Joshua

Con Joshua George Ratliff si impegna a narrare il lato oscuro di un bambino di nove anni, nell’ennesima rappresentazione cinematografica dell’innocenza apparente del Male. Con Vera Farmiga e Sam Rockwell a interpretare gli inconsapevoli, e disperati, genitori.

I bambini ci guardano

Joshua Cairn è un bambino di nove anni, intelligente e introverso musicista, molto diverso dai suoi coetanei. La benestante famiglia Cairn, che vive a Manhattan, è composta da papà Brad, mamma Abby, Joshua e l’ultima arrivata Lily. Proprio l’arrivo della piccola Lily, sconvolgerà gli equilibri della famiglia, gettando Abby nella depressione, con conseguente crisi di coppia, ma soprattutto farà manifestare il lato oscuro ed inquietante del giovane Joshua… [sinossi]

Il percorso compiuto da Joshua di George Ratliff prima di approdare sugli schermi del nostro paese è stato costellato di premi e incoronazioni critiche un po’ ovunque: da Sitges al Sundance fino a Locarno, l’eco dei successi mietuti da questo astuto e particolare thriller psicologico si è moltiplicata, aumentando in maniera esponenziale le aspettative nei suoi confronti. È forse anche per ciò che si è appena scritto che, a conti fatti, si esce dalla visione di Joshua leggermente delusi; intendiamoci, il film rimane un’interessante finestra aperta sul rapporto genitori-figli nell’opulenta società capitalistica contemporanea (il ragazzino protagonista della pellicola abita con i suoi genitori e la neonata sorellina in fantastico appartamento nel cuore di Manhattan), ma sembra non mantenere tutte le promesse fatte. Al contrario di quanto letto in giro nel corso dell’ultimo anno, infatti, il punto di forza dell’opera di Ratliff non risiede tanto nello scarto definitivo verso plumbee atmosfere da thriller paranoide e ossessionante, anzi. È proprio nella seconda parte, quella in cui definitivamente viene allo scoperto la psiche del bambino genialoide e precocemente maturo e deflagra la componente più prettamente thriller dell’intero intreccio, che il film perde gradualmente d’interesse.

Il perché di questo fenomeno è presto detto: laddove nella prima metà, Joshua permane in bilico tra suggestioni realiste e voli pindarici che, non avendo ancora trovato una loro compiutezza narrativa, finiscono per sbalordire lo spettatore costringendolo a una postura scomoda, sanamente squilibrata, difforme a buona parte del cinema sull’infanzia che solitamente si trova a sostare davanti ai nostri occhi, il finale si affida con troppa facilità alla fortezza rassicurante del genere, finendo per inficiare un substrato narrativo che lasciava intravvedere dinamiche tutt’altro che usurate. Al contrario, proprio nella sequenza conclusiva del film, in quella abnorme ricomposizione familiare che tale ovviamente non è si legge una implicita confessione di comodità da parte di Ratliff, un’accettazione fin troppo esibita delle regole (scritte e non che siano), fino a quel momento dribblate con una certa classe. E quello che poteva trasformarsi in un arguto pamphlet contro le usure della nostra contemporaneità, grido di rivolta contro una generazione di bambini monstre, costretti a crescere più in fretta di quanto il loro corpo possa sostenere, sorta di cloni in miniatura dei loro genitori (le stesse nevrosi, i medesimi tic, un’uguale incapacità a sentirsi a proprio agio nella prassi della vita di tutti i giorni), finisce per essere l’ennesimo thriller estivo, dotato di maggior classe rispetto ai suoi colleghi ma con una serie di difetti endemici che ne abbassano il potenziale. Eppure sarebbe bastato insistere sull’intuizione biblica alle spalle di tutto (con Joshua che tende lentamente a far implodere letteralmente la casa in cui vive su se stessa, mandando all’aria la perfezione borghese con cui siamo stati introdotti nel film) e magari perdurare con maggior coerenza sull’uso del fuori campo per costruire le sequenze dall’alto valore climatico – e in questo forse Ratliff avrebbe dovuto prendere lezioni da M. Night Shyamalan, vero e proprio maestro nell’utilizzo del fuori campo -, per portare a casa un lavoro con il quale farsi ricordare negli anni a venire. Invece, ciò con cui abbiamo a che fare è “solo” un onesto thriller, ricco di alti e bassi, con una sceneggiatura ammaliante e incompiuta. E allora vien davvero naturale dire “peccato”.

Info
Il trailer di Joshua.
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