Viktoria

Viktoria

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Con Viktoria Maya Vitkova esordisce nel lungometraggio con un racconto di formazione libero e surreale, che attraversa un’ampia porzione della storia della Bulgaria, affrontando i temi della maternità e del potere. In concorso al Trieste Film Festival 2015.

Senza legami

Bulgaria, 1979. Boryana, cresciuta in piena era comunista, disprezza la madre (fedelissima del Partito) e sogna di fuggire in Italia. Ma il suo piano va in fumo quando resta incinta. Dopo nove mesi nasce Viktoria, venuta al mondo senza cordone ombelicale, e senza ombelico. [sinossi]

Affiancare a un racconto di formazione, la cui portata è, per forza di cose, anche generazionale, un frammento di Storia di una Nazione. Dalle nostre parti, cinematograficamente parlando, tutto ciò si traduce in La meglio gioventù, o magari Romanzo criminale o anche Romanzo di una strage, insomma nell’opera congiunta di Rulli & Petraglia, la coppia di sceneggiatori che ha fatto dell’intreccio tra il privato e la res pubblica del nostro paese il suo indelebile marchio di fabbrica. In Bulgaria invece, la sceneggiatrice e regista Maya Vitkova (classe 1978) con la sua opera prima, Viktoria, rielabora in forma onirica, simbolica, surreale i cambiamenti storici che hanno travolto la sua generazione e il suo paese, mantenendosi mirabilmente in equilibrio tra l’intimo e il collettivo, l’ansia di dare sfogo alla propria creatività e la necessità di ripercorrere importanti eventi storici.

Presentato in concorso al Trieste Film Festival 2015, dopo essere passato al Sundance, Viktoria è una storia di maternità e potere, imposizioni e ansia di libertà, ma soprattutto di una madre – da intendersi anche nel senso di madre patria – e di sua figlia. Siamo nel 1979 e Boryana (una magnetica Irmena Chichikova) e il marito vivono a casa di lei condividendo la stanza da letto con la sua anziana madre. Quando la giovane sposa viene ingravidata, a tradimento, dal consorte, si allontana per lei il sogno di trasferirsi in Occidente.
Così, mentre il marito ha deciso senza consultarla che il loro futuro al momento sarà nella patria Bulgaria e mentre la madre continua a comportarsi più come un membro del partito che come una genitrice, Boryana affronta la gravidanza, senza sapere che il peggio deve ancora venire e che questa creatura da lei non desiderata, oltretutto non le apparterrà mai. Nata senza cordone ombelicale proprio nel giorno del decimo anniversario del regime comunista, Viktoria sarà soprattutto un vessillo governativo, il simbolo della perfezione autarchica della rivoluzione. Ma le cose sono destinate a cambiare con la fine del regime e allora, Viktoria e Boryana dovranno trovare un nuovo equilibrio, così come il loro paese.
Tra trovate apparentabili allo Jaco Van Dormael di Mr. Nobody o allo Jonathan Glazer di Under the Skin, esplosioni pop-socialiste e una massiccia dose di amaro sarcasmo, Maya Vitkova costruisce il suo affresco storico e simbolico, che riesce a non scadere mai nel ridicolo involontario né nell’inverosimile grazie alla potente zavorra che la regista ha saputo fornire alle sue evoluzioni stilistiche: l’amore per i propri personaggi. Viktoria è infatti principalmente la storia di tre donne (nonna-madre e nipote) del loro percorso di vita e dei sentimenti forti e contrastanti che si trovano a provare l’una per l’altra, in un momento storico capace di determinare tutto o quasi, sentimenti compresi.
Naturalmente, come era inevitabile, data la durata della pellicola (155 min) Viktoria presenta qualche squilibrio narrativo, ma il suo ritmo è sempre vorticoso e inarrestabile tra una pioggia di latte, un tappeto di giornali, una grottesca celebrazione di compleanno (per la rivoluzione e per Viktoria). Il turning point più atteso, considerati i ruoli in ballo è ovviamente la fine del regime e l’avvento della democrazia, che cambia ogni cosa nel paese e nella vita dei personaggi, così come nello stile del film, che da lì in avanti si fa più cupo e meditativo, dal momento che la piccola Viktoria si ritrova di fatto senza più un padre (ovvero senza il presidente, con il quale era collegata sempre via telefono) e con il rapporto con la madre tutto da costruire.

La regista innesca dunque un ritmo pieno di variazioni, scarti di tono, contrappunti, contraddizioni, dove gli eventi e i personaggi collidono e poi prendono di nuovo le distanze, come in una danza, dove ogni singolo movimento si compone e trova senso all’interno di una coreografia il cui quadro complessivo appare e scompare, eppure è sempre lì. In Viktoria il legame tra le vicende personali e quelle collettive anziché essere solidamente strutturato – come avviene nei film scritti da Rulli & Petraglia – è sempre spezzato e ricucito, ogni evento provoca un urto nella vita dei personaggi, le cui conseguenze non sono visibili nell’immediato, ma proseguono a riecheggiare, mai in maniera scoperta o didascalica, nel prosieguo delle vicende.
È un esempio prezioso dunque Viktoria di come in Europa sia possibile realizzare un film personalissimo eppure universale, estremamente creativo eppure ficcante e puntuale, un film d’autore che fa della mancanza di limiti e pudori la sua vera forza, senza strizzare l’occhio né al pubblico, né al (presunto) mercato.

INFO
La scheda di Viktoria sul sito del Trieste Film Festival.
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