Gegenwart

Gegenwart

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Esempio di contemplazione che non lascia spazio alla parola come fu per Il grande silenzio, Gegenwart sembra proprio volere riproporre sullo schermo la magistrale lezione di Philip Gröning. In concorso nella sezione CinemaXXI alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.

Cenere alla cenere

Gegenwart segue l’estenuante giornata lavorativa di un piccolo forno crematorio attivo tutti i giorni, 24 ore su 24. L’azienda garantisce il trattamento di un defunto in tre giorni, cosa che permette agli impresari di pompe funebri una precisa programmazione e offre ai superstiti la possibilità di tornare rapidamente alla normale attività. Una rapida cremazione favorisce una precoce elaborazione del lutto, dice la brochure della compagnia. C’è molto da fare. «È l’economia, stupido!». [sinossi]

La cenere è un residuo solido della combustione: è una polvere molto fine di colore grigio, in quasi tutte le tonalità, dal nerofumo ad un grigio chiarissimo, quasi bianco. La composizione chimica esatta della cenere varia a seconda del particolare tipo di combustibile da cui ha origine e della temperatura di combustione, ma in genere è composta da sostanze fortemente ossidate e con temperature di fusione e vaporizzazione molto alte. Questa è la definizione generica con la quale si identifica la parola cenere. Nel caso dell’ultima fatica documentaristica di Thomas Heise dal titolo Gegenwart, presentata in concorso nella sezione CinemaXXI alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, la cenere che ricopre il ruolo di assoluta protagonista è il risultato dell’inesauribile processo di cremazione di corpi privi di vita che giornalmente si consuma tra le mura di un forno crematorio tedesco.

L’ultima fatica del più maledetto (e proibito) tra i documentaristi dell’ex RDT, che solo a partire dagli anni Novanta ha visto le proprie opere trovare spazio nel circuito festivaliero dopo che tutti i titoli realizzati precedentemente erano stati bloccati, distrutti o sequestrati, ci porta in un non-luogo teatro di un atto, l’ultimo, che consegna le spoglie mortali alla memoria. Heise penetra in punta di piedi, si limita ad osservare il personale al lavoro, ossia ciò che è animato lavorare su corpi che non lo sono più. Morte e vita vanno a braccetto fino all’ultima definitivo passaggio, quello del carrello che accompagna la salma contenuta nella bara tra le fiamme ardenti del forno. Prima siamo lì a spiare tutte le fasi che precedono quell’ultimo atto. Il tutto avviene in religioso silenzio, rotto di tanto in tanto da un vociare indistinguibile avvolto dal continuo rumore dei macchinari. Heise ci mostra il cuore pulsante di quel luogo, il suo funzionamento dall’interno senza provare a interagire con esso e con le persone che lo popolano. E si finisce con il cadere in una dimensione irreale, quasi metafisica, dove il tempo sembra cristallizzarsi, quando in realtà scorre inesorabile. E la mente corre al bellissimo Il castello di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti.

Esempio di contemplazione che non lascia spazio alla parola come fu per Il grande silenzio, Gegenwart sembra proprio volere riproporre sullo schermo la magistrale lezione di Philip Gröning. Come nel capolavoro del 2005 firmato dal connazionale, anche qui la musica è bandita, con la sola eccezione di un prologo e di un epilogo canterino. In entrambi c’è solo spazio per il sound effect, nulla di più. A cambiare è il tempo di permanenza, quattro mesi presso il monastero della Grande Chartreuse, sulle Alpi francesi, per il primo, pochi giorni in un forno crematorio disperso tra le nevi della campagna tedesca per il secondo. Per Il grande silenzio si tratta di uno dei pochi casi in cui l’occhio del regista e quello dello spettatore registrano le stesse sensazioni, hanno gli stessi dubbi, cercano le stesse vie di fuga; non è semplice rimanere seduti per quasi tre ore ad ascoltare il silenzio, e per di più al buio, eppure l’attenzione cede al fascino dell’immagine e si lascia condurre lungo i corridoi del monastero a seguire la quotidianità dei padri. Quello di Gröning non è però uno sguardo invasivo e nulla ha a che vedere con la dimensione voyueristica che di recente ha stravolto i palinsesti televisivi dei cinque continenti. Un film fisico che ridefinisce i concetti di spazio e tempo, tramutando la visione in un’esperienza non solo emotiva, ma anche percettiva. In Gegerwart si percepisce la stessa volontà, lo stesso desiderio epidermico di mostrare l’essenza delle cose senza stravolgerle, senza violentarle con l’occhio onnisciente di un apparato filmico. Il dna drammaturgico e lo scopo sono i medesimi, ma il risultato per Heise non raggiunge le vette di lirismo, poesia e coinvolgimento empatico, toccate dal connazionale. Tuttavia è un’opera che colpisce dal punto di vista formale per la rigorosa e pregevole composizione delle inquadrature, per il loro taglio e per l’uso pittorico delle focali. Rigoroso ed essenziale, predilige la fissità al movimento, la stasi alla cinetica.

Info
La scheda di Gegenwart sul sito della Blinker Filmproduktion.
Il trailer originale di Gegenwart.

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