It

Trasportare sullo schermo un romanzo come It di Stephen King è un’impresa praticamente impossibile, a meno di non accettare la più evidente delle verità: la necessità di essere ‘infedeli’, come dimostra il lavoro dell’argentino Andrés Muschietti. Un capitolo 1 che racconta l’infanzia dei Perdenti, spostando l’azione al 1989 e lasciando completamente fuori dalla storia la parte adulta della narrazione…

Stanno stretti sotto ai letti sette spettri a denti stretti

Adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen King, IT si incentra sulla prima parte del racconto, ambientata negli anni 80. Il palloncino rosso che galleggia a mezz’aria è il biglietto da visita di una misteriosa entità demoniaca che tormenta i ragazzini di Derry, attirandoli in una trappola mortale senza vie di scampo. Nell’immaginaria cittadina del Maine dove la gente scompare senza motivo, l’ennesima vittima è un bambino di sette anni di nome George, risucchiato in un tombino durante un temporale. Un gruppo di ragazzini perseguitati dai bulli per diverse ragioni, si riunisce sotto la denominazione di Club dei Perdenti per indagare sul mistero della morte di George e degli altri ragazzi scomparsi. [sinossi]
Se ci sono diecimila contadini medievali
capaci di far esistere i vampiri
con la forza della loro credulità,
può essercene sempre uno,
e probabilmente bambino,
capace di immaginare il piolo con cui ucciderli.
Ma un piolo non è che uno stupido pezzo di legno.
La mente è invece la mazza
con cui conficcarlo nel cuore.
Stephen King, It
L’essere che, sotto il letto,
aspetta di afferrarmi la caviglia non è reale.
Lo so.
E so anche che se sto bene attento
a tenere i piedi sotto le coperte,
non riuscirà mai ad afferrarmi la caviglia.
Stephen King

La tartaruga non ci può aiutare. No di certo, ora che è solo una costruzione Lego nella stanza di un bambino che non c’è più o al massimo un animale che nuota vicino ai ragazzi nel fiume Kenduskeag; l’eliminazione del personaggio della Tartaruga – nota ai cultori di Stephen King come Maturin, il nome citato nella saga de La torre nera – dalla trasposizione di It firmata da Andrés Muschietti era in qualche modo preventivabile, per una lunga serie di ragioni. Prima di affrontare queste ultime è però necessaria una puntualizzazione: come molti grandi letterati, e forse ancor più proprio per la sua dedizione alla causa dell’orrore, King è un romanziere possibile da adattare al cinema solo tradendolo spudoratamente. Senza timori reverenziali. Il tradimento, nell’approccio a King, è con ogni probabilità la più estrema forma d’amore, o per lo meno di autoconservazione. In caso contrario, meglio prepararsi alla buriana. Non è certo un caso che i migliori adattamenti da novelle di King – in totale se ne contano oltre cinquanta, tralasciando i cortometraggi e i lavori televisivi – si prendano enormi libertà rispetto alle fonti originali: è così per Shining di Stanley Kubrick, Carrie – Lo sguardo di Satana di Brian De Palma, perfino Stand by Me di Rob Reiner, che pure si muove in un contesto completamente realistico, lontano dalle lusinghe del paranormale. La scrittura di King è affabulatoria, dettagliatissima e allo stesso tempo volutamente evocativa, e non ha mai timore di confrontarsi direttamente con l’immaginario più putrescente, mostruoso nel senso puro del termine. Un immaginario (e il goffo finale del film-tv che fu tratto nel 1990 da It è lì a perenne monito) che se materializzato rischia di oltrepassare le soglie del grottesco e sfociare nel ridicolo involontario. Anche la Tartaruga, l’immensa entità che aiuta il Club dei Perdenti nella sua lotta psichica contro It, avrebbe corso il rischio di trasformarsi in un effetto assai poco speciale, disperdendo il potenziale orrofico della vicenda. A meno di non avere a disposizione un regista un po’ più inventivo e meno diligente del pur apprezzabile Andrés Muschietti. Nessuno si stupisce della sua assenza, e per lo spettatore ignaro che si avvicina a It senza aver mai letto il romanzo si sarebbe trattato di un passaggio troppo brusco, triplice salto in avanti senza rete di protezione.

Il problema, se di problema è lecito parlare – e non lo è – risiede nel fatto che It è solo un buon horror contemporaneo, che mantiene la promessa di far fare i doverosi balzi sulla poltroncina del cinema a praticamente tutte le categorie di spettatori. Ci si spaventa per le timbriche scure della vicenda, per la mise ghignante del clown Pennywise (anche se forse il costume più sciatto nella versione interpretata da Tim Curry colpiva con più precisione nel segno sotto questo punto di vista), per l’utilizzo come al solito funzionale di una colonna sonora che anticipa o ritarda, a seconda dei casi, l’irrompere dell’orrore. Nulla di troppo nuovo, soprattutto dopo l’avvento di James Wan, ma confezionato con una notevole cura. Se la questione può essere di qualche interesse, It ha la capacità di spaventare, spinge a portarsi le mani davanti agli occhi, per cercare quel momento sublime in cui, decisi a non vedere e bramosi di vedere, si allargano una dopo l’altra le dita lacerando e suddividendo di fatto lo schermo.
Muschietti aveva già dato prova di sé e della sua affidabilità con La madre, e dimostra di aver compreso come lavorare su un’opera mastodontica come It: semplificando. I cultori del romanzo non troveranno nel film molti degli aspetti più appassionanti, a partire dalla descrizione delle famiglie dei sette ragazzi protagonisti, a loro volta fondamentali per comprendere il grande affresco dell’America disegnato con meticolosa precisione da un King forse mai così luciferino. L’adattamento, come insegnava J.R.R. Tolkien nel saggio Sulla fiaba, è un passaggio fondamentale, il punto nel quale rintracciare il senso di un’operazione, di una creazione. It vuole parlare agli adolescenti di oggi, e sposta in avanti la narrazione degli eventi: non più il 1957-58 ma il biennio 1988-89, con il mondo a pochi passi dalla caduta del Muro di Berlino. L’infanzia di King diventa quella di Muschietti, nato nel 1973. Ma con una differenza sostanziale: King descrive un mondo reale in cui ha vissuto e del quale conserva una vivida memoria, Muschietti (cresciuto nell’Argentina in bilico tra la dittatura militare e il governo di Raúl Alfonsín) si affida a suggestioni altrui, completamente cinematografiche. Ecco dunque che la Derry degli anni Ottanta sembra uscita da una produzione Amblin, immaginario sempre più di moda in questi ultimi anni – si pensi a Super 8 di J.J. Abrams o, spostandosi sul piccolo schermo, al recente Stranger Things creato dai fratelli Duffer – con le onnipresenti biciclette, gli alberi inondati dal sole, il cardo e il decumano delle strade perfettamente delineato. Sotto questo punto di vista It sembra dunque vivere in una bolla fuori dal tempo, perfetto ideale spielberghiano che è però ridotto a mera copia privata del discorso sulla società. Del resto anche i bambini, nel romanzo descritti con grande attenzione, non sembrano riflettere alcuna appartenenza sociale a questa o a quell’altra classe: il divario tra il sottoproletariato di Beverly Marsh e Mike Hanlon e la buona borghesia di Richie Tozier e Billy Denbrough viene annullato nel film, lasciato sullo sfondo, forse solo vagamente accennato.

Nelle mani di Muschietti (ma i veri responsabili sono probabilmente gli autori della sceneggiatura, da Cary Fukunaga a Chase Palmer e a quel Gary Dauberman che non a caso ha firmato lo script di Annabelle di John R. Leonetti) tutto si riduce alla paura e alla necessità per dei ragazzini in fase puberale di affrontarla a occhi aperti: la paura del giudizio degli altri, dell’elaborazione di un lutto, dei genitori o degli adulti in generale, del peso della propria cultura, delle malattie. Un tema affascinante e che è proprio anche del romanzo, e sul quale It gioca tutte le sue carte. Meglio, la prima parte del film… Perché nonostante tutto non è possibile giudicare It come un’opera completamente indipendente, visto che prende in considerazione solo la metà “infantile” del romanzo, con l’altro lato – quello con i protagonisti invecchiati di ventisette anni – che entrerà in produzione solo nel corso del 2018, per raggiungere presumibilmente le sale esattamente tra due anni. All’intricato gioco di flashback e flashforward che agita le pagine del romanzo Muschietti ha preferito una volta di più la semplicità e la linearità: It è dunque per ora un teen-movie perfetto, interamente concentrato sulle ansie, le preoccupazioni e i mostri partoribili dalla mente di dodicenni che stanno per entrare a far parte del mondo, e non sanno ancora come farlo.
Quell’età in cui gli amici assumono un valore molto particolare: per rubare le parole al romanzo «Forse non esistono nemmeno amici buoni o cattivi, forse ci sono solo amici, persone che prendono le tue parti quando stai male e che ti aiutano a non sentirti solo. Forse per un amico vale sempre la pena avere paura e sperare e vivere. Forse vale anche la pena persino morire per lui, se così ha da essere. Niente amici buoni. Niente amici cattivi. Persone e basta che vuoi avere vicino, persone con le quali hai bisogno di essere; persone che hanno costruito la loro dimora nel tuo cuore». Questo sentimento il film riesce a renderlo, pur nella velocità di un’opera che nonostante due ore e un quarto di durata risulta ancora in parte “inadempiente” rispetto alla pagina scritta. Ma è nell’orrore puro che Muschietti cerca di giocare le proprie carte, inanellando almeno una sequenza degna di essere appuntata nell’archivio della memoria: l’allucinazione/incubo in bagno di Bev, con le voci dei morti che la chiamano dal tubo di scarico del lavandino e il sangue che ben presto inonderà la stanza, e la stessa ragazzina. L’unico incontro con It, a parte quello di Eddie Kaspbrak, che segue con fedeltà il romanzo, ma che allo stesso tempo permette a Muschietti di confrontarsi con il mito di Carrie, avvalorando una volta di più l’accostamento mestruazione/orrore che è alla base delle riflessioni sulla mutazione del corpo adolescente. Segnali di un cinema magari poco personale ma non per questo privo delle nozioni base dell’orrore, e del suo senso. Dispiace semmai constatare il prosciugamento narrativo di due personaggi, il nero Mike e l’ebreo Stan, che King aveva saputo tratteggiare con rara maestria. Prosciugamento che già fa intendere come anche la seconda parte di It si svilupperà seguendo la via del tradimento, per cercare di non perdere il senso. L’operazione per ora può definirsi riuscita…

Info
Il trailer di It.
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