Tusk

Il nuovo horror di Kevin Smith, Tusk, è un folle e divertito viaggio nell’ossessione, tra reduci dello sbarco in Normandia e trichechi. In Mondo Genere a Roma 2014.

I’m the Walrus

Wallace parte per intervistare Kill Bill Kid, un adolescente che si è tagliato una gamba giocando con una spada. Giunto a destinazione scopre che il ragazzo è morto. In un pub un volantino attrae la sua attenzione: un vecchio marinaio offre alloggio gratuito a persone disposte ad ascoltare le sue avventure. Eccitato, Wallace accetta l’offerta. Giunto in una tenuta desolata, trova ad accoglierlo Howard Howe, ex viaggiatore costretto su una sedia a rotelle. L’uomo lo incanta con i racconti delle sue avventure, in particolare con la storia del suo amico tricheco. Mentre Howe continua a raccontare, Wallace beve uno strano intruglio e sviene. Si risveglia, disorientato, su una sedia a rotelle, con una coperta sulle gambe… [sinossi]

In molti, dopo la proiezione stampa di Tusk di Kevin Smith alla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (dove il film era inserito nella sezione Mondo Genere) hanno storto il naso, rimproverando a Smith di aver allestito uno spettacolo indeciso se muoversi in direzione dell’horror oppure perseverare in posizioni più vicine alla commedia demenziale. Una presa di posizione comprensibile proprio se si vanno a sviscerare le qualità meno superficiali di Tusk.
È infatti indubbio che Kevin Smith mantenga la sua creatura – mai termine fu così appropriato accostarlo a un’opera cinematografica – in un limbo, zona intermedia tra l’abisso di orrore e la vacuità del demente, ma sarebbe ingiusto tacciare una simile scelta di comodità o, peggio ancora, di incapacità di scrittura. I dialoghi ossessivi, sboccati, lunghi fino all’esasperazione che imperversano nella prima parte del film, quella che conduce il borioso e insensibile Wallace prima a Winnipeg e quindi nelle fauci del luciferino Howard Howe, non sono la coda di lucertola del cinema di Smith, quello fondato sulla comicità verbale di Clerks, ma ne rappresentano piuttosto uno sminamento continuo. In questo senso agevolerebbe lo spettatore medio il confronto con il precedente Red State (2011), thriller sul fanatismo religioso che rappresentò anche la prima incursione del regista statunitense nel genere, e di cui Tusk sembra la naturale prosecuzione.

Anche in Tusk, infatti, il protagonista viene tratto con l’inganno nella trappola ordita dal pazzoide di turno, e anche in questa occasione il centro del discorso vira ben presto dalle farneticazioni dell’anziano Howe a una riflessione sull’identità, sulla barbarie e sull’umano nel senso più ampio del termine. Non che si debba scambiare Smith come un moralizzatore dei nostri tempi o un filosofo prestato alla causa del cinema popolare, sia chiaro: Tusk rimane in tutto e per tutto un divertissement, un b-movie d’altri tempi, che non disdegna citazioni colte – Hemingway, Coleridge, Tennyson e via discorrendo – ma le frulla in un melting-pot privo di scavo, cogliendo con una certa dose di sardonica ironia la vacuità del contemporaneo.
Ne viene fuori un horror d’interni (il cinema di Smith si è sempre trovato poco a suo agio al di fuori del perimetro degli edifici, e non solo per mera questione di budget) che flirta con l’ironia senza cedervi mai completamente, ma che non nega in nessun modo la sua essenza primigenia, quella di puro intrattenimento. Si vuol forse fare una colpa di questo a Smith? A fronte di una pletora di cineasti che ritengono essenziale anche il più addormentato dei propri sguardi, viene naturale difendere la natura forse grossolana ma sincera del cinema di Smith, che non ha mai amato prendersi particolarmente sul serio e lo conferma a ogni singola inquadratura.

Ciò detto, Tusk permette all’appassionato di horror di godere di un grand guignol non troppo esibito ma efficace, di una riflessione sul bestiale non priva di sfumature e di un cast in forma smagliante, a partire da Michael Parks fino ad arrivare a un Johnny Depp mai così convincente negli ultimi anni. E il frutto finale di questo amplesso volutamente esasperato tra commedia di dialoghi e horror corporeo è una sequenza dolente e romantica, in grado persino di commuovere.
Perché il grande interrogativo posto da Kevin Smith, e a cui nessuno può sottrarsi è: siamo uomini o trichechi?

Info
Il trailer di Tusk.
Il sito ufficiale di Tusk.
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