Sole alto

Sole alto

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Film d’apertura della 27esima edizione del Trieste Film Festival, Sole alto di Dalibor Matanić è un melodramma a tre episodi sull’impossibilità dell’amore ai tempi della guerra nella ex-Jugoslavia.

La guerra mangia l’anima

Tre decenni, tre storie d’amore in cui lui è croato e lei è serba. [sinossi]

Gli strumenti che il cinema ci ha dato per cercare di fare luce su quanto accaduto nella ex Jugoslavia negli ultimi decenni sono molti e di varia natura – dai film di Kusturica a quelli di Danis Tanović per fare gli esempi più noti -, ma forse a nessuno era ancora venuto in mente di declinare la più grave tragedia europea dalla fine della Seconda Guerra Mondiale nel modo più semplice ed efficace possibile: l’impossibilità dell’amore per un aggiornamento dell’eterno modello shakespeariano dei Montecchi e Capuleti. Lo ha fatto Dalibor Matanić con il suo Sole alto – premio della giuria in Un certain regard al Festival di Cannes del 2015 e film d’apertura della 27esima edizione del Trieste Film Festival – scegliendo addirittura di moltiplicare per tre le tragiche vicende dei suoi innamorati, novelli Giulietta e Romeo, lui croato, lei serba. Ed è proprio in questa moltiplicazione, che fa sì che il film sia diviso in tre episodi su tre decenni diversi (1991, 2001, 2011), che Sole alto trova il suo precipuo motivo d’interesse.
Facendo infatti interpretare agli stessi due attori (la stupenda Tihana Lazović e il meno convincente Goran Marković) tre diversi personaggi ogni volta innamorati tra di loro, Matanić costruisce la sua tesi sull’impossibilità dei rapporti affettivi in quel frangente della storia: immediatamente prima dello scoppio della guerra (1991), immediatamente dopo (2001) e poi, ancora più tardi, quando le ferite ancora non si sono sanate, ma forse stanno per esserlo (2011).

L’idea è a suo modo geniale, ed ha anche una indubbia efficacia. Il rischio cui però si può incorrere è quello di una eccessiva schematicità dei rapporti e delle parabole dei personaggi. Rischio in cui cadono in parte il primo e il terzo episodio. Il secondo invece è il vero nucleo emotivo – oltre che formale – di Sole alto: qui Tihana Lazović interpreta una ragazzina viziata e annoiata che torna con la madre nel paese natale e trova la casa semi-distrutta; serve dunque l’intervento di un operaio e, a tal fine, verrà chiamato un giovane croato, interpretato ovviamente da Goran Marković. Nella convivenza forzata in casa – come per una replica coatta della convivenza ai tempi della Jugoslavia – i due si scambiano odi e attrazioni reciproche, in una ben costruita atmosfera di tensione erotica.

Ma, del resto, è proprio della struttura di Sole alto il poter – e dover – incorrere in una scrittura diseguale, a tratti riuscitissima, in altri momenti un po’ fiacca (gli amici del terzo episodio che vogliono solo annullarsi nel bere e nella musica da discoteca sono troppo schematici). Quel che un po’ sorprende è che anche la regia è discontinua: vi sono dei momenti molto belli (le scene di sospensione in acqua, ad esempio, oppure l’ellittica transizione che evoca la guerra) ed altri apparentemente buttati via. Tutto questo finisce allora per impedire a Sole alto di potersi ergere a film paradigmatico – e per certi versi definitivo – degli umori sotterranei della guerra nella ex Jugoslavia, obiettivo ambiziosissimo che, secondo i presupposti, Dalibor Matanić sembrava avere in mente. Ed è un peccato che per un motivo o per l’altro qualcosa gli sia sfuggito.

Info
La scheda di Sole alto sul sito del Trieste Film Festival.
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