Un gioco da ragazze

Un gioco da ragazze

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Un gioco da ragazze cerca disordinatamente di affastellare tutti i lati oscuri della gioventù odierna. Al classico trittico sesso, droga & rock ‘n’ roll si aggiungono, nello spiazzante incipit che sembra non considerare minimamente il lavoro di sottrazione, il bullismo, l’anoressia, lo sfrenato consumismo, l’idolatria di falsi e penosi miti, l’impotenza della famiglia e della scuola, il classismo più becero, l’incapacità di provare sentimenti e di relazionarsi…

Lustrini e peluche

Elena, Michela, Alice, diciassette anni: belle, ricche e senza problemi. Nate e cresciute in seno all’alta borghesia di una ricca città di provincia italiana, sono le figlie delle tre famiglie maggiormente in vista. Estremamente fashion addicted, fissate con la dieta e con l’aspetto fisico, spendono le loro giornate tra shopping di lusso, ragazzi, feste in locali esclusivi e scuola. Ma tutto per loro è già vecchio e noioso. Abituate a ottenere tutto e subito, si spingono a chiedere sempre di più. Elena incarna la leader del gruppo: un giorno Mario Landi, il nuovo professore, entra nella vita della ragazza, cercando di cambiare qualcosa, e inconsapevolmente ne diventa un gioco… [sinossi]

L’esordio al lungometraggio del giovane Matteo Rovere, già noto per alcuni corti (Homo Homini Lupus), manifesta fin dai primi minuti il suo maggior difetto, il voler forzatamente essere un film di genere e, contemporaneamente, uno sguardo su una generazione assai confusa, dai valori prossimi allo zero, abbandonata a se stessa. Un gioco da ragazze, che potrebbe anche funzionare come postmoderna versione de Le relazioni pericolose, cerca disordinatamente di affastellare tutti i lati oscuri della gioventù odierna. Al classico trittico sesso, droga & rock ‘n’ roll si aggiungono, nello spiazzante incipit che sembra non considerare minimamente il lavoro di sottrazione, il bullismo, l’anoressia, lo sfrenato consumismo, l’idolatria di falsi e penosi miti (da Kate Moss a Paris Hilton), l’impotenza della famiglia e della scuola, il classismo più becero, l’incapacità di provare sentimenti e di relazionarsi in maniera sana e via discorrendo. Rovere mette in scena una sorta di baby dark lady, cattiva, complessata ma ben conscia del suo potere (sociale e sessuale), e la immerge in un contesto da provincia ricca e spocchiosa, moralmente corrotta e decadente: la bella Elena (Chiara Chiti è una delle note liete del film) è ovviamente ricchissima e viziata fino all’inverosimile, divoratrice di uomini, manipolatrice di menti deboli e tutto quel che segue. Il modello di riferimento di Elena e dei suoi amici – tutti insopportabilmente poveri di spirito – sarà anche il nefasto tubo catodico, ma la rappresentazione offerta da Un gioco da ragazze accumula ed enfatizza fino a sfondare senza remore il muro della verosimiglianza, scivolando più volte in sequenze dall’involontaria comicità.
Ed è un peccato, perché con una sceneggiatura di altra fattura o con un obiettivo più calibrato le capacità registiche di Rovere avrebbero potuto produrre risultati ben più soddisfacenti: ma la buona messa in scena non basta a salvare un film che gioca superficialmente sul rovesciamento del rapporto professore-studente (“non ridiamo con lui, ma ridiamo di lui” sembra quasi fare il verso a L’attimo fuggente di Peter Weir: Filippo Nigro non sarà Robin Williams, ma avrebbe meritato maggior fortuna) e che azzarda un doppio montaggio alternato (tradimento in discoteca, scena di sesso tra la moglie e il professore, folle corsa in macchina, tentato suicidio di Livia) che incarna perfettamente l’eccessiva schematizzazione di Un gioco da ragazze e il sistematico e sovrabbondante ricorso ai luoghi comuni.

I video dei bulli caricati su internet, le indigestioni di pasticche, l’ignoranza galoppante, la patetica attenzione ai centimetri di ricrescita dei capelli, la chirurgia plastica come modello di riferimento e tutte le altre manifestazioni dello spaventoso vuoto esistenziale dei giovani del nuovo millennio risuonano inutili e ingombranti in un film che finisce per sprecare le proprie potenzialità: curiosi di rivedere le abilità tecniche di Rovere in occasioni migliori, prendiamo nota anche della buona prova della Chiti, sperando che il giovane cinema italiano si faccia presto le ossa. Chiudiamo con un accenno al presunto divieto ai minori di 18 anni: dovesse essere confermato (e non la classica trovata promozionale), sarebbe palesemente insensato.

Info
Il trailer di Un gioco da ragazze.
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