Dream Team

Dream Team

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Costruito intorno a Omar Sy e aderente fin nei minimi dettagli ai cliché dei film d’ambientazione sportiva, Dream Team è un film modesto e innocuo, cui manca una scrittura degna di questo nome.

Bad New Football

Patrick Orberà ha cinquant’anni ed è una vecchia gloria del calcio. Senza impiego, alcolizzato e rovinato, ha perso il diritto di vedere sua figlia. Costretto da un giudice a cercare un lavoro stabile, si trova di fronte all’unica scelta possibile: partire per una piccola isola bretone per allenare la squadra di calcio locale. Se dovessero vincere i successivi tre incontri potrebbero raccogliere denaro sufficiente per salvare la fabbrica di sardine dell’isola, da cui dipende la metà degli abitanti. Patrick Orberà si trova immediatamente di fronte a un grosso ostacolo: trasformare dei pescatori in calciatori semi-professionisti. Decide dunque di affidarsi ai suoi vecchi compagni di squadra affinché lo aiutino a portare la piccola squadra tra le grandi… [sinossi]

Ci sono nomi di sportivi che difficilmente rimarranno nella memoria collettiva, anche se sono stati in grado di compiere imprese al di là di ogni immaginazione. Questo discorso vale anche per Cédric Schille, Réginald Becque, Grégory Lefebvre, Mickaël Gerard e tutti gli altri membri del Calais, squadra di calcio non professionista che nella Coppa di Francia della stagione 1999-2000 mise in riga compagini blasonate come il Lille, lo Strasburgo e il Bordeaux prima di cedere il passo in finale solo per 2-1 (e dopo essere stata anche in vantaggio) al fortissimo Nantes, vincitore in quegli anni di due scudetti, due Coppe di Francia e due Supercoppe nazionali. Ad allenare il Calais, composto nei ranghi da ragazzi impegnati in ben altre attività per poter sbarcare il lunario, era Ladislas Lozano, un passato di calciatore poco entusiasmante e una carriera in panca passata in squadre e in campionati di seconda fascia (al momento è la guida del club tunisino Esperance).

Sembra guardare fortemente dalle parti di Lozano il personaggio di Patrick Orberà, protagonista di Dream Team, commedia sportiva che irrompe nelle sale italiane dopo aver fatto una vera e propria carneficina al botteghino d’oltralpe, con oltre venticinque milioni di euro raggranellati dalla produzione: la sua storia, quella di un ex campione disilluso, impelagato in vicende personali non proprio entusiasmanti e costretto, anche per cercare di non perdere la possibilità di vedere la propria figlia, a trovare lavoro come allenatore della squadra di calcio di una minuscola e insignificante isola al largo della Bretagna, non è poi così dissimile (enfasi drammatica a parte) a quella del già citato protagonista della cavalcata trionfale del Calais.
A impegnarsi dietro la macchina da presa in questo onesto ma esile film calcistico è nientemeno che Olivier Dahan, noto ai più per il biopic La vie en rose ma vero e proprio carneade della cinematografia francese, visto che a lui si devono anche i vari Déjà mort, Le Petit Poucet e I fiumi di porpora 2, stanco e risibile seguito del thriller poliziesco diretto da Mathieu Kassovitz. Con onestà registica e rifuggendo da qualsiasi velleità autoriale – che con ogni probabilità non sarebbe neanche minimamente in grado di gestire – il cineasta nativo de La Ciotat porta sullo schermo una prevedibile storia di caduta e rinascita.

Dream Team segue fino ai minimi dettagli qualsiasi cliché sui film d’ambientazione sportiva, sia nella costruzione psicologica del protagonista sia nel milieu culturale e sociale nel quale far muovere l’ennesima squadra di debosciati senza futuro inconsapevoli delle proprie potenzialità atletiche. Nulla di nuovo sotto il sole, insomma, e nulla per cui valga la pena preoccuparsi più di tanto: nel giro di qualche mese nessuno si ricorderà più di questi undici calciatori bretoni e delle loro disavventure. Quel che manca semmai a un’operazione innocua e in fin dei conti neanche troppo deprecabile, è una scrittura degna di questo nome: viene meno il mordente necessario a trascinare lo spettatore nel pieno dell’azione, costringendolo invece ad annaspare in intere sequenze delle quali non si sente la benché minima urgenza.
Un prodotto costruito a tavolino, intorno a un attore oramai divenuto di culto (ma quanto durerà?) come Omar Sy e a un’industria che ha riscoperto il fascino economico della commedia, ma contro il quale non vale neanche la pena lanciarsi in invettive particolari. Un film modesto, che non appassionerà probabilmente neanche i patiti del pallone, e si lascerà dimenticare senza procurare abrasioni ulteriori. Il che, a volte, non può che far bene…

Info
Il trailer di Dream Team su Youtube.
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