Teresa

Teresa

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Per Mustang Entertainment esce in dvd Teresa di Dino Risi. Tra gli ultimi film dell’autore, un fallimentare tentativo di sdoganamento per Serena Grandi. Film fortemente significativo per il suo tempo e per il cinema prodotto dalla berlusconiana Reteitalia.

Dalla stagione d’oro della commedia all’italiana anni Cinquanta e Sessanta, i nostri maggiori autori giunsero agli anni Ottanta decisamente con le ossa rotte. E’ un fenomeno interessante, che meriterebbe un serio studio e approfondimento. Non sempre la senilità degli autori corrisponde a decadimento artistico, anzi abbiamo tuttora autori ultraottantenni in grandissima forma e fortemente ispirati (tanto per citare il caso più estremo, cosa dire di Manoel De Oliveira?). In Italia, invece, si è trattato di un processo pertinente a un preciso momento storico e a una specifica generazione d’autori, in cui si esula dal singolo caso personale per coinvolgere un gruppo ben definito di cineasti. E’ curioso e indicativo, infatti, che non sia successo solo a Dino Risi, a Mario Monicelli, a Luigi Comencini; tale estrema difficoltà autoriale in età senile ha riguardato infatti tutto un gruppo d’autori che fino a tutti gli anni Settanta aveva costituito il cuore pulsante del nostro cinema, segnatamente sotto il profilo commerciale ma anche estetico ed artistico.

Poi, gli anni Ottanta: questa landa sperduta in cui si smarriscono professionalità, sapienza narrativa, stile e pregnanza estetica, ma in cui soprattutto si smarrisce la realtà. Cosa raccontare, e come? La commedia, in particolare quella italiana, si è sempre contraddistinta per lo stretto rapporto con la realtà contingente. Uno specchio semovente su una società in continua trasformazione. Si erano già avvistate alcune crepe durante i violenti anni Settanta; i nostri migliori autori già faticavano a tenere il passo di una realtà così drammatica, alla quale il tipico cinismo della nostra commedia poteva sposarsi solo con effetti spesso stridenti e infelici. O, nei casi migliori (Un borghese piccolo piccolo, L’ingorgo…), aderendo a un grottesco sulfureo e aggressivo. Una commedia agghiacciante, che non fa più ridere, incattivita e crudele, in cui il paradosso è applicato alla violenza.

Con gli anni Ottanta, invece, è innanzitutto il panorama industriale a mutare profondamente. Emerge la tv commerciale, cambiano drammaticamente le esigenze del pubblico, sempre più asservito a un gusto corrivo e superficiale che gli viene ammannito quotidianamente in dosi massicce tramite il piccolo schermo. La tv commerciale si fa essa stessa produttrice di cinema: nasce Reteitalia, la prima realtà di produzione cinematografica targata Berlusconi. E Dino Risi si adegua, senza troppi indugi. Non c’è da stupirsi: se i film assomigliano ai propri autori, da un campione di cinema cinico come Risi non potevamo aspettarci che un rapido adeguamento al contesto. D’altra parte Risi non ha mai fatto mistero del suo estremo pragmatismo. Odiava il cinema impegnato italiano (celebre la battuta su Antonioni in Il sorpasso), e ha sempre visto nel pubblico il suo committente. Non era l’unico a pensarla così, e non è stato nemmeno l’unico a correre alla corte di Berlusconi quando negli Ottanta Sua Emittenza viveva i suoi anni di maggiore sviluppo. Per la tv commerciale girarono brutte fiction, oltre allo stesso Risi, anche Mauro Bolognini, Mario Monicelli, Nanni Loy, Franco Giraldi, Giuseppe Patroni Griffi, Enrico Maria Salerno, Florestano Vancini… Nel progetto editoriale di Reteitalia rientrava però anche il cinema, e Dino Risi ne sposò le coordinate con vero entusiasmo.

Teresa (1987), ripubblicato in dvd per Mustang Entertainment, nasce esattamente in questo contesto creativo. Anzi, è il secondo film di Risi concepito secondo questa neo-estetica berlusconiana: dopo Il commissario Lo Gatto con Lino Banfi, Risi si decise a tentare lo sdoganamento artistico di Serena Grandi. Le cucì addosso un ruolo principale di procace camionista romagnola, un ruolo che furbescamente richiamasse il contesto carnale e strapaesano in cui la Grandi aveva costruito il proprio successo, e che lo ripulisse secondo coordinate meno becere. Niente nudi, niente spogliarelli, giusto il bel seno in trasparenza sotto il camicione bianco durante un bagno in mare. Un prodotto, insomma, pronto per il passaggio televisivo su Canale 5 e per la sua platea generalista e familiare. E’ inutile dire che il film risulta fallimentare sotto tutti i punti di vista. Di Dino Risi non resta praticamente niente, se non la firma sui titoli di testa. La difficoltà a raccontare gli anni Ottanta viene aggirata da Risi con uno degli espedienti più frequenti in quegli anni: non la si racconta, si trascura il problema, e si aggiornano blandamente schemi vecchissimi a una nuova epoca. Solo sotto questa luce è possibile forse ravvisare qualcosa dell’autore-Risi, più anni Cinquanta che Sessanta. La Teresa camionista spavalda e autonoma è una povera-ma-bella, costante omaggio di Risi a se stesso che culminerà nel suo ultimo film per il cinema, l’auto-remake Giovani e belli con Anna Falchi che ancora grida vendetta. Il racconto di Teresa si adagia infatti per buona parte in una stanchissima e insistita riproposizione di battibecchi e schermaglie tra un uomo e una donna proletari che vorrebbero essere padroncini, secondo coordinate anni Cinquanta totalmente fuori tempo massimo. Come vedere Poveri ma belli con gli short di jeans e la terrificante musica da discoteca di quegli anni in commento sonoro. Non c’è da prendersela per la disarmante povertà estetica, al di sotto della qualità media di un telefilm italiano anni 80 (che è tutto dire…), che d’altra parte riguardava molto cinema italiano di quegli anni: colpisce di più la totale trascuratezza di credibilità, contestualizzazione, verità umana. Serena Grandi camionista che va al funerale del marito tutta elegante con tanto di giacca nera con spalline: dov’è la coerenza narrativa, dove l’attenzione alla scrittura di situazioni e personaggi che tanto aveva distinto Risi e la sua generazione negli anni Sessanta? Emerge con forza, invece, un progetto editoriale a monte, che scavalca l’autorialità di Risi.

E’ il cinema-Reteitalia, per l’appunto, un committente fortissimo e invasivo, che predilige il mostrare al raccontare. Gli anni ’80 dovevano raccontare se stessi, a prescindere da qualsiasi cura nei confronti del vero racconto filmico. Perciò la camionista in giacca con spalline, perciò gli sponsor piazzati alla meglio che rendono paradossale più di un momento (Teresa che trasporta in Germania un carico di birra Prinz…), perciò battute tragicamente infelici sulla Resistenza, che a posteriori sembrano aderire addirittura a un progetto non tanto politico, quanto di riformattazione antropologica di un paese. Perciò la scelta di volti più o meno televisivi (Lino Banfi in Lo Gatto, Serena Grandi qui) per finalizzare a monte il prodotto a uno sfruttamento su piccolo schermo. A voler forzare la mano, possiamo individuare la personalità di Risi nella sapienza di costruzione dei caratteri secondari. Qui il carattere secondario è uno solo (gli altri sono solo macchiette), ed è lo spasimante di Teresa, interpretato da un grande Eros Pagni, l’unico a portare un po’ di vera qualità. Così come la struttura episodica on-the-road fa parte di una collaudata retorica risiana. Ma anche in questo Risi adegua se stesso a nuove, brutte estetiche. Così, dopo un’ora di film, si apre una parentesi videoclip, in cui la Grandi e Luca Barbareschi (totalmente fuori luogo nei panni dell’uomo volgare e manesco) si lanciano in evoluzioni marittime sulle note di “Caruso” di Lucio Dalla. Frammento talmente episodico da risultare del tutto pretestuoso, una sorta di fulminea elevazione del personaggio di Teresa secondo canoni estetici ancora neo-televisivi.

In tutto questo, emerge l’immagine di un cinema da vicolo cieco, tanto che infatti Teresa non ebbe alcun successo e il lancio di Serena Grandi come vera attrice fallì miseramente. Poteva essere diversamente, visto che Dino Risi la fece pure doppiare? Si poteva davvero concepire seriamente lo sdoganamento di un’attrice facendole prestare la voce da altri? Segno dei tempi, di sciatteria e di mancanza progettuale. Si rimane spiazzati nel vedere alla sceneggiatura la firma di Bernardino Zapponi, e soprattutto è sconcertante il fatto che questo cinema mancasse anche ai propri obiettivi. Cinema concepito in funzione del pubblico, eppure non si ride mai, e le sale che proiettavano Teresa rimasero vuote. Ma probabilmente Silvio Berlusconi era contento ugualmente. Aveva un prodotto in più, targato Dino Risi, da piazzare a qualsiasi ora del palinsesto. Un brutto film torna sempre comodo, specie nei buchi di programmazione televisiva verso le 3 di notte.
Ciò detto, Teresa merita di essere visto, come tutti i film fallimentari dei grandi autori. E’ anche in queste occasioni che si può trovare il senso di un percorso artistico e umano. L’abbraccio di Dino Risi a Reteitalia, che produsse cose inguardabili come le fiction-tv con Carol Alt, costituisce quasi l’approdo naturale della sua carriera, fondata su cinismo e pragmatismo. Altri suoi colleghi si concessero al massimo un’uscita con Berlusconi o con la tv pubblica, senza repliche. Risi insistette. Ma si sa, della sua generazione lui era il più estremo e cattivo.

Info
Il dvd non contiene extra.
La pagina dedicata a Teresa sul sito di CG Home Video.
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