Una relazione passeggera

Una relazione passeggera

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Una relazione passeggera è l’undicesimo lungometraggio da regista per il marsigliese Emmanuel Mouret, che indaga l’intimità emotiva e psicologica degli incontri amorosi tra una donna single e un uomo sposato. Guardando tanto a Éric Rohmer quanto a Woody Allen Mouret dirige un’opera forse semplice ma non per questo banale, arricchita dall’eccellente interpretazione di Sandrine Kiberlain e Vincent Macaigne. In sala dopo aver preso parte nel maggio 2022 fuori concorso al Festival di Cannes.

Discorsi di un frammento amoroso

Charlotte, una madre single, e Simon, uomo sposato e a sua volta con prole, si danno appuntamento in un locale parigino dopo essersi conosciuti fuggevolmente a una festa. È l’inizio di una relazione clandestina che loro stessi definiscono fin da subito passeggera, e priva di avvenire. [sinossi]

Nella traduzione dal francese all’italiano il titolo dell’undicesimo lungometraggio diretto dal marsigliese Emmanuel Mouret ha “perso” una parola. Quella parola è cronaca. Così l’originale Chronique d’une liaison passagère, con cui il film è stato presentato lo scorso maggio sulla Croisette nella sezione non competitiva Cannes Première (insieme, tra gli altri, a La notte del 12 di Dominik Moll, As bestas di Rodrigo Sorogoyen, e le serie d’autore Irma Vep ed Esterno notte, rispettivamente per la regia di Olivier Assayas e Marco Bellocchio), è divenuto Una relazione passeggera; nulla di particolarmente grave, anche se così facendo si perde uno degli elementi cruciali attorno al quale Mouret costruisce la sua commedia, vale a dire il tempo. Esiste negli spiragli di tempo, la relazione passeggera che vede coinvolti i parigini Charlotte e Simon, lei single con tre figli di cui due già giovani adulti – e che vivono per studio a Lione –, lui sposato e con due figli. La sceneggiatura scritta a quattro mani dal regista insieme a Pierre Giraud inizia in medias res, facendo schizzare la mente cinefila in maniera improvvida dalle parti de La mosca di David Cronenberg: in entrambi i casi infatti il film inizia con i due protagonisti che stanno parlando in uno spazio pubblico di fronte a un bicchiere. Ma Una relazione passeggera non presenta trasformazioni corporali, e la storia d’amore non si muove mai in direzione della tragedia; tra l’altro i due personaggi, contrariamente a quanto accade per Seth Brundle e Veronica Quaife, si conoscono già, anche se si sono visti solo di sfuggita a una festa in una serata che è però culminata con un po’ di effusioni. Così Simon e Charlotte decidono di rincontrarsi per “vedere l’effetto che fa”. Lui in vent’anni di rapporto non ha mai tradito la moglie – anche se il desiderio c’è stato, e l’uomo non stenta ad ammetterlo con quel buffo candore intimidito che lo contraddistingue –, mentre lei ha deciso che visto che non si accompagna con nessuno è giusto liberare la mente e, come sottolinea, “ho voglia di vacanze, di respirare, di salire sugli alberi, di cogliere i frutti e di gustarli senza farmi domande”. L’impacciato Simon, che non sa mai davvero come comportarsi, è dunque un frutto da gustare, per poi magari cambiare albero. Questi sono i termini, se tali ha senso definirli, su cui si basa l’inizio del rapporto intimo – clandestino, almeno per Simon – che è l’unico centro dello sguardo di Mouret, così interessato ai suoi due personaggi da escludere quasi completamente il mondo esterno, a partire dai rispettivi figli e dalla consorte di Simon. Tutto rimane relegato nelle lunghe discussioni in cui si impegnano l’uomo e la donna settimanalmente.

Mouret scandisce con una scritta bianca su sfondo nero i giorni in cui Charlotte e Simon si incontrano, a volte per fare l’amore ma altre anche solo per vedersi di sfuggita, magari mentre si sta andando verso un altro impegno quotidiano. La scansione temporale non appare però solo come un vezzo, un modo per incasellare le diverse sequenze: alla maniera di Scene da un matrimonio, capolavoro di Ingmar Bergman che il film cita espressamente al punto da rischiare il pedissequo (i due si incontrano al cinema Escurial, a neanche un chilometro da Place d’Italie, nel XIII arrondissement: lì vicino ci sono anche i giardini “des gobelins” dove vanno a passeggiare in due segmenti fondamentali per la narrazione), il tempo si trasforma in senso, e perfino in spazio, molto più di quelli – a loro modo teatrali, ma d’altro canto il film funzionerebbe anche su un palco – in cui si muovono queste due anime erranti e a loro modo innamorate. L’elemento temporale acquista dunque un valore centrale, là dove Una relazione passeggera si muove su un canone narrativo abbastanza semplice, sicuramente non intenzionato a riscrivere le regole della scrittura ma non per questo banale. Contrariamente a Bergman Mouret sceglie in tutto e per tutto la via della commedia, metà Rohmer metà Allen, concedendo agli attori in scena una struttura delle dinamiche tra i personaggi interamente verbale. Se ciò può finire in alcuni passaggi per appesantire la visione è anche il modo più onesto per raccontare due psicologie che esistono e si sviluppano solo al di fuori – prima o dopo, poco importa – del rapporto sessuale, al punto che proprio una divagazione erotica, vale a dire un incontro a tre con una sconosciuta rintracciata su internet che dovrebbe appagare una voglia mai messa in atto da Simon scuoterà le fondamenta di quello che sta diventando un nuovo tran-tran, diverso eppure eguale al mero rapporto di coppia matrimoniale.

Mouret coccola i suoi due personaggi, li fa accarezzare da una colonna sonora che spazia da Mozart all’immancabile Serge Gainsbourg (e con un divertito richiamo al lavoro che Ravi Shankar portò a termine con la figlia Anoushka), cita Gaston Miron e Stendhal, e frammenta un discorso amoroso che solo a uno sguardo superficiale passa attraverso le parole che i due – soprattutto Simon – si sentono in dovere di utilizzare per riempire il vuoto, per non apparire fuori tono, o fuori senso, come quando l’uomo non trova meglio da fare la prima volta che mette piede nell’appartamento della donna che diverrà la sua amante se non chiedere lumi sul perché non ci siano le tende alle finestre. Ne viene fuori un’opera molto dolce, che per quanto sia costruita riesce a mantenere una sincerità disarmante e che non si adegua agli stilemi bo-bo più in voga nella produzione transalpina. In tal senso una parte considerevole del merito il cinquantatreenne regista deve dividerlo con i suoi due protagonisti, Sandrine Kiberlain e Vincent Macaigne, semplicemente perfetti nel restituire due psicologie in divenire, che stanno forse cercando ancora un modo per evadere da loro stessi, sempre sul punto di prendersi per mano e correre, anche fosse solo per l’ultima volta.

Info
Una relazione passeggera, il trailer.

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