Une histoire de fou

Une histoire de fou

di

In Une histoire de fou Robert Guédiguian mette in scena la diaspora armena, raccontando il desiderio di rivalsa di un popolo privato della propria terra. Fuori concorso a Cannes 2015.

Armenia e libertà

Durante gli anni Ottanta Aram, un giovane di Marsiglia d’origine armena fa esplodere a Parigi la vettura dell’ambasciatore turco; un giovane ciclista di passaggio, Gilles Tessier, rimane gravemente ferito nell’attentato. Il fuggitivo Aram si unisce all’armata di liberazione dell’Armenia a Beirut, sede della rivoluzione internazionale in quegli anni. La madre di Aram fa irruzione nella stanza d’ospedale in cui è ricoverato Gilles per chiedergli perdono e informarlo della colpevolezza del figlio… [sinossi]

“Se riceverai questa lettera, sappi che non rimpiango niente di quello che ho fatto. La rivoluzione è contagiosa e se qui avessimo vinto, come avremmo potuto, avremmo cambiato il mondo. Ma non importa. Il nostro giorno verrà.”
Si concludeva con questa frase una delle lettere che il miliziano comunista Ian Hart scriveva dalla Spagna oramai in mano ai fascisti di Francisco Franco alla moglie rimasta in Inghilterra in Terra e libertà di Ken Loach. Si potrebbe ripartire da qui per cercare di scandagliare il corpo cinematografico e prima ancora politico di Une histoire de fou, il nuovo film di Robert Guédiguian presentato fuori concorso alla sessantottesima edizione del Festival di Cannes. Non parla della guerra di Spagna, Une histoire de fou, ma del Medz Yeghern, vale a dire il “grande crimine”, il genocidio armeno da parte dell’esercito ottomano. Un massacro di cui ancora si parla poco, e che produce tutt’oggi reazioni scomposte – è di poche settimane fa la frizione tra il governo turco e la Città del Vaticano, dopo che Jorge Mario Bergoglio aveva chiesto alla comunità internazionale di ricordare l’olocausto del popolo armeno –; è materia incandescente il Medz Yeghern, evento in realtà centrale per gran parte degli smottamenti geopolitici del Novecento.

È ben consapevole di questo Guédiguian, che apre il suo Une histoire de fou nella Germania di Weimar, nel 1921, al momento dell’assassinio di Mehmed Talat Pascià (ministro dell’interno turco durante il genocidio) da parte dell’armeno Soghomon Tehlirian, membro della cosiddetta Operazione Nemesis. Un prologo in bianco e nero che cristallizza il passato – in qualche modo non dissimile all’utilizzo che fa dell’immagine bicroma Hou Hsiao-hsien nell’incipit del sontuoso The Assassin – relegandolo in un cantuccio della memoria dal quale non potrà più muoversi.
Il presente del film è a colori, ma è ancora “passato”, visto che è ambientato nella Marsiglia degli anni Ottanta. Il Medz Yeghern ha prodotto una diaspora rabbiosa, le cui ruggini non possono in nessun modo estinguersi perché non esiste giustizia. È da questo bisogno di una rivalsa nei confronti di un potere fascista come quello turco, coadiuvato dal silenzio/assenso dell’Europa, che parte la dolorosa avventura di Aram, giovane armeno che vorrebbe imitare Tehlirian uccidendo l’ambasciatore turco a Parigi, ma non riesce a far altro che a ferire gravemente un suo coetaneo, di passaggio in bicicletta al momento dell’attentato dinamitardo.
Da questo punto in poi Une histoire de fou procede in forma dicotomica: da un lato l’esule Aram, senza patria in Libano per combattere una guerra miliziana che non ha alcuna speranza di riuscita (e con il peso sulla coscienza di un atto di violenza che si è ritorto contro un innocente), e dall’altro l’incontro tra la famiglia di Aram, che non condivide la deriva brigatista della lotta per il popolo armeno, e Gilles, il ragazzo ferito nell’attentato.

Guédiguian gestisce con mano per lo più ispirata questa tragica storia di affetti familiari e universali, scandagliando il dolore senza fine di un popolo martoriato, abbandonato a se stesso, disconosciuto (più volte Gilles ammette di non avere alcuna cognizione di dove si trovi l’Armenia). Un popolo in lotta, che non riesce però a trovare lo sbocco realmente rivoluzionario per riconquistare la propria terra e finisce – come in Terra e libertà – per dividersi in fazioni interne, provocando scismi e ulteriori lutti.
Une histoire de fou è un film di terra e sulla terra, che non è solo roccia, polvere ed erba ma appartiene al popolo, e viceversa. Una terra che per la maggior parte degli armeni propone, citando Foscolo, una “illacrimata sepoltura”. Guidato dall’abituale afflato socialista, che una volta di più lo accomuna a Loach, Guédiguian non riesce a evitare alcune trappole retoriche ma offre comunque il dignitoso omaggio a una tragedia personale e universale, senza mai dimenticare lo studio dell’umanità e delle sue pulsioni più contraddittorie. Ne viene fuori un racconto popolare di quelli che sempre più raramente riescono a prendere corpo sullo schermo; anche per questo, forse, sarebbe stato giusto trovare una collocazione più consona per Une histoire de fou all’interno del palinsesto del Festival di Cannes. Invece si è scelto di abbandonare una volta di più al suo destino non solo una storia che troppo spesso viene sottaciuta, ma anche un cinema vivo, combattente, sinceramente ancorato alle proprie idee. Capace di sbagliare, senza dubbio, ma per troppa passione e mai per calcolo. La dedica finale di Guédiguian “ai compagni turchi che hanno condiviso la nostra lotta” è in questo senso la più internazionalista delle chiusure, e certifica un punto di vista politico che si sovrappone perfettamente, nella pratica, allo sguardo cinematografico. Ma la coerenza, in questi tempi affannati dietro svolazzi pretestuosi della macchina da presa, non va più di moda.

Info
La scheda di Une histoire de fou.
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