Smile 2

Smile 2

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Nuovamente scritto e diretto da Parker Finn Smile 2 amplifica, moltiplica ed estremizza tutto: in primo luogo gli inquietanti sorrisi minacciosi che braccano la protagonista, interpretata da Naomi Scott, popstar tanto nella vita quanto nel film. E poi mostri, jumpscare, sangue, incubi e deliri. Se nel capostipite il ritmo era volutamente lento, a tratti quasi ipnotico, qui si procede per escalation, in una nevrosi sempre più incontrollabile e dai toni grotteschi, per non dire comici. Il coraggio di osare fino al punto di non ritorno è da premiare.

“Sai chi ti sorride tanto?”

Sul punto di iniziare un nuovo tour mondiale, la star internazionale del pop Skye Riley comincia a vivere eventi sempre più terrificanti e incomprensibili. Schiacciata dalle crescenti angosce e dalle pressioni della notorietà, Skye è costretta a confrontarsi con il suo passato oscuro per riprendere in mano la sua vita prima che vada in pezzi. [sinossi]

Due anni fa usciva Smile (2022), esordio nel lungo dell’allora trentacinquenne Parker Finn. Un horror formulaico ma con la capacità di puntare sul perturbante, dosando bene atmosfere e jumpscare e avvalendosi di movimenti di macchina insinuanti e, soprattutto, degli sguardi in macchina. Ecco, partiamo da qui. Lo sguardo in macchina come sguardo nel fuoricampo per eccellenza, di sfondamento della quarta parete in direzione di noi spettatori. Che, nascosti nel semibuio, credendoci al sicuro, all’improvviso veniamo scovati, interpellati in prima persona, scaraventati all’interno del film. E quando quel film è un horror, la situazione si fa per forza di cose più inquietante. Altri punti a favore: la questione del trauma e della colpa; una brava protagonista in luogo della solita scream queen sgallettata; e, ovviamente, la metafora di una società che ci vuole sempre sorridenti, propositivi, felici (e consumatori), come mostriamo d’essere sulle nostre pagine social, nella negazione di qualsiasi problema o dolore. Perché smile = no pain (come indica la faccina azzurra nel “sorrisometro” del reparto di psichiatria): ma se il dolore invece c’è? Senza contare poi i riferimenti al contagio e alla conseguente paranoia, nonché, come in L’uomo invisibile (The Invisible Man, 2020) di Leigh Whannell, una donna perseguitata cui non crede nessuno e che è giudicata una psicopatica. Cosa rimane di tutto questo nel sequel Smile 2? Ben poco. E per fortuna. Non perché il primo Smile non fosse un horror più che discreto, ma perché Finn – in entrambi i casi regista e sceneggiatore, quindi autore totale – non si siede sugli allori. Pur portandosi dietro l’intera squadra del primo film (a eccezione del cast), Smile 2 amplifica, moltiplica ed estremizza tutto: in primo luogo gli inquietanti sorrisi minacciosi che braccano la protagonista, interpretata da Naomi Scott, popstar tanto nella vita quanto nel film. E poi mostri, jumpscare, sangue, incubi e deliri. Se nel capostipite il ritmo era volutamente lento, a tratti quasi ipnotico, qui si procede per escalation, in una nevrosi sempre più incontrollabile e dai toni grotteschi, per non dire comici.

Ma, attenzione, non si tratta – come qualcuno sarà portato pigramente a pensare – di ridicolo involontario. Finn mostra di essere pienamente consapevole nella scelta di fare di questo suo sequel un’operazione per certi versi simile – con le debite proporzioni – a quella che fece Tobe Hooper con Non aprite quella porta – Parte 2 (The Texas Chainsaw Massacre 2, 1986): calcare sui toni grotteschi, esasperare l’orrore fin quasi a neutralizzarlo, continuando però a produrre senso. Ovviamente il fatto che il contesto di partenza sia traslato da quella di un’anonima psichiatra a quella di una giovane e celebre popstar, ex tossica, fresca di rehab e ancora fragile, non è casuale. Le pressioni cui è sottoposta sono già esse stesse “il mostro”, il sorriso che deve autoimporsi a ogni comparsata in pubblico è già una maschera oppressiva e lacerante. Il fatto di essere circondata da persone che in lei vedono e da lei esigono soltanto l’immagine pubblica (compresa la madre, per ovvi interessi personali), trascurandone i tormenti interiori e le richieste di aiuto, sono già la peggiore delle punizioni possibili, l’inferno sulla Terra. La storia di Skye Riley poteva essere raccontata sotto forma di un dramma psicologico. Come horror, diviene esplosiva e delirante. E cattivissima: un aspetto da non sottovalutare. Finn continua a essere spietato, la sua è una sana e non conciliata cattiveria in una compagine horror, come quella contemporanea, prevalentemente anestetizzata e quasi “bon ton”. Persino nel linguaggio l’autore batte parecchi record facendo inanellare alla sua stravolta protagonista una serie impressionante di f-word (che nel doppiaggio diventano cazzi e vaffanculo a raffica). La qual cosa è assai liberatoria e divertente, specie considerando che, nella vita reale, i dischi di Naomi Scott sono distribuiti dalla Walt Disney Records (!).

Certo, alla fine il tutto rischia di frastornare e stancare un po’, perché, come si è detto, Finn più che alzare l’asticella, la fa saltare. È dunque il tipico caso “prendere o lasciare”. E noi prendiamo, per il coraggio delle intenzioni, quello cioè di non voler ripetersi, ma di slanciarsi fino al punto di non ritorno: infatti , a cosa potrebbe mai aspirare un eventuale Smile 3, se non vedersi costretto a ripiegare sul classico prequel-requel di prammatica? Probabile, ma speriamo proprio di no. La londinese Naomi Scott, bravissima e dal viso splendido, si tuffa nel ruolo e nel film con foga e senza risparmiarsi/ci niente, senza nessuna esitazione nel giocare con la sua immagine dio diva pop e di sporcarla, passando un deciso colpo di spugna su alcune delle sue precedenti, discutibilissime apparizioni sul grande schermo, come Power Rangers (Dean Israelite, 2017), Aladdin (Guy Ritchie, 2019) e Charlie’s Angels (Elizabeth Banks, 2019). Apprezzabile ma non memorabile apparizione di Drew Barrymore nel ruolo di se stessa in qualità di conduttrice di un talk show.

Info
Il trailer di Smile 2.

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