Le mani sulla città
di Francesco Rosi
Per Mustang Entertainment e CG Home Video esce in dvd per la prima volta in Italia Le mani sulla città, uno dei film più acclamati e significativi di Francesco Rosi. Capolavoro del nostro cinema, tra film-inchiesta, elegante commistione di generi e tragedia nazionale.
Scompare Francesco Rosi. Il mondo dell’editoria audiovisiva italiana si ricorda finalmente di Le mani sulla città (1963), disperso da anni e mai pubblicato in dvd nel nostro paese. La coincidenza è commovente, e forse non c’è miglior modo per celebrare la scomparsa di un autore tanto importante per il nostro cinema che dedicare qualche riga a uno dei suoi film più acclamati e fondamentali. Per Rosi, poco prima di morire, dev’essere stata una bella soddisfazione aver visto restaurare dalla Cineteca Nazionale Le mani sulla città. Alla confezione del dvd Mustang Entertainment e CG Home Video aveva anche partecipato lui stesso, approntando una seconda visione del film accompagnata da inizio a fine dal suo commento audio alle immagini. A corredo del film il dvd contiene anche due lunghe interviste a Roberto Saviano e a Raffaele Cantone, che tentano di collocare storicamente e culturalmente il film di Rosi nel contesto del suo tempo.
Rosi è riconosciuto da molti come uno dei fondatori del film-inchiesta, che di lì a qualche anno si costituirà come generone a parte del nostro cinema sotto svariate forme anche più popolarmente commerciali (il giallo civile, il pamphlet politico e quant’altro). Di questa nuova ondata Rosi è stato probabilmente l’autore più raffinato, che ha abbinato la sua ispirazione di dichiarata evidenza polemica con una profonda riflessione sul mezzo-cinema e sulle sue possibilità espressive a fini documentali. In qualche modo il cinema di Rosi conserva una sua marca inconfondibile, una ricerca sulle commistioni linguistiche raramente ripercorsa da altri autori con la stessa significatività ed eleganza. In tal senso Le mani sulla città si conferma una delle sue prove migliori, più ispirate e più sagge, in cui la virulenza socio-politica è veicolata prima di tutto da un uso raffinato degli specifici mezzi cinematografici.
Leone d’Oro a Venezia ferocemente contestato per i suoi contenuti polemici, Le mani sulla città si presenta infatti come una felicissima commistione di pratiche cinematografiche molto lontane tra loro. In qualche modo il cinema civile italiano e il film-inchiesta appaiono da un lato come la naturale prosecuzione della tradizione del neorealismo, retroterra culturale in cui Rosi si era formato tramite varie esperienze di assistente o aiuto regia (importante il suo contributo per La terra trema di Luchino Visconti); dall’altro, l’impianto narrativo sposa anche le consuetudini di un cinema saldamente costruito sotto il profilo del racconto teso e avvincente. Documentario e fiction, immagini dal vero, immagini di repertorio e Rod Steiger.
Del neorealismo Rosi eredita prima di tutto l’urgenza narrativa, la percezione del mezzo-cinema come strumento necessario di racconti che “altri non fanno”, con adesione a un chiaro progetto di cinema sociale, ma inteso proprio come attore effettivo nel dibattito culturale del Paese. Sempre dal neorealismo discendono pratiche e consuetudini; utilizzo di attori non professionisti a fianco di professionisti, approccio documentale alla realtà, scioltezza nell’affrontare riprese in esterni spesso anche a contatto con situazioni non preordinate. E tale discendenza appare anche strettamente connessa ai mutamenti in atto nel nostro paese: prima la guerra e i suoi tragici dissesti umani e morali, poi la ricostruzione con tutti i suoi nuovi malaffari. Prima la distruzione, poi l’Italia che si ricostruisce pezzo per pezzo, indagata entrando esattamente laddove si fa e si decide la ricostruzione, nei palazzi di Potere, nei consigli comunali, nella carne viva delle istituzioni.
Gli anni Sessanta italiani sono caratterizzati da un’esplosione di “sacchi edilizi” nelle sue maggiori città, che assunsero tratti più sconvolgenti per alcune città del centro-sud: dai palazzinari di Roma, allo sventramento di Napoli, fino al “sacco di Palermo” che dette vita all’espressione idiomatica da noi utilizzata. Anni di ricostruzione materiale, assai meno morale, in cui gruppi di rampanti palazzinari mutarono violentemente fisionomia alle città con la scusa del progresso e dell’intervento sociale, in realtà aggirandosi come condor intorno a interessi essenzialmente finanziari in mezzo a una selva di rapporti di corruzione con istituzioni consenzienti a fini elettorali.
Le mani sulla città si concentra su Napoli, dipingendo un fittizio Edoardo Nottola, imprenditore edilizio e consigliere comunale monarchico, che riesce a cavarsela da un’inchiesta su uno dei suoi cantieri finendo anzi, tra un trasformismo e l’altro, per diventare l’assessore preposto alla gestione pubblica dei suoi stessi interessi. Ma in realtà il film di Rosi non racconta solo Nottola. La sua protagonista è Napoli, e non per i suoi colori o i suoi eccessi, bensì la Napoli dei palazzi istituzionali, dei consigli comunali e degli accordi e accordicchi, in quella logica di scambio di favori per interessi comuni tra pubblico e privato che paradossalmente costituisce l’ossatura più solida del nostro paese. Senza di quella, probabilmente nel nostro paese non sarebbe mai stato realizzato nulla. La scelta di Rosi aderisce a una studiata commistione di ispirazioni molto diverse. Raramente si è rivisto nel nostro cinema un equilibrio così aureo raggiunto attraverso l’armonizzazione di materiali così eterogenei tra loro.
Nell’andamento corale dell’opera in cui di fatto nessuno è vero protagonista (nemmeno Rod Steiger), Rosi affianca a livello macroscopico una star internazionale a un sindacalista e senatore PCI, Carlo Fermariello, a cui è affidato il ruolo di un consigliere comunale comunista deciso a fare chiarezza e a far rispettare la legge. Le mani sulla città rende praticamente indistinguibili i momenti di reenactment (far reinterpretare ad anonimi volti ciò che accadde nei vari consigli comunali e riunioni della commissione d’inchiesta) da quelli di vera fiction, la ripresa dal vero di Rosi dall’immagine di repertorio. Così come è altrettanto impossibile tracciare confini netti tra riprese svolte a stretto soggetto (con dialoghi robustamente preordinati, per intenderci) e altre in cui si è lasciato magari spazio all’improvvisazione. Lo stesso possiamo dire riguardo al variare dei codici narrativi. Da un lato, racconto serrato e avvincente; dall’altro, long take di derivazione neorealistica in cui è preminente il bisogno di documentare, al di fuori di una stringente necessità narrativa (si veda la lunga parentesi nel reparto d’ospedale dedicato ai bambini). La stessa disinvoltura è riservata alla dimensione audio, in cui si alternano tranquillamente frammenti di dialogo in presa diretta ad altri con doppiaggio di voci da studio, a volte addirittura anche nella stessa sequenza. La grandezza di Rosi si misura esattamente nella capacità di trasformare tale magma cangiante in materia cinematografica estremamente omogenea, in cui pure Rod Steiger nei panni di un palazzinaro napoletano risulta credibile e per nulla fuori posto. Il punto più alto di tale elegante commistione è raggiunto probabilmente nella sequenza della protesta del quartiere a seguito dell’ordinanza comunale di sfollamento. Rosi ricrea una sorta di happening finalizzato alla ripresa; volti non professionisti che gridano e protestano a incorniciare il passaggio nella folla del severo commissario di polizia. Volti veri e presi tra la gente, a cui però si affida una voce di studio in fase di doppiaggio per favorire la trasparenza delle intenzioni autoriali. Ovvero, aiutare i volti della gente ad alzare un vero grido (con la voce di altri) contro l’indifferenza delle istituzioni. L’esperimento va ancora oltre nella sequenza dei comizi elettorali, in cui probabili immagini di repertorio sono giustapposte a riprese di Steiger che cammina tra i manifesti politici senza che si avverta il minimo scarto tra la qualità delle due serie d’inquadrature.
Rosi appare anche molto acuto nel racconto del passaggio d’epoca a cui quella Napoli, e di riflesso tutta Italia, si apprestava. Nottola abbandona i monarchici, ben consapevole che i potenti sono “loro”, la DC, e che da quel momento in poi per gli industriali gli affari andranno fatti a braccetto coi democristiani per poter continuare a prosperare, non solo a livello nazionale ma anche locale. In qualche modo è il passaggio da un’Italia embrionale, in certe sue sacche ancora molto debitrice verso le strutture del fascismo, e il nuovo fascismo ovattato della Democrazia Cristiana, già saldamente al governo e pronta a prendersi anche tutto ciò che può nella gestione locale del potere. È il salto dall’Italia ancora contadina e stracciona a una sua versione più compita e compassata, sotto la cenere anche più violenta.
Sotto la veste evidente di un diretto film-inchiesta, Le mani sulla città ha infatti anche il pregio di allestire una tragedia collettiva, in cui tutti hanno le proprie ragioni. Fatta eccezione per il personaggio tutto d’un pezzo del consigliere comunista e del buon democristiano primario ospedaliero, tutti gli altri sono mossi da ragioni sempre connesse all’interesse economico, alla corruzione e al malaffare, ma su di essi Rosi conserva uno sguardo a suo modo asciutto e assai poco declamatorio. Più volte ci sorprendiamo a comprendere le ragioni di Nottola, che rinfaccia ai monarchici di volerlo scaricare dopo aver regalato loro (comprandoli, sia chiaro) montagne di voti. Altrettanto accade per i monarchici, che fanno presente a Nottola di averli sfruttati per i suoi interessi. È la tragedia di una nazione, in cui le consolidate pratiche di malaffare conducono per primi i responsabili nella condizione di prigionieri di se stessi.
In occasione della scomparsa di un autore è sempre molto facile utilizzare frasi retoriche del tipo: “Era autore di un cinema che ci manca molto”. Ma stavolta è indubbiamente vero. Di questo cinema in Italia sentiamo profondamente la mancanza, ormai da anni. Non solo perché cinema estremamente coraggioso, ma anche per la sua sapienza drammaturgica e per la profondità di lettura sul reale e sulle infinite tragedie nazionali che il nostro amato Paese purtroppo non ci ha mai risparmiato.
Info
Il dvd contiene 3 extra molto interessanti. Commento audio di Francesco Rosi a tutto il film, e due interviste a Roberto Saviano e Raffaele Cantone.
La scheda di Le mani sulla città sul sito della CG Homevideo.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Le mani sulla città
- Paese/Anno: Francia, Italia | 1963
- Regia: Francesco Rosi
- Sceneggiatura: Enzo Forcella, Enzo Provenzale, Francesco Rosi, Raffaele La Capria
- Fotografia: Gianni Di Venanzo
- Montaggio: Mario Serandrei
- Interpreti: Alberto Amato, Alberto Conocchia, Angelo D'Alessandro, Carlo Fermariello, Dante Di Pinto, Dany París, Gaetano Grimaldi Filioli, Guido Alberti, Marcello Cannavale, Mario Perelli, Pasquale Martino, Rod Steiger, Salvo Randone, Terenzio Cordova, Vincenzo Metafora
- Colonna sonora: Piero Piccioni
- Produzione: Galatea Film, Societé Cinématographique Lyre
- Distribuzione: CG Entertainment
- Durata: 105'
