Il mostro di Mägendorf

Il mostro di Mägendorf

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Presentato alla retrospettiva “Amato e rifiutato: il cinema della giovane Repubblica Federale Tedesca dal 1949 al 1963” di Locarno 2016, Il mostro di Mägendorf è un film sui serial killer ambientato nel paesaggio idilliaco di montagna in Svizzera.

La visita dell’ex-commissario

Un uomo attira i bambini verso la morte offrendo loro dolcetti al cioccolato. Un serial killer che agisce tra i boschi del ridente paesaggio svizzero terrorizzando la comunità dei piccoli villaggi di pastori e boscaioli. Un detective indaga e prosegue le ricerche da privato cittadino quando il caso è ufficialmente risolto dopo il suicidio di un sospettato. [sinossi]

Un film su un serial killer di bambini, un tema pesantissimo per il cinema ma che è molto diffuso in quella che è una vera e propria narrativa popolare delle pagine morbose di cronaca nera, come anche il caso mediatico italiano recente di Yara Gambirasio trovata in un campo proprio come succede in questo film del 1958. Quando Fritz Lang realizzò M – Il mostro di Düsseldorf, nella Germania di 27 anni prima, a chi lo rinfacciava di morbosità replicava che le stesse storie efferate, di omicidi a sfondo pedopornografico, si potevano leggere bellamente sulle pagine di cronaca nera di tutti i giornali. E in Il mostro di Mägendorf (Es geschah am hellichten Tag), al commissario che teme per la vita dei bambini, per la possibilità che l’assassino sia in circolazione, viene replicato dal suo superiore che comunque i bambini sono sempre in pericolo, sciorinando la statistica di 15000 abusi sessuali sui minori all’anno in Germania, mentre sulla scrivania del dirigente di polizia campeggia la sua foto incorniciata di famiglia, con i suoi figlioletti felici e sorridenti. Nella rappresentazione dell’orrore della violenza sessuale ai bambini, il cinema sembra essere stato abbondantemente superato dalla rappresentazione giornalistica.

Il regista Ladislao Vajda riesce a sfondare alcuni limiti, dell’epoca, dell’osceno e del non visibile, mostrando il braccino del cadavere del bambino ritrovato nel bosco. E in quella scena abbiamo un precursore del corpo incellofanato di Laura Palmer o di quello della bambina abusata di L’humanité di Bruno Dumont. In Il mostro di Mägendorf le vittime non sono state violate, come si dice espressamente, ma il solo pensiero di contemplare questa ipotesi appare estremamente dirompente per l’epoca. E ancora il film si segnala per una crudezza quasi compiaciuta. L’indugiare sul momento in cui si deve rivelare ai genitore che la propria figlia è stata uccisa, i bambini compagni della vittima al funerale.
Il mostro di Mägendorf presentato nella retrospettiva del Festival di Locarno, appare come un’opera di genere quanto mai lungimirante rispetto a tanto cinema che sarebbe venuto, anticipatrice di tante situazioni. Un disegno infantile che rappresenta un elemento chiave della detection (Profondo rosso); in generale la disarmonia tra un ambiente incontaminato e idilliaco e le efferatezze che vi vengono compiute sarà l’ingrediente di Twin Peaks o, sempre nella verde campagna svizzera, di Phenomena. Nella narrazione del noir Ladislao Vajda adotta una via intermedia tra il classico whodonit e il sistema hitchcockiano, mostrandoci l’assassino a tre quarti circa del film – non alla fine né all’inizio quindi –, esibendolo prima non in volto ma facendocelo poi riconoscere nella scena successiva dal dettaglio dell’anello. Trattasi peraltro di Gert Fröbe-Goldfinger che con Fritz Lang invertirà di ruolo diventando il commissario in Il diabolico dottor Mabuse. Da quel punto lì in poi, Vajda ce lo farà seguire come Hitchcock con i suoi assassini.

Rispetto alla sceneggiatura e al libro che poi Friedrich Dürrenmatt ha scritto, per ribadire la sua versione dove non si svela l’identità del colpevole, c’è più o meno lo stesso rapporto che tra Un maledetto imbroglio di Pietro Germi e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda. All’autore interessano cose diverse e il cinema deve normalizzare, non può permettersi grosse deviazioni dagli stereotipi narrativi. Comunque in Il mostro di Mägendorf permane tutto il sarcasmo, la satira tagliente nei confronti del perbenismo di una società ordinata come quella svizzera, di cui è impregnata l’opera letteraria come quella pittorica di Dürrenmatt. Viene descritto un ambiente fortemente classista. Dove il commissario e i dirigenti delle forze dell’ordine appartengono alla borghesia più altolocata ed è naturale che l’assassino sia il bifolco interpretato da Michel Simon, mentre il vero assassino è pure appartenente alla società agiata. La giustizia sommaria, l’errore giudiziario, la discrepanza tra la giustizia degli uomini e le reali colpe: sono temi cari tanto a Dürrenmatt quanto al cinema del maestro Fritz Lang. Se per il dottore del film l’assassino è un malato, come M – Peter Lorre, per il commissario è un criminale da cui la società deve difendersi. Per poter scoprire davvero il colpevole Matthäi dovrà spogliarsi dell’abito borghese per indossare quello più umile di un benzinaio.

Come la vecchia signora dell’opera più celebre di Dürrenmatt, La visita della vecchia signora, andrà in un’altra cittadina a cercare giustizia o vendetta per interposta persona. E per farlo metterà in atto una trappola incredibilmente cinica. Userà una bambina come esca, proprio come quella usata dai pescatori di trote che si vedono nel film, ancora una bambina povera che gioca da sola, emarginata dai coetanei perché figlia illegittima. Messa in un recinto con la sua bambola, una perfetta trappola per topi. Come recitava il sottotitolo di M, gli assassini sono fra noi.

Info
La pagina dedicata a Il mostro di Mägendorf sul sito del Festival di Locarno.
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