Intervista a Vuk Rsumovic

Intervista a Vuk Rsumovic

L’importanza del lavoro sulla sceneggiatura e di quello con gli attori, l’elaborazione della partitura fotografica e il progetto di un horror junghiano. Di questo e altro abbiamo parlato con Vuk Rsumovic, regista di Figlio di nessuno, film vincitore della 29. Settimana Internazionale della Critica.

Un racconto di formazione che attraversa i primordi e poi l’esplodere del conflitto nell’ex Jugoslavia: No One’s Child (in italiano Figlio di nessuno) ha conquistato il Premio del Pubblico RaroVideo della 29. Settimana Internazionale della Critica. Al suo esordio nel lungometraggio di finzione, il regista Vuk Rsumovic racconta la storia, realmente accaduta, di un enfant sauvage cresciuto tra i lupi e ritrovato nei boschi della Bosnia nel 1988. Ma il conflitto balcanico è alle porte e il percorso di crescita del ragazzo si trasforma in una iniziazione alla violenza. Sorprendente la maturità narrativa e stilistica e stilistica di Rsumovic: il suo film scorre agile restando sempre incollato al protagonista (eccezionale la performance del piccolo Denis Muric) e si dirige sicuro verso una potente e lacerante denuncia della bestialità umana. Nel corso della nostra intervista, Rsumovic ci ha rivelato, tra le altre cose, come ha scoperto questa storia e come ha lavorato alla sceneggiatura e alla resa fotografica del film.

Figlio di nessuno amalgama al racconto di formazione “classico” di un “ragazzo selvaggio” i tragici eventi storici della guerra in ex Jugoslavia. Come hai lavoro su queste due anime del tuo film?

Vuk Rsumovic: Credo che naturalmente il contesto in cui la vicenda del mio protagonista si svolge è fondamentale, perché il momento storico in cui la ex Jugoslavia si dissolve costituisce anche l’apice del percorso del personaggio. È in quel momento che i conflitti che stanno portando il paese in guerra interferiscono con il suo processo di crescita, che cambia e con esso cambia anche il tono del film. Credo che una fonte d’ispirazione fondamentale per me sia stato il film di Elem Klimov Va’ e vedi (Idi i smotri, 1985) perché io avevo in qualche modo in mente questo suo lavoro quando ho iniziato a lavorare al mio film.

Come mai hai scelto proprio il 1988 come data d’inizio della tua storia?

Vuk Rsumovic: Il 1988 è l’anno in cui questa storia è avvenuta, perché si tratta di una storia vera, ma è anche un momento in cui in Jugoslavia la situazione era ancora pacifica e le persone vivevano tranquille. Poi, all’inizio degli anni ’90 si comincia a percepire che la situazione sta precipitando, la guerra è alle porte, e nei 4-5 anni che sono seguiti il paese è collassato.

Questa storia vera che racconti è celebre nel tuo paese o l’hai scoperta tu?

Vuk Rsumovic: Non è una storia nota ai più. L’ho scoperta grazie a mia moglie che è una regista teatrale e stava facendo una serie di workshop con questi delinquenti minorili e bambini abbandonati quando ha incontrato un’educatrice che le ha raccontato questa storia. Io ho subito pensato che una vicenda così particolare andava raccontata. Inizialmente credevo di farne un documentario poi abbiamo iniziato – io e mia moglie – a fare una serie di ricerche e abbiamo anche incontrato il vero protagonista di questo fatto incredibile. E gradualmente, mentre mi documentavo, ho deciso di fare un film di finzione perché questo mi avrebbe dato più libertà. Ho fatto molte ricerche, ma a un certo punto ho capito che dovevo distaccarmi dai documenti raccolti e analizzati e in questo processo di distanziamento mi ha aiutato anche leggere le note di sceneggiatura scritte da François Truffaut in occasione di L’enfant sauvage, un film su una storia molto simile a questa. Lui aveva delle note di sceneggiatura che io ho letto e che mi hanno molto aiutato, perché in quelle note lui scriveva “questo è quel tipo di storia che tu puoi indagare per una vita intera, perché è così ricca che ti ci puoi perdere dentro, ma se stai facendo un film di finzione a un certo punto ti devi fermare e dire a te stesso che quello che sai, sai, il resto lo devi immaginare”. Ed è proprio quello che ho fatto io in quel momento in cui mi sentivo bloccato, perché da una parte ero legato al fatto che si trattasse di una storia vera, dall’altra però avevo bisogno di tutta la libertà che sentivo necessaria per fare il mio film.

Ci sono voluti diversi anni per realizzare Figlio di nessuno: è stato perché questo tempo era necessario a te per riflettere sul progetto o ci sono stati anche dei problemi produttivi?

Vuk Rsumovic: Tutto è iniziato nel 2007, inizialmente volevo tenere questa storia per me, ma poi ho iniziato a lavorare intensamente alla sceneggiatura e sono andato al Binger Filmlab ad Amsterdam che forse è il programma migliore per sviluppare sceneggiature. Lì ho trascorso molto tempo, circa 6 mesi, lavorando al fianco di persone da ogni parte dal mondo. Poi mi sono fermato per più di un anno e quando sono tornato a lavorare sulla sceneggiatura avevo acquisito la giusta distanza e oggettività per stilare l’ultima stesura. Dal momento che sono principalmente uno sceneggiatore – è questo che ho studiato – posso dire che si tratta di un lavoro che richiede tempo e non prevede scorciatoie. È così in tutte le parti del mondo, ti devi documentare, poi confrontare con il testo, vivere con quel testo. Può essere un processo sfibrante, ma se conosci affondo il tuo script, realizzare il film è la cosa più semplice del mondo. Ora che ho fatto il mio primo lungometraggio posso dire che è molto più facile e immediato fare la regia che la sceneggiatura. Spesso nel mio paese gli sceneggiatori fanno i film sulla base della prima stesura dello script e questo non è un modo giusto di lavorare, il mio insegnante diceva sempre: “da un cattivo script tu non puoi fare un buon film, da un ottimo script puoi fare un brutto film” è così, è vero.

Il tuo film parla anche conflitto tra la vita selvaggia e la civilizzazione, ma la “civilizzazione” del protagonista avviene attraverso la guerra, e dunque la violenza. Come hai affrontato queste due tematiche e qual è il tuo punto di vista sulla civilizzazione?

Vuk Rsumovic: Questo è un aspetto molto importante del film, come ha ben sottolineato Nicola Falcinella della SIC, quando ha presentato il mio film. Tu hai questa situazione con un ragazzo cresciuto tra i lupi che è allo stato animalesco, ringhia, morde e poi alla fine va in guerra e lì le persone diventano violente, aggressive, sono quasi animali. E questo per me era molto importante, perché il mio protagonista cresciuto tra gli animali non comprende all’inizio la violenza della guerra e per quale ragione le persone si uccidano tra di loro. Inoltre in questo tipo di storia, per esempio in quella di Victor de l’Aveyron che è stata raccontata da Truffaut in L’enfant sauvage, c’è il ritrovamento di un ragazzino nella natura selvaggia e lui è una persona completamente pura, non rovinata dalla civilizzazione, cresciuto nella natura, ma poi, una volta portato nell’alta società parigina diventa solo un selvaggio che se la fa nei pantaloni, grugnisce, per quelle persone era repellente, un reietto. Questo è qualcosa di legato ai nostri pregiudizi, alla nostra nozione di quello che una vita nella wilderness porta con sé. Ho parlato con uno psichiatra infantile a Belgrado e lui mi ha detto che per il ragazzo protagonista della mia storia deve essere stato un trauma terribile il trovarsi nella società civile. E questa è una cosa di cui ho tenuto conto nella realizzazione del film. Ho provato a mettere in scena sia il trauma che il fatto che noi, in genere, per ragioni culturali idealizziamo questo tipo di storie: se ci pensate questo poi emerge bene nel finale, dove il personaggio, che ha compreso il senso del suo percorso, torna nella wilderness, ma solo per capire che non vi appartiene più, non può farvi ritorno.

A proposito di appartenenza, il nome che viene dato al ragazzo, Haris, sembra avere particolare importanza, in qualche modo decide delle sue origini e del suo destino. Come hai scelto questo nome?

Vuk Rsumovic: Haris è un nome musulmano molto diffuso in Bosnia. Il nome vero del ragazzo protagonista di questi eventi era Mohammed ma ho deciso di cambiarlo affinché non fosse subito universalmente riconoscibile la sua origine. Haris poi si trova a Belgrado quando arrivano i primi rifugiati e vede quanto si sia diffuso l’odio contro i musulmani, ed è una cosa che lui non capisce. Poi quando torna in Bosnia incontra questi soldati che gli chiedono quale sia il suo nome e gli dicono “Haris? Allora sei uno di noi” e così si unisce ai soldati e va a combattere.

Nel corso del tuo film, mentre il personaggio evolve, cambia anche la fotografia del film, come hai lavorato con il direttore della fotografia per costruire questa partitura con le immagini?

Vuk Rsumovic: È stato bellissimo lavorare con Damjan Radovanovic, anche per lui questo era il primo lungometraggio nonostante avesse già molta esperienza come operatore. Ci siamo conosciuti anni fa sul set di un cortometraggio di cui io ero lo sceneggiatore e lui il direttore della fotografia, e poi l’ho voluto al mio fianco per Figlio di nessuno. Lui in quel momento aveva rifiutato alcuni film perché non gli piacevano le storie, mentre questa l’ha colpito subito e così, anche se in quel periodo aveva altri lavori da fare, si è reso disponibile. Io sono uno sceneggiatore, uno storyteller e avevo un’idea abbastanza precisa di come il mio film doveva essere, Damjan è la persona che l’ha resa possibile, che l’ha realizzata. Quanto allo stile prescelto per le immagini, io volevo maggiore saturazione e più colore perché non mi interessava fare quello che credo sia “il tipico film dell’Est Europa” e Damjan ha compreso molto bene questo mio desiderio realizzandolo con le immagini.

Come hai trovato il tuo protagonista, il piccolo Denis Muric?

Vuk Rsumovic: Lui è del sud della Serbia e ha in parte origini kosovare. Siamo stati molto fortunati da questo punto di vista. Io stavo cercando il mio protagonista a Belgrado nelle scuole elementari e in quelle di teatro per bambini e ho fatto moltissimi screen test, ma tutti i bambini che ho provinato erano troppo “urbani”, troppo graziosi e sofisticati. A me serviva un volto diverso, dai lineamenti più marcati, tutto il film dipendeva dalla scelta dell’attore perché è presente praticamente in ogni scena. Allora ci siamo spostati in Bosnia e lì mi sembrava che ci stessimo avvicinando all’obiettivo. C’era questo ragazzo che sembrava perfetto, ma nessuno lo poteva accompagnare a Belgrado a girare il film. Poi mi chiamò il mio produttore da Belgrado e mi disse che aveva trovato il ragazzo giusto per il ruolo di Haris. Tornai di corsa, era sera tardi, e conobbi così Denis Muric, gli feci fare subito un po’ di improvvisazioni per vedere come si muoveva nello spazio, perché tanto il personaggio non avrebbe parlato poi molto, così mi accorsi subito che lui era perfetto. Ma decidemmo di non dirgli niente in principio, di metterlo un po’ sotto pressione: lui era molto ansioso perché aveva appena girato il suo primo film e voleva tanto questo ruolo. L’abbiamo lasciato cuocere a fuoco lento per due giorni, poi glielo abbiamo detto e abbiamo iniziato subito a lavorare sull’improvvisazione: lui è stato più bravo di quanto immaginassi. Sapevo di avere bisogno di qualcuno che non recitasse in modo meccanico, che avesse molta immaginazione, che fosse iperattivo, ma possedesse anche l’adeguata concentrazione per focalizzarsi sulle cose. Noi non sappiamo come si comportano ragazzi che hanno una storia come questa alle spalle e non volevo che questo ragazzo selvaggio camminasse come un cane o seguendo stereotipi del genere. Quindi abbiamo cercato insieme il personaggio, improvvisando, aggiustando man mano finché non è venuto fuori.

Quali sono state le indicazioni che hai dato a Denis, come lo hai diretto?

Vuk Rsumovic: Durante la preparazione del film avevamo un “direttore del movimento” che era responsabile del comportamento fisico di Denis e poi c’era un assistente che invece si occupava con me delle tecniche di improvvisazione. Noi abbiamo lavorato sulla base della tecnica di improvvisazione di Keith Johnston, ovvero sul cosìddetto “Status”, quella condizione che si crea quando tu istituisci una relazione “schiavo e padrone” e vedi cosa succede. Inoltre abbiamo lavorato molto sulla fiducia, soprattutto per le scene nell’istituto con il gruppo dei giovani attori; ad esempio si fa questo esercizio in cui gli attori si insultano dicendosi delle cose molto volgari, tipo “tua madre è una prostituta”, cose così, e questo serve a costruire un rapporto di fiducia tra di loro. Un’altra cosa essenziale nel lavoro che ho fatto con Denis, è che gli ho impedito di leggere lo script fino a poco prima dell’inizio delle riprese, perché non volevo che facesse come gli attori bambini che imparano la parte a memoria e la provano con la mamma a casa, ma poi quando arrivano sul set si sentono smarriti. Inoltre non ho voluto utilizzare nessuna tecnica “psicologica” nella costruzione del personaggio. Io ho studiato psicologia e so quanto è importante, ma non credo vada bene per gli attori. Inoltre, per costruire il personaggio avevamo classificato le differenti fasi di sviluppo della sua personalità, e questo è stato molto importante perché non abbiamo potuto girare in maniera cronologica, purtroppo non è quasi mai possibile farlo!

Ricordi qualche scena che ti ha sorpreso particolarmente quando hai rivisto il film sul grande schermo?

Vuk Rsumovic: Mi piacciono quelle scene dove c’è spazio, e gli attori si sentono più liberi. Puoi sentire la vita che viene da loro. Per Denis sicuramente la scena iniziale del film è stata la più dura perché era inverno, lui era nudo ci trovavamo nel bosco non avevamo uno controfigura.

A cosa stai lavorando ora, quale sarà Il tuo prossimo progetto?

Vuk Rsumovic: Al momento sto lavorando a qualcosa di completamente diverso: una storia di ambientazione contemporanea, non ci saranno bambini, sto pensando di fare un horror. Perché quando hai una preparazione junghiana hai anche questa naturale preparazione all’horror che viene dall’interno, dal trauma e io credo che l’orrore viene da dentro, quando qualcosa di molto forte diventa qualcosa di molto spaventoso.

Figlio di nessuno sarà distribuito in Serbia?

Vuk Rsumovic: Sì il film sarà distribuito in Serbia all’inizio del 2015. Speriamo bene, a volte gli spettatori serbi possono essere molto critici.

INFO
Il sito della Settimana della Critica.
No One’s Child (Figlio di nessuno) di Vuk Rsumovic sul sito della SIC.
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