Trois amies

Trois amies

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Emmanuel Mouret sa come muoversi tra le pieghe della commedia sentimentale, con più di un occhieggiare dalle parti di Woody Allen e il rifugio sicuro dei dialoghi rohmeriani. Lo testimonia anche Trois amies, che narra la fragilità dell’amore, delle relazioni, e della vita stessa. In concorso a Venezia 2024.

Joan e le sue amiche

Joan non è più innamorata di Victor, ma le fa male pensare di essere disonesta con lui. Alice, la sua migliore amica, la rassicura: lei stessa non prova passione per il suo compagno Eric, eppure la loro relazione va a gonfie vele. Non sa che lui ha una relazione con la loro comune amica Rebecca. Quando Joan decide finalmente di lasciare Victor e lui scompare, le vite delle tre amiche e le loro relazioni vengono sconvolte. [sinossi]

C’è un momento chiave in Trois amies, dodicesimo lungometraggio da regista per il marsigliese Emmanuel Mouret che viene presentato in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, un momento utile a scendere in maggior profondità per cogliere le reali sfumature di un racconto che per il resto potrebbe apparire la mera copia carbone di istanze autoriali altrui – su cui si tornerà più avanti: Joan è a letto da sola, vivendo come un’ossessione il senso di colpa profondo nei confronti di una persona che molto ha significato nella sua vita, quando riceve la visita ectoplasmatica proprio di quella persona, e inizia a dialogare con la presenza. Quel passaggio dialettico, quella situazione, l’inquadratura netta eppure sfuggente che costruisce Mouret riesce a smuovere in modo non forzato al pianto, quel pianto delle cose umane che contiene al proprio interno la nostalgia, il senso di perdizione, la consapevolezza di non poter in nessun caso gareggiare con il tempo, e con le sue regole. Lì, più che nel dichiarato muoversi attorno alle dinamiche della commedia corale, si coglie in effetti il senso di Trois amies, e non è affatto casuale che anche l’ultima immagine prima dei titoli di coda torni alla sparizione di un ectoplasma, di una presenza/assenza che occupa gli spazi anche quando non si vorrebbe e che non può essere altro però oramai che spettatrice muta, condiscendete malgré lui. Un po’ come il cinema, si potrebbe suggerire. Ancora una volta, non è la prima, Mouret preferisce muoversi a distanza dall’epicentro della produzione cinematografica francese, quella Parigi onnipresente che è l’immagine standard rilanciata d’Oltralpe al resto del mondo: dopotutto il regista cinquantaquattrenne è marsigliese, e la splendida città provenzana fu il primo teatro naturale dei suoi racconti (Laissons Lucie faire !, Vénus et Fleur). Nel suo cinema c’è stato poi spazio per Nantes (Un baiser, s’il vous plaît !), la Costa Azzurra (Une autre vie), il Vaucluse (Les Choses qu’on dit, les Choses qu’on fait), e ora si approda a Lione, città che come afferma la voce narrante che accompagnerà parte del film – e che si scoprirà ben presto a chi appartiene – è in fin dei conti a sua volta una delle protagoniste, seppur immota, della vicenda.

Ancora una volta, seguendo uno schema facilmente rintracciabile all’interno della carriera di Mouret, Trois amies sembra cercare il punto d’incontro tra la commedia corale di Woody Allen (uno che di presenze fantasmatiche ne ha messe in scena non poche), il dialogo intellettuale di Éric Rohmer, e le giravolte inesauste di Max Ophüls. Ma è soprattutto dalle parti del geniale commediante newyorchese che si devono cercare i germi che alimentano la vis scribenti di Mouret, al punto che questo suo nuovo film appare in tutto e per tutto un aggiornamento in chiave lionese di Hannah e le sue sorelle, con il legame amicale che sostituisce quello del sangue ma le dinamiche interne che restano fedeli a quello che può essere definito quasi come un canone – differenti “capacità” d’amare all’interno della coppia, tradimenti, passione per l’arte e via discorrendo. Mouret si dimostra un affidabile cesellatore di dialoghi, in questo senso accompagnato per mano da un cast attoriale in forma smagliante dominato dalle presenze sceniche di Camille Cottin, Sara Forestier e India Hair, cui si affiancano i personaggi maschili affidati alle cure di Vincent Macaigne, Damien Bonnard e Grégoire Ludig: sono i sei personaggi che hanno trovato un autore a lanciarsi nella sarabanda della vita, e delle sue passioni/disillusioni, e a condurre con loro anche il pubblico, tra le menzogne reciproche di una coppia che desidera trascorrere il weekend separata per poter vedere i rispettivi amanti e un uomo che non sa accettare in nessun modo che la donna che rappresenta la sua famiglia lo informi disperata che non lo ama più. Sic et simpliciter.

È d’altronde tutto molto semplice in Trois amies, diretto e pulito come se il cinema fosse ancora quello delle origini – e infatti quando si recano in sala i personaggi si trovano di fronte a Buster Keaton e alle comiche del muto –, e non abbisognasse di filtri, di esasperazioni, di chissà quale costrutto narrativo e psicologico. Non che si debba commettere l’errore di scambiare tale semplicità con una mancanza di approfondimento, o di ricerca: è solo l’approccio di Mouret che come dimostrato negli scorsi due decenni (si pensi anche al recente Una relazione passeggera, che ha trovato spazio anche nella distribuzione italiana) ama la nettezza, che pure non declina mai verso il rigore – e anche per questo l’apparentamento più immediato pare Allen invece di Rohmer. Trois amies è un lavoro volatile, gentile, a suo modo più malinconico che divertito, che dichiara come fragile ogni esigenza umana, e ogni possibile appagamento.

Info
Trois amies sul sito della Biennale.

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