Acciaio

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Prima ancora di essere un lungometraggio di finzione, un film operaio e una delicata storia adolescenziale, Acciaio è l’ispirata mise-en-scène di un paesaggio industriale e proletario. La fabbrica, i casermoni, la capanna, il mare, Anna e Francesca, gli sguardi di Alessio e ancora la fabbrica, la fabbrica, la fabbrica, la fabbrica… e l’Elba, al di là del mare, come un miraggio.

Al di là del mare

Di qua l’acciaieria che lavora ventiquattro ore al giorno e non si ferma mai. Di là, l’isola d’Elba, un paradiso a portata di mano eppure irraggiungibile. In mezzo, né di qua né di là, Anna e Francesca, piccole ma già grandi, un’amicizia potente ed esclusiva quanto l’amore. Lo stesso amore che tiene in piedi Alessio, il fratello di Anna, operaio fino al midollo che si ostina a pensare all’unica ragazza che non può avere, il sogno della sua vita, Elena. E un giorno l’amore arriva, potente e inaspettato per tutti e la vita prende un’accelerata improvvisa, finché si incrina, sanguina, si spezza… [sinossi]
Guarderò il mare
studierò il vento
salirò a bordo
poi di sicuro io salperò
Luca Carboni – La mia isola

Una presenza costante, opprimente, segno di un destino già scritto, di una trappola per topi, nobilita e sorregge il secondo lungometraggio di finzione del documentarista Stefano Mordini (Provincia meccanica, 2005, con Stefano Accorsi e Valentina Cervi, ma anche i doc Come mio padre, Il confine, L’allievo modello e Paz ‘77). La fabbrica, l’acciaieria Lucchini, con la sua fonderia imponente e magmatica, è il cuore pulsante e al tempo stesso arido dell’area industriale di Piombino, città divisa tra ferro e mare. I turni inarrestabili della fabbrica regolano le vite dei protagonisti, aggrappati ai casermoni di via Stalingrado, alla Lucchini e al sogno di una fuga impossibile, di una vita al di là del mare, di un momento di pace all’isola d’Elba.
Mordini ha il grande merito, nonostante una sceneggiatura che forse avrebbe richiesto un maggiore lavoro di sottrazione, di mettere in scena un paesaggio culturale carico di significati. L’onnipresenza della Lucchini trascina a tratti il lungometraggio su un piano quasi documentaristico, scandendo la crescente angoscia spettatoriale di fronte a delle vite troppo comuni e troppo difficili: la fabbrica che dà il pane, la fabbrica che uccide, i casermoni che ospitano e che soffocano, i turni di lavoro che inaridiscono, che disegnano crepe nell’animo e rughe sui volti.

Acciaio ruota narrativamente e visivamente attorno alla fabbrica e alla fonderia, il nucleo rosso fuoco. Esemplare, in questo senso, il primo piano di Elena (Vittoria Puccini) con alle spalle il mare: un’immagine quasi “vacanziera”, per una fuga momentanea e illusoria, prontamente frustata dalla successiva inquadratura della Lucchini. È la dialettica del film: vita-fabbrica, disperazione-fabbrica, speranza-fabbrica. A Mordini basta un lieve stacco di montaggio o un aggiustamento dell’inquadratura per tornare alla cruda realtà: la Lucchini è lì, monolite d’acciaio, fuoco e ruggine. Una montagna che nessuno può scalare, la rappresentazione terrena e industriale del dio Efeso e della sua fucina che non può e non vuole fermarsi di fronte ai patimenti e alle tragedie umane. Prima ancora di essere un lungometraggio di finzione, un film operaio e una delicata storia adolescenziale, Acciaio è l’ispirata mise-en-scène di un paesaggio industriale (la Lucchini) e proletario (i casermoni di via Stalingrado, ma anche la capanna sul mare).

Tratto dal fortunato romanzo di Silvia Avallone, che ha collaborato alla sceneggiatura scritta dallo stesso Mordini, e presentato in anteprima alle Giornate degli Autori della sessantanovesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Acciaio avrebbe probabilmente potuto sostenere il peso di una scrittura ancor più essenziale, meno mainstream, focalizzandosi quasi esclusivamente sul percorso sentimentale delle adolescenti Anna e Francesca (le giovani, esordienti e soprattutto brave Matilde Giannini e Anna Bellezza) e tenendo sullo sfondo Alessio, personaggio che non avrebbe comunque smarrito il proprio spessore grazie alla performance e alla fisicità di Michele Riondino. Appare superflua, per gli stessi motivi, la parentesi del ritorno di Arturo (il sempre incisivo Massimo Popolizio): l’assenza paterna avrebbe avuto un peso specifico maggiore, un vuoto più significativo.

La fabbrica, i casermoni, la capanna, il mare, Anna e Francesca, gli sguardi di Alessio e ancora la fabbrica, la fabbrica, la fabbrica, la fabbrica… e l’Elba, al di là del mare, come un miraggio.

Info
Il trailer ufficiale di Acciaio.
Acciaio su facebook.
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