distretto 12. Ma quando Lucy Grey magnetizza l’intera nazione di Panem cantando con aria di sfida alla cerimonia della mietitura, Snow comprende che potrebbe ribaltare la situazione a suo favore. Unendo i loro istinti per lo spettacolo e l’astuzia politica, Snow e Lucy mireranno alla sopravvivenza dando vita a una corsa contro il tempo che decreterà chi è l’usignolo e chi il serpente. [sinossi]

Era stato George Lucas con la nuova trilogia di Star Wars (1999-2005) a indicare una nuova strada per il prequel: non solo ripartire dall’inizio, da ciò che ancora non era stato raccontato, ma capovolgere la prospettiva e l’assunto. I protagonisti non sono più gli eroi, bensì il villain, attraverso il resoconto delle vicende e dei motivi per i quali si è spinto oltre la soglia, è passato al lato oscuro. La spiegazione di fondo era semplice: per amore, per paura, infine per odio. Ed eccoci qui, oggi, alle prese con un nuovo Anakin in procinto di divenire Darth Vader. Si tratta di Coriolanus Snow, protagonista di Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente: il suo nome non cambierà, ma i suoi sentimenti iniziali sì, e in modo radicale. La saga di Hunger Games, germinata dai best sellers di Suzanne Collins, giunse al cinema facendo da capostipite a tutta una serie di epopee di fantascienza distopica dal tono avventuroso-sentimentale (fra cui Divergent e Maze Runner, entrambe avviate nel 2014) rivolte a un pubblico young adult, anche se in fondo si può dire che sia derivata a sua volta dal successo planetario della saga sentimental-horror di Twilight (2008). Per quanto riguarda Hunger Games (2012), se i primi due episodi avevano registrato incassi da capogiro, gli ultimi due denunciavano già un progressivo calo d’interesse da parte degli spettatori. Si sentiva il bisogno di un nuovo episodio che, a otto anni di distanza, tentasse di risollevare le sorti della saga? Siamo pronti a scommettere di no, ma saranno poi i numeri a deciderlo. Al timone, ancora una volta, c’è Francis Lawrence, che ha diretto tutti i precedenti episodi tranne il primo.

Nella quadrilogia Coriolanus Snow, interpretato da Donald Sutherland, è il Presidente di Capitol City, la metropoli che tiene in scacco e nella più completa povertà i dodici distretti di Panem che, assieme a un altro poi andato distrutto, molti decenni prima avevano osato ribellarsi alla capitale e al suo dispotico presidente. Come punizione, ogni anno ciascun distretto è costretto a offrire due “tributi”, un ragazzo e una ragazza, per partecipare a un contest mortale: i giochi terminano quando soltanto uno di loro rimane vivo. Ma il grande burattinaio Coriolanus non aveva fatto i conti con la coraggiosa e carismatica Katniss Everdeen, il personaggio principale che lanciò la carriera di un’ancora giovanissima Jennifer Lawrence. Se fra i richiami letterari echeggiano alla lontana classici imprescindibili come 1984 di George Orwell e Il signore delle mosche di William Golding, sono poi Battle Royale (Kinji Fukasaku, 2000) e Contenders – Serie 7 (Series 7: The Contenders, 2001, Daniel Minahan) i riferimenti cinematografici più immediati. Con Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente si torna indietro di 64 anni rispetto ai fatti narrati nel primo episodio, per ritrovare un Coriolanus diciottenne, interpretato dal britannico Tom Blyht, una scelta piuttosto azzeccata. Un ragazzo di bell’aspetto, raffinato, sensibile, anche se già molto ambiguo e calcolatore. Il suo compito è donare al suo tributo, Lucy Gray Baird (Rachel Zegler, la Maria di West Side Story di Spielberg, 2021), proveniente dal 12esimo distretto, una morte spettacolare. Il premio sarà in denaro ma, nel suo caso, anche la riabilitazione del nome della sua famiglia. Ma Coriolanus, un po’ perché è ambizioso, un po’ perché si invaghisce della ragazza, decide di fare molto di più, e cioè di condurla alla sopravvivenza e dunque alla vittoria. Anche lui, dunque, come Anakin, si spinge a tutto pur di salvarla, persino a infrangere le regole dei giochi, mettendo a repentaglio la sua futura carriera a Capitol City. Al tempo stesso, Coriolanus, che è un maniaco del controllo, cerca di calcolare ogni sua mossa e anche quelle degli altri, e a un certo punto si trova dinnanzi a dei bivi in cui ad essere in gioco è la sua stessa etica, come quando si trova a dover scegliere tra la lealtà verso l’idealista Seianus Plinth (Josh Andrés Rivera), il suo amico di sempre, e la sua sicurezza personale. Oppure tra il mentire o il dire la verità alla stessa Lucy Gray. Le sue scelte, di volta in volta, lo porteranno poi in una direzione tale che, inesorabilmente farà di lui l’uomo adulto gelido e feroce che il pubblico conosceva.

Nonostante alcuni colpi di scena questa nuova ricognizione dell’angusto mondo di Hunger Games, se da un lato si pone come assolutamente coerente e organica rispetto ai film predecessori, dall’altro risulta del tutto appiattita e superflua, anche grazie alla assoluta mancanza di personalità della regia di Lawrence. Nulla di ciò che accade e viene mostrato non era stato già in qualche modo esplorato prima, con una prima parte che ricalca in particolare i primi due episodi, con l’arena e i combattimenti, e l’altro la guerra contro i ribelli, dal momento che, a un certo punto, Coriolanus si ritrova arruolato tra le file dei Pacificatori, l’esercito di Capitol City. Il tutto sa di rifrittura dei soliti ingredienti (sensazione che, a dirla tutta, si aveva un po’ già al secondo episodio…) e questo, unito alla durata spropositata di oltre due ore e mezza, rischia di rendere l’operazione noiosa e dimenticabile. Esempio lampante di questa scarsa inventiva è il vero e proprio déjà-vu costituito dal personaggio di Lucretious Flickerman, il quale, con la scusa di essere il diretto precursore di Caesar Flickerman, ne è di fatto un copia-incolla, con Jason Schwartzman che sciorina una performance tutta sopra le righe interamente specchiata su quella fornita a suo tempo da Stanley Tucci. Salva in parte la situazione il resto del cast, a partire da una cattivissima (e un po’ monocorde) Viola Davis nel ruolo della dottoressa Volumnia Gail, la creatrice degli Hunger Games e un Peter Dinklage come sempre shakespeariano nel ruolo di Dean Casca Highbottom. Oltre al discreto carisma dei due attori protagonisti: forse più Tim Blyht che Rachel Zegler, la cui Lucy Gray non riesce a imporsi sul grande schermo con la stessa incisività della Katniss di Jennifer Lawrence (ma la colpa non è certo tutta sua), e tuttavia rivela una grinta e un’ambiguità che rendono interessante e almeno in parte originale il suo personaggio.

Info
Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, il trailer.

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