I tre birbanti
di John Ford
Quintessenza della concezione stessa del genere western, della corsa verso l’ovest come mito fondante dell’America come civiltà, 3 Bad Men (I tre birbanti) è l’ultimo western muto di John Ford, tassello perfetto della sua epopea cinematografica tra spettacolari e infinite corse di carovane, battaglie e momenti romantici e picareschi. Film d’apertura della 43a edizione delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, proposto nel restauro del MoMA con la partitura musicale composta e diretta da Timothy Brock.
Go West
Nel Dakota, all’epoca (1877-1878) della scoperta dell’oro, un colonnello e sua figlia partecipano a una delle “corse alla terra” per la proprietà di terreni da coltivare. Il padre viene ucciso e la ragazza, Lee Carlton, fidanzata a Dan O’Malley, un baldo cow-boy, è salvata da tre simpatici fuorilegge – Mike Costigan, Bull Stanley e Spade Allen – che diventano suoi cavalier serventi. I tre muoiono durante una corsa all’oro per mano di Layne Hunter, uno sceriffo corrotto, e della sua banda. [sinossi]
Un vecchietto è entusiasta per aver trovato una riserva d’oro in qualche collina. Il suo interlocutore però smorza subito il suo entusiasmo: quella collina rientra nella riserva Sioux, quindi è intoccabile. L’anziano è molto deluso ma l’altro lo prende da parte per chiedergli esattamente quale e dove sia quella collina. Così si apre, a seconda delle versioni, 3 Bad Men (in italiano I tre birbanti anche se è frequente trovare il titolo con cui passò in Rai negli anni ’70 “I tre furfanti” come vedremo in una certa misura fuorviante rispetto alla funzione dei tre personaggi), western muto di John Ford del 1926 che ha aperto Le Giornate del Cinema Muto 2024 di Pordenone, nella copia restaurata del MoMA, con il supporto di The Celeste Bartos Fund for Film Preservation, con la partitura musicale composta e diretta da Timothy Brock ed eseguita dall’Orchestra da Camera di Pordenone. La scena succitata, indicativa di una sorta di rispetto nei confronti dei nativi americani, che spesso nel western erano considerati come natura da domare o selvaggi da civilizzare, è proprio la prima scena in questa versione restaurata, mentre nella precedente della Kino Lorber, questa scena era invertita rispetto a quella che, in questo restauro, è la seconda scena, un momento didascalico in cui si dà atto del decreto del 18° Presidente degli Stati Uniti, Ulysses S. Grant, che dà il via libera a una land rush, ovvero a una corsa di colonizzazione, aperta a tutti gli aspiranti coloni che volessero accaparrarsi della terra nella concezione del possesso del “primo che arriva mette la sua bandierina”, a seguito, dice il decreto, dell’”acquisizione” di questi vasti territori dai Sioux cui sono state assegnate delle apposite riserve. L’inversione delle due scene, il vecchietto che ha trovato l’oro nei territori dei nativi e l’enunciazione del decreto presidenziale, è tutt’altro che neutra. Nel restauro, che si presume più accurato e fedele, visto a Pordenone, trapela un maggior rispetto nei confronti della popolazione autoctona. I nativi si vedono in sole tre scene del film, i classici “indiani” con il diadema di penne come vuole l’iconografia del genere. Sono sempre spettatori dignitosi dell’approvo di navi o della transumanza di carovane accorse in gran massa per depredare le ricchezze a loro espropriate.
I tre birbanti rappresenta la quintessenza del western, la messa a nudo di un meccanismo, la colonizzazione in direzione ovest, la conquista dei territori fondativa della nazione americana. Ford la mette in scena con quell’epos che ha fatto grande il suo cinema, senza scadere nella retorica. È l’esaltazione pomposa di quel coacervo multietnico, quel melting pot di eterogenea provenienza, che caratterizza gli Stati Uniti. Proprio la scena più magniloquente del film, una fila sterminata di carovane, di cui non si vede la fine all’orizzonte, al nastro di partenza per la land rush, costituisce la rappresentazione simbolica di un intero genere che si basa sulla conquista delle terre in direzione ovest. Navi arrivano da ovunque per parteciparvi: lo vediamo subito. È un baldanzoso irlandese, come Ford, Dan O’Malley che incarna lo spirito genuino di libertà al suono della sua armonica, reso con i simboli delle note del pentagramma negli intertitoli con le sue canzoni. Si innamora subito della bella di turno, un’unione sacra, propulsione di nuove generazioni di americani. La loro famiglia è consacrata da una grande ruota di legno di carrozza, elemento figurativo che torna, e che sancisce il ricordo, nella loro vita stanziale, di una passata vita errabonda. La ruota infatti è quella che si era sfilata dalla carrozza, e che il ragazzo contribuisce ad aggiustare, che torna poi come porta della staccionata del loro ranch. A protezione di loro, e della nascente nazione americana, sono i tre fuorilegge del titolo, in realtà picareschi ladri di cavalli che non esitano a prendere le parti giuste, e a immolarsi con l’eroismo del solo contro tutti, una volta che siano entrati in scena i veri villain. In questo senso appare più appropriata la bonaria espressione di birbanti. Ford riprenderà questa tipologia di personaggi in In nome di Dio (3 Godfathers, 1948). E il discrimine tra buoni e cattivi riguarda gli obiettivi, come si chiarisce alla fine, tra la ricerca dell’oro, tra la pura avidità per quello che è definito il Graal non sacro, e il voro oro rappresentato dal giallo delle distese di grano, frutto dell’operosità dei coltivatori.
Concepito sull’onda del successo di Il cavallo d’acciaio, di due anni prima, I tre birbanti non fu un successo e costrinse il povero Ford a un lungo periodo di astinenza dai western. Dopo averne girati 43 in 9 anni passa un lungo periodo di privazione, per tornare poi al genere solo 13 anni dopo nientemeno che con Ombre rosse. L’arrivo degli aspiranti coloni, l’edificazione del villaggio di casette di legno, il predicatore, lo sceriffo, il saloon, la balera, l’emporio: I tre birbanti contribuisce all’edificazione di un genere con l’edificazione dei suoi spazi fisici, i suoi archetipi, e quindi dei suoi tópoi narrativi. C’è l’assedio, della comunità con il predicatore, che viene aggredita con le carrozze incendiate; c’è l’innamoramento, la donna angelicata e le donnacce, quelle portate al seguito nella carrozza e quella che vuole sedurre Dan fingendosi Lee che nel frattempo sta lavandosi in una tinozza, preparata con accudimento e pudore dai tre briganti. Una scena magistrale che mescola una gag a equivoco e un torbido erotismo. 3 Bad Men contiene momenti altissimi. La scena, già citata, della corsa per la terra, realizzata con un’infinità di cavalli e carrozze, cui segue il momento di incredibile suspense del bambino che cade a terra e che rischia di rimanere travolto da quell’orda di gente accecata dalla brama di terra. E qui anche un elemento critico rispetto a quella conquista del west. Viene salvato da una mano provvidenziale che spunta in campo. Il momento di danza nel saloon, che si genera all’improvviso e rischia di diventare sparatoria, giocato con una doppia carrellata, in avanti e poi all’indietro che si ferma con l’ingresso in scena di un carretto di bevande. Una coreografia. E come dimenticare quei cavalieri eroi e pure un po’ briganti, che già smitizzano un mito in costruzione, già in sé crepuscolari, visti nelle loro silhouette stagliarsi in un’abbagliate luce vespertina. Momento ripetuto alla fine, come a commemorare degli angeli.
Info
I tre birbanti sul sito delle Giornate del Cinema Muto.
- Genere: sentimentale, western
- Titolo originale: 3 Bad Men
- Paese/Anno: USA | 1926
- Regia: John Ford
- Sceneggiatura: John Ford, John Stone
- Fotografia: George Schneiderman
- Interpreti: Alec B. Francis, Bud Osborne, Frank Campeau, George Irving, George O'Brien, Georgie Harris, Grace Gordon, J. Farrell MacDonald, Jay Hunt, Lou Tellegen, Olive Borden, Otis Harlan, Phyllis Haver, Priscilla Bonner, Tom Santschi, Vester Pegg
- Produzione: Fox Film Corporation
- Durata: 122'