La famiglia Fang

La famiglia Fang

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Seconda prova da regista di Jason Bateman, La famiglia Fang dribbla le trappole del manierismo indie, ma resta incerto nel tono e sfrutta solo a tratti le potenzialità del suo soggetto.

Performativi e disfunzionali

Annie e Baxter Fang sono cresciuti aiutando gli eccentrici genitori a mettere in scena i loro numeri di performance art, provocatorie esibizioni tese ad infrangere il confine tra arte e vita. Nella loro vita adulta, i due fratelli provano un inespresso rancore verso i genitori, colpevoli di aver impedito loro di vivere un’infanzia normale; fin quando un incidente occorso a Baxter riunirà inaspettatamente la famiglia… [sinossi]

Se quello della famiglia disfunzionale è ormai quasi un topos per l’indie americano, sviscerato e puntualmente riciclato nei più diversi contesti, va dato atto al secondo film da regista di Jason Bateman di aver in gran parte evitato i manierismi di molte opere analoghe. La famiglia Fang riesce infatti a dribblare quasi sempre i cedimenti a certa estetica furbescamente cheap, mantenendo un tono abbastanza sobrio nella sua narrazione: l’ex adolescente prodigio della tv americana, cimentandosi col romanzo omonimo di Kevin Wilson, affronta qui una storia che dalle disquisizioni (invero piuttosto generiche) sull’arte e sul significato stesso dell’atto creativo, si sposta presto su una riflessione sugli affetti, e sulla loro subordinazione alle cangianti pulsioni dell’ego.
Temi piuttosto scoperti, sottoposti dallo script di David Lindsay-Abaire a una trattazione esplicita, con tutti i rischi del caso: e, nei minuti iniziali, la regia di Bateman sembra in effetti cedere alla tentazione del didascalismo, della provocazione esplicita, dell’adeguamento meccanico dell’atmosfera ai dettami del tema trattato. La grottesca presentazione dei fratelli interpretati, da adulti, da Nicole Kidman e dallo stesso regista, appare smaccatamente sopra le righe, specie nei due episodi (l’incidente occorso al personaggio di Bateman, e la conflittuale situazione vissuta, su un set cinematografico, da quello della Kidman) che più più di tutti la concretizzano.

Pericolosamente oscillante, da principio, verso un registro grottesco dai tratti fin troppo programmatici, il tono del film viene tuttavia riportato presto sui binari del più classico dei drammi familiari: alternando passato e presente, inframezzando la messa in scena delle esistenze destabilizzate di Annie e Baxter (A e B per i genitori) con i filmati delle performance in cui i due venivano coinvolti da bambini, Bateman opta per una certa discrezione registica, per la non sottolineatura esplicita dei flashback, per la preponderante fiducia nei confronti degli attori. In questo senso, pagato il pegno iniziale ai tratti non convenzionali del soggetto, La famiglia Fang si segnala per l’interessante contrasto tra una vicenda che vuole riflettere (almeno sulla carta) sul potere destabilizzante dell’arte, e una sua trattazione che sceglie la via più classica per approcciare i suoi fruitori. Una scelta, quella nel segno della trasparenza della mano registica, che risulta vincente laddove economizza le risorse del racconto, limitando il potenziale ammiccante delle performance rappresentate nei flashback, non cercando scorciatoie estetiche per blandire lo spettatore con la carica naturalmente bohemienne di questi ultimi. Il regista si affida in modo consapevole al quartetto composto da se stesso e dagli altri tre interpreti principali, tra i quali spicca un Christopher Walken che riflette perfettamente, con le sue rughe e l’accresciuta carica di ambiguità dello sguardo, l’egotismo ai limiti della patologia del personaggio.

Nel momento in cui il soggetto muove dai territori del dramma familiare a quelli della detection, trasformando il tutto in una sorta di giallo sui generis, la posta in gioco si alza, ma il film pone anche le basi per la sua deludente evoluzione. Se il tema dell’assenza, innescato dalla sparizione dei due anziani coniugi, permette alla sceneggiatura di indagare ulteriormente i contrastanti tratti psicologici dei due fratelli, è l’evoluzione narrativa della vicenda a non convincere: meccanica e poco credibile la svolta che porta i due sulla strada della verità, poco misurato il tono del successivo confronto, discutibile la risoluzione finale del tutto. Lo sguardo equilibrato, non privo di empatia ma improntato sostanzialmente alla misura, che il regista aveva mantenuto per i tre quarti della narrazione, si infrange in una conclusione dai toni enfatici, in cui i chiaroscuri vengono banditi in favore di una tesi preconfezionata quanto discutibile. Alla “morale” sottesa dal finale, così come alle sue evocate conseguenze, nessuno finisce per credere fino in fondo; ma, con tutta evidenza, non era questa l’intenzione dello script. In questo senso, questo La famiglia Fang resta nel suo complesso un’opera squilibrata, che attraversa nel corso della sua durata tre diversi, contrastanti e poco amalgamati registri narrativi. Ciò che resta invece costante (e non è un bene) è il tono della recitazione di una Nicole Kidman più deludente che in passato, costantemente trattenuto e inadatto a rappresentare le oscillazioni emotive di un personaggio sfruttato solo in parte.

Info
Il trailer di La famiglia Fang su Youtube.
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