Il segreto

Il segreto

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Nuovo film di Jim Sheridan, Il segreto è un melò sospeso tra passato e presente, tra drammi personali e collettivi, tra le ferite dell’anima e quelle della storia: ma la confezione è plastificata, lo svolgimento scolastico, e il risultato deludente. Alla Festa del Cinema di Roma 2016.

Scripta volant

Tratto dall’omonimo romanzo di Sebastian Barry vincitore di numerosi premi, arriva al cinema la storia di Rose, una donna forte e coraggiosa con nel cuore un segreto inconfessabile e negli occhi il bisogno di verità. Quando il Dottor Stephen Grene, incuriosito, inizia a indagare sul suo misterioso passato, verranno alla luce una relazione di passione e amore travolgente e una colpa, l’unica per Rose: essersi innamorata dell’uomo sbagliato… [sinossi]

Melodramma inciso tra le pieghe della storia, sospeso tra il dramma collettivo della Seconda Guerra Mondiale e quello personale di una donna a cui viene sottratta l’esistenza, Il segreto (il cui titolo originale è The Secret Scripture) segna il ritorno alla regia, a cinque anni dall’ultimo Dream House, di Jim Sheridan. Resta, nel cinema di Sheridan, la dichiarata voglia di riflettere sulla storia del suo paese, sugli eroismi veri e presunti, sulle tragedie che coinvolgono tanto i singoli quanto la collettività, fagocitando speranze e affetti; il tutto, filtrato come sempre dallo sguardo umanista del regista, che qui assume una prospettiva intima e fatta di una compresenza costante, e di una continua dialettica, tra passato e presente. Il regista irlandese trae spunto stavolta da un romanzo dello scrittore Sebastian Barry, per mettere in scena la dolorosa biografia di una donna alla fine della sua vita, col suo viaggio a ritroso tra i fantasmi di un passato obliato.
Il primo paragone che viene in mente, guardando il film di Sheridan, è con Philomena di Stephen Frears: analogo lo sguardo biografico, che dalla storia del singolo si allarga a riflettere su quella di un’intera comunità, analogo l’intento divulgativo su istituzioni dai tratti poco edificanti, analogo l’afflato scopertamente melodrammatico.

Quella con il comunque sopravvalutato film di Frears resta, tuttavia, una somiglianza in gran parte esteriore, legata (anche) al carisma delle rispettive protagoniste (lì Judi Dench, qui Vanessa Redgrave). La frazione ambientata nel passato di Il segreto, che è anche quella temporalmente più corposa, si sviluppa seguendo i canoni del melodramma a sfondo storico, traendo linfa e ragion d’essere dalla più classica delle love story. E sta proprio nel carattere manierato, retorico e smaccatamente convenzionale di questa componente (quella che costituisce l’ossatura del film) il principale limite di questa nuova prova registica di Sheridan.
Lo sfondo storico, introdotto da una voce narrante che illustra le pagine del libro di memorie della donna (a ricercare un mood fiabesco, contrastante con la crudezza degli eventi narrati, che non sarebbe in sé disprezzabile) resta solo un pretesto: un setting preconfezionato e plastificato, la cui scarsa capacità di interagire coi personaggi rende meno credibile il dramma quando questo, infine, irrompe nella storia. Tutto si risolve nel racconto da feuilleton di una Rooney Mara (brava quanto sprecata) contesa da tre uomini, la cui love story col militare interpretato da Jack Reynor resta priva di una convincente introduzione e contestualizzazione.

La voglia dichiarata di demistificare norme e rituali della vita comunitaria, la ricerca di uno sguardo corrosivo su un villaggio circondato (e illusoriamente immune) dalla guerra, restano a livello di mera dichiarazione d’intenti; ridotti come sono alla messa in scena di una stanca, quanto poco credibile, odissea personale, con l’istituzione che guida le coscienze (quella religiosa) incarnata da un personaggio che ha la consistenza e la statura di un bullo di paese. Il tutto, già all’insegna di un ozioso calligrafismo nella componente scenografica, viene appesantito da un commento sonoro invadente e inutilmente ridondante (pare ormai che le tonalità celtiche siano le uniche utilizzabili per storie ambientate in Irlanda), a caricare di artificiosa enfasi anche i passaggi narrativi che avrebbero giovato di una maggior sobrietà. Quando l’odissea di un amore impossibile diviene incubo da consumarsi tra le quattro mura di una clinica psichiatrica, è tardi per il film per recuperare (o meglio: creare) quell’empatia che la sceneggiatura aveva maldestramente ricercato per gran parte del suo svolgimento. Il tutto resta ingenerosamente affidato all’obliqua prova di una Rooney Mara che, complici i frequenti (e un po’ furbi) primi piani, sembra lasciar presagire un altro e diverso film.

Proprio la qualità della recitazione della Mara e (ancor più) della sua alter ego anziana, una scavata Vanessa Redgrave, restano testimoni di un’opera mai nata, presente in potenza dietro le immagini laccate e i rozzi toni da soap di questo Il segreto. Un peccato, perché la cornice ambientata nel presente (finale escluso) presentava in sé le potenzialità drammaturgiche per un melò che fosse davvero capace di far collidere il dramma di una donna con quello, mai risolto, di un’intera nazione. Proprio la conclusione, rozzamente data in pasto allo spettatore negli ultimi minuti, tanto priva di un’adeguata giustificazione e contestualizzazione, da apparire come il più vieto degli espedienti emotivi, finisce per mettere una pietra tombale sui pochi motivi di interesse che il film aveva presentato. Uno spreco di talenti (ivi compreso quello, appannato ma non spento, del regista) per un’opera priva di un vero cuore pulsante; un compitino che, lungi dal lavorare nel profondo e sulla distanza, si fa dimenticare facilmente poco dopo la visione.

Info
Il sito della Festa del Cinema di Roma.

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